Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8813 del 10/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8813 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: IANNELLI ENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VECCHIO GIUSEPPA N. IL 29/10/1967
avverso la sentenza n. 2985/2010 CORTE APPELLO di CATANIA, del
08/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENZO IANNELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 10/01/2014

-1- Vecchio Giuseppa, già condannata con doppia conforme – sentenze del tribunale monocratico
di Giarre in data 6.11.2009 e corte di appello di Catania in data 8.5/5.6.2012 – alla pena di anni
due, mesi sei di reclusione ed euro 1000,00 di multa per il delitto truffa ex art.640 c.p, ricorre per
cassazione avverso la seconda decisione, deducendo con due ragioni di doglianza,da un lato,
erronea applicazione della legge penale, per doversi qualificare il fatto di reato come insolvenza
fraudolenta, dall’altro, l’errore di calcolo materiale nella determinazione del il danno liquidato alla
parte civile nella somma di euro 7.000,00, laddove l’ indicazione delle componenti costituite dal
danno patrimoniale quantificato in euro 6.000.00 e dal danno morale quantificato in euro 250,00
avrebbe dovuto determinare il danno complessivo in euro 6.250,00.
Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Invero l’ imputata ha acquistato merce da tale Musumeci Riccardo pagandola con un assegno
smarrito/rubato e con firma verosimilmente apocrifa. Ora il delitto di truffa si distingue da quello
di insolvenza fraudolenta perché nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di
circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre
nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza
dell’agente. La fattispecie concreta in esame ripete fedelmente la prima tipologia criminosa.
Non sussiste l’ errore di calcolo denunciato. Certo in caso di contrasto tra dispositivo e
motivazione, qualora la divergenza dipenda da un errore materiale, obiettivamente riconoscibile,
contenuto nel dispositivo, sarebbe legittimo il ricorso alla motivazione per individuare l’errore
medesimo ed eliminarne i relativi effetti ( in tal senso, tra le tante Sez. 1, 4.12.2012/25.1.2013,
Mancini, Rv. 254218), trattandosi di una statuizione obbligatoria e consequenziale alla pronuncia
che non implica l’esercizio di un potere discrezionale da parte del giudice.
Ma nella specie la determinazione sia nel dispositivo di primo grado che in quello del secondo
depone inequivocabilmente per la determinazione voluta del danno in complessive euro 7.000,00
tenuto conto che la quantificazione operata in sede di motivazione deve essere implementata,
giusto il dictum dei giudici di primo grado, dagli interessi legali.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato
che lo ha proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché,
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a
favore della cassa delle ammende della somma di mille, così equitativamente fissata in ragione dei
motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10.1.2014

Letti gli atti, la sentenza impugnata, il ricorso;
Udita la relazione del cons. Enzo Jannelli;
Udite le conclusioni del S. Procuratore generale, Fulvio Baldi, che chiede la correzione dell’ errore
materiale della somma dovuta alla parte civile e la declaratoria di inammissibilità per il resto.

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