Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8809 del 21/11/2013
Penale Sent. Sez. 2 Num. 8809 Anno 2014
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: DE CRESCIENZO UGO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RAMAN SIDDIQUR N. IL 07/06/1976
KHALASHI KABIR N. IL 20/10/1979
ARIP HOSSAIN N. IL 01/01/1980
avverso la sentenza n. 1078/2011 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
12/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 47
che ha concluso per
fr<:cr' C Udito, per la parte civile, l'Avv
Udit i difensor Avv. 57,/
, (7:4„g7., ci/7;4
4=-C ,_81,..)-; Fc5-2erc ‘4-(8.cP-e ,zrr Data Udienza: 21/11/2013 RAMAN SIDDIQUR, KHALASHI KABlR, ARIP HOSSAIN, tramite il
difensore ricorrono per Cassazione avverso la sentenza 12.3.2012 con la
quale la Corte d'Appello di Brescia li ha condannati alla pena di anni 2 e
mesi due e 450,00 E ciascuno, siccome responsabili del delitto di rapina aggravata e del delitto di lesioni personali aggravate, fatti commessi in Suzzara
il 26.11.2006.
I ricorrenti chiedono l'annullamento della decisione impugnata lamentando:
§1.) vizio di motivazione e travisamento dei fatti (ex art. 606 r, comma lett.
e cpp), perché la decisione della Corte d'Appello sarebbe pienamente sovrapponibile a quella di primo grado non rispondendo alle censure mosse
con l'atto di impugnazione. La difesa sostiene inoltre che la sentenza di appello, come quella del Tribunale si fondano su un'erronea valutazione del
contenuto delle deposizioni testimoniali della persona offesa senza prendere
adeguatamente atto delle discrasie correnti tra la le dichiarazione della stessa
persona offesa e quelle delle altre persone sentite come testimoni.
RITENUTO IN DIRITTO
Va necessariamente premesso che in tema di sindacato del vizio della motivazione ex art. 606 I^ comma lett. e) c.p.p., nell'apprezzamento delle fonti
di prova, il compito del giudice di legittimità non è di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma solo di stabilire
se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se
abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno
giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre [v.
Cass. SU 13.12.1995 n. 930; Cass. Sez. VI 5.11.1996 n. 10751; Cass. Sez. I
6.6.1997 n. 7113; Cass. 10.2.1998 n. 803; Cass. Sez. I 17.12.1998 n. 1507;
Cass. Sez. VI 10.3.1999n. 863].
Dall'affermazione di questo principio, ormai costante nel panorama giurisprudenziale, discende che esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del
controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione
di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice
di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica
dell'"iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o
meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad
emettere la decisione [Cass. Sez. VI 14.4.1998 n. 1354]; in tale ambito è
sufficiente che il giudice di appello indichi le ragioni che sorreggono la decisione adottata, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; ne'
l'ipotizzabilità di una diversa valutazione delle medesime risultanze processuali costituisce vizio di motivazione, valutabile in sede di legittimità [Cass.
Sez. V 6.5.1999 n. 7588]. MOTIVI DELLA DECISIONE Passando al più specifico tema del "vizio di manifesta illogicità" (costantemente richiamato in quasi tutti i ricorsi) della motivazione, va osservato
che il relativo controllo viene esercitato esclusivamente sul fronte della
coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa
il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza la possibilità,
per il giudice di legittimità, di verificare se i risultati dell'interpretazione
delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie
risultanti dagli atti del processo; sicché nella verifica della fondatezza, o
meno, del motivo di ricorso ex art. 606, comma primo, lett. e) c.p.p., il compito della Corte di Cassazione non consiste nell'accertare la plausibilità e
l'intrinseca adeguatezza dei risultati dell'interpretazione delle prove, coessenziale al giudizio di merito, ma quello, ben diverso, di stabilire se i giudici
di merito: a) abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione; b) abbiano dato esauriente risposta alle deduzioni delle parti; c) nell'interpretazione delle prove abbiano esattamente applicato le regole della logica, le
massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione
delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di
determinate conclusioni a preferenza di altre.
Ne consegue che, ai fini della denuncia del vizio in esame, è indispensabile
dimostrare che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, per cui non può essere ritenuto legittimo l'opporre
alla valutazione dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato una diversa ricostruzione degli stessi, magari altrettanto logica, dato che in quest'ultima ipotesi verrebbe inevitabilmente invasa l'area degli apprezzamenti riservati al giudice di merito [Cass. SU 30.4.1997 n. 6402; Cass. Sez. I
21.9.1999 n. 12496; Cass. Sez IV 2.12.2003 n. 4842]. Infatti il controllo di
legittimità operato dalla Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione
dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se tale giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti
di una plausibile opinabilità di apprezzamento [Cass. 30.11.1999 n. 1004;
Cass. Sez. IV 2.12.2003 n. 4842].
Va da ultimo ancora osservato che la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione (ma che non siano
inequivocabilmente muniti di un chiaro carattere di decisività), non possono
dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio
della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati
estrapolati dal contesto. Al contrario, è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi, oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della
motivazione [Cass. Sez. 11 22.4.2008 n. 18163].
Passando al tema del travisamento va osservato che, a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma primo, lett. e) ad opera dell'art. 8 della L. n. 46 del
2006, mentre non è consentito dedurre il "travisamento del fatto" [Cass. Sez.
VI 14.2.2012 n. 25255], stante la preclusione per il giudice di legittimità di
sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella com- piuta nei precedenti gradi di merito, è invece, consentita la deduzione del
vizio di "travisamento della prova", che ricorre nel caso in cui il giudice di
merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o
su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che, in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti
elementi sussistano [Cass. Sez. H 23.5.2007 n. 23419; Cass. Sez. IV
10.7.2007 n. 35683; Cass. Sez. 5, 25.7.2007 n. 39048].
Sul tema va ancora precisato che la novella codicistica, introdotta con la L.
n. 46 del 2006, nel riconoscere la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad "atti processuali" (che devono essere
specificamente indicati nei motivi di impugnazione, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso medesimo), non ha comunque mutato la
natura del giudizio di Cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi
processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell'ambito di una valutazione unitaria, e devono essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento
stesso. [Cass. Sez. Il 11.1.2007 n. 7380]. In consonanza con quanto fin qui
richiamato, va ancora osservato che qualora la prova che si assume essere
stata travisata provenga da una fonte dichiarativa (deposizione testimoniale,
dichiarazione di un collaboratore di giustizia per es.), l'oggetto della stessa
deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico
semplice e non opinabile [in tal senso Cass. sez. IV 12.2.2008 In ced Cass.
rv 239533 ove in motivazione si è affermato che al di fuori degli evidenziati
limiti, dovendosi considerare la deposizione sempre il frutto della percezione soggettiva del testimone, la sua valutazione ha inevitabilmente chiamato
il giudice di merito a «depurare» il dichiarato dalle cause di interferenza
provenienti dal dichiarante, operazione che per essere apprezzata dal giudice
di legittimità presuppone la contezza non del singolo atto processuale, bensì
dell'intero compendio probatorio, nonché una analisi comparativa che rimane preclusa a suddetto giudice).
Alla luce dei suddetti principi va rilevato che il ricorso è manifestamente
infondato.
La Corte d'Appello, con motivazione perspicua, non illogica, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa degli imputati ha fornito ampia ed esauriente motivazione per affermare l'attendibilità della persona offesa che costituisce la prova principale del fatto ascritto agli imputati e ha indicato, attraverso una analisi critica le ragioni per le quali non ha ritenuto di credere a
quanto asserito dai testimoni indicati dalla difesa, nonché alla moglie della
stessa persona offesa, fornendo una spiegazione che non appare manifestamente illogica, ma frutto di una valutazione di merito non sindacabile in
questa sede.
La difesa non è stata in grado di fornire indicazione specifica e puntuale di
vizi della motivazione desumibili dalla lettura del testo del provvedimento
impugnato, così come richiesto dall'art. 606 I^ comma lett. e) cpp, né ha dedotto reali aspetti di travisamento della prova, così come delineato all'inizio di questa motivazione. P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di £ 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 21.11.2013 Per le suddette ragioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e i
ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali e
ciascuno della somma di E 1.000,00 alla Cassa delle ammende, così equitativamente detenninata la sanzione amministrativa prevista dall'art. 616 cpp,
da applicarsi, ravvisandosi nella condotta processuale dei ricorrenti estremi
di responsabilità.