Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8809 del 05/12/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8809 Anno 2013
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: LAPALORCIA GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) RANDO FEDERICO N. IL 28/08/1986
avverso l’ordinanza n. 387/2012 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
09/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GRAZIA
LAPALORCIA;
ria/sentite le conclusioni del PG Dott. 0–c, I 2 -2_13 Q 1.12_
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Data Udienza: 05/12/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del Riesame di Messina con ordinanza in data 9-7-2012, rigettando l’appello
proposto da Federico RANDO, confermava quella del Gip della stessa sede (14-5-2012)
reiettiva dell’istanza di sostituzione della misura degli arresti domiciliari e in subordine di
autorizzazione all’allontanamento dal luogo di esecuzione della misura per l’esercizio di attività
lavorativa.
dall’inizio della misura e il rispetto delle prescrizioni, sotto il secondo reputava l’attività
lavorativa prospettata -gestione di un bar di cui l’indagato è titolare-, incompatibile con le
esigenze specialpreventive, trattandosi di esercizio ubicato sull’isola di Salina dove Rando,
come da capi d’incolpazione provvisoria nn. 25 e 33, aveva acquistato rispettivamente 8 e 7
grammi di cocaina dal gruppo capeggiato da Santino Taranto. Inoltre non ricorrevano le
condizioni di indigenza richieste dalla norma in quanto l’indagato era stabilmente coadiuvato
nella gestione dell’attività dai familiari.
3. Con il ricorso proposto dal difensore si deducevano violazione di legge e difetto di
motivazione per non essersi tenuto conto, quanto alla richiesta di sostituzione della misura,
dell’effetto deterrente esercitato dal fatto che essa era in corso dal 4-4-2012, della condotta
collaborativa dell’indagato e dell’assenza di precedenti penali e di polizia; quanto alla richiesta
di esercitare attività lavorativa, del fatto che l’assicurazione di adeguati redditi tramite la
conduzione del bar da parte dei familiari, era smentita dalla documentazione e comunque non
vi era obbligo per i familiari di gestire l’attività e di mantenere il congiunto, mentre
l’incompatibilità dell’autorizzazione con le esigenze di cautela era correlata soltanto al titolo del
reato contestato.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è inammissibile in quanto ripropone questioni oggetto di puntuale disamina e
motivata reiezione nel provvedimento impugnato.
2.Quanto alle censure di violazione di legge e difetto di motivazione in ordine alla mancata
considerazione del tempo trascorso dall’applicazione della misura all’indagato, nonché della sua
condotta collaborativa e dell’assenza di precedenti a carico, si osserva che il tribunale ha
correttamente ritenuto, in linea con l’orientamento di questa corte (Cass. 39531/2006), che il
decorso del tempo, nella specie peraltro ritenuto breve, non è di per sé sintomatico di
attenuazione delle esigenze cautelari (così come non lo è il puntuale rispetto delle prescrizioni
inerenti alla misura, rispetto che è doveroso, pena l’aggravamento della misura previsto
dall’art. 276 cod. proc. pen. in caso di trasgressione), mentre il richiamo alla condotta
collaborativa del Rando è del tutto generico e l’assenza di precedenti penali e di polizia non
integra elemento dotato di carattere di novità, essendo quindi inidoneo ad influenzare il quadro
2

2. Il tribunale sotto il primo profilo riteneva insufficienti il decorso, peraltro breve, del tempo

cautelare. In sostanza, pertanto, gli elementi invocati sono o già esistenti al momento del
provvedimento genetico, oppure tali da poter acquistare valenza solo se accompagnati dalla
valutazione critica di altri elementi, nella specie non allegati, certamente sintomatici di un
mutamento della complessiva situazione inerente ai presupposti della cautela.
3. Le doglianze che investono la mancata autorizzazione all’esercizio di attività lavorativa
hanno costituito anch’esse oggetto di attenta considerazione nell’ordinanza impugnata sotto il
duplice profilo, il primo dei quali inerente all’incompatibilità della gestione del bar di cui
stato effettuato l’acquisto da parte del Rando dei due quantitativi di cocaina oggetto

di

provvisoria imputazione, la frequentazione del quale lo avrebbe rimesso nelle condizioni di
avere contatti con un numero indefinito di persone (ivi compresi i turisti nel periodo estivo),
con conseguente pericolo di reiterazione del reato; il secondo relativo alla mancanza dello stato
d’indigenza richiesto dalla norma essendo l’attività cogestita con i familiari i

quali l’avevano

proseguita dopo l’applicazione della misura al congiunto.
4.0rbene l’assunto secondo cui l’incompatibilità della gestione del bar con le esigenze cautelari
sarebbe stata genericamente ancorata alla tipologia del reato, è smentita dalla motivazione sul
punto dell’ordinanza, appena richiamata, che ha invece, con percorso immune da vizi logici,
ricostruito le modalità del fatto provvisoriamente ascritto, evidenziandone gli aspetti che
rendevano la gestione di un pubblico esercizio, dove in precedenza era circolata droga, del
tutto controindicata rispetto alle esigenze da salvaguardare.
4.1Va poi osservato che lo stato d’indigenza, la cui valutazione, trattandosi di previsione a
carattere eccezionale, deve essere ispirata a criteri di particolare rigore, è stato nella specie
escluso osservando in punto di fatto, con argomenti non manifestamente illogici, che dagli
accertamenti effettuati tramite i carabinieri del luogo era emerso che la gestione del bar è
un’attività abitualmente esercitata dai componenti del nucleo familiare del Rando, i quali nel
periodo estivo si avvalgono anche di personale stagionale. Il che consente di confermare anche
in diritto l’insussistenza dello stato di indigenza, in quanto l’accertamento di esso va effettuato,
secondo indirizzo giurisprudenziale di questa corte, non già con riferimento al solo indagato e
all’eventuale esistenza di un obbligo di mantenimento da parte dei familiari, bensì con riguardo
al reddito dell’intero nucleo familiare (Cass. 34235/2010), nella specie proveniente da un
pubblico esercizio, sito in località turistica, gestito da più persone legate da vincoli di parentela,
anche coadiuvate da terzi.
5.Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso seguono le statuizioni di cui all’art. 616 cod.
proc. pen., determinandosi in C 1000, in ragione della natura delle doglianze, la somma da
corrispondere alla cassa ammende.
P. Q. M.

3

l’indagato è titolare, con le esigenze specialpreventive, trattandosi di esercizio nel quale era

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 5-12-2012
Il Presidente

Il consiglier est.

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