Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8800 del 02/12/2015


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 8800 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: GRASSO GIUSEPPE

sul ricorso proposto da:
DRAMMEH EBRINA N. IL 01/01/1981
avverso la sentenza n. 7171/2014 TRIBUNALE di ROMA, del
16/04/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

Data Udienza: 02/12/2015

FATTO E DIRITTO

1. Il Tribunale di Roma con sentenza del 16/4/2014, all’esito di richiesta delle
parti ai sensi dell’art. 444, cod. proc. pen., applicò nei confronti Drammeh
Ebrima, imputata di violazione dell’art. 73, comma 5 del d.P.R. n. 309/1990, la
pena sospesa concordata dalle parti medesime di un anno di reclusione ed €.
4.000,00 di multa.

mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’entità della pena.

3. Il ricorso deve essere accolto, seppure in relazione ad argomentazioni diverse
da quelle addotte dal ricorrente.
All’imputata è stata riconosciuta l’ipotesi (all’epoca costituente attenuante) di cui
al comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, che, secondo la disciplina al
tempo vigente, importava una pena da uno a sei anni di reclusione e da 3.000 a
26.000 euro.
Con il decreto legge 20/3/2014, n. 36, siccome convertito con la legge
16/5/2014, n. 79, alla fattispecie in esame, riscritta come autonoma ipotesi di
reato, è stato attribuito un diverso e meno grave trattamento sanzionatorio: da
sei mesi a quattro anni di reclusione e da 1.032 a 10.329 euro di multa (nella
prima versione di reato autonomo minore introdotta con il D.L. 23/12/2013, n.
146, convertito nella L. 21/2/2014, n. 10, le cui previsioni sono state
prematuramente poste in crisi dalla sentenza della Corte cost. n. 32/014, con la
quale è stato dichiarata costituzionalmente illegittima l’equiparazione
trattamentale, a prescindere dalla qualità delle sostanze stupefacenti, operata
con la novella apportata all’art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 dall’art. 4bis, comma
1, lett. b, D.L. 30/12/2005, convertito nella L. 21/2/2006, n. 49, il reato
risultava punito con la reclusione da un anno a cinque anni e con la multa da
3.000 a 26.000 euro).
In sede di legittimità, si è più volte chiarito (Cass., Sez. V, n. 345 del
13/11/2002, Rv. 224220; Sez. I, n. 1711 del 14/4/1994, Rv. 197464) in siffatti
casi che il rispetto del principio di legalità della pena (comb. disp. art. 2, comma
4, cod. pen. e 129, comma 2, cod. proc. pen.) impone annullamento d’ufficio
della statuizione di merito. Salvo a registrasi contrasto sull’idoneità del ricorso
inammissibile a dar vita ad un tale esercizio officioso (in senso contrario: Sez. II,
n. 44667 dell’8/7/2013, Rv. 257612; Sez. V, n. 36293 del 977/2004, Rv.
230636; nel senso dell’ininfluenza: Sez. VI, n. 21982 del 16/5/2013).

2. Avverso la sentenza l’imputata propone ricorso per cassazione dolendosi del

Siccome condivisannente illustrato in profondità nella sentenza di questa stessa
Sezione n. 13903/14 del 28/2/2014, il principio di retroattività della norma più
favorevole si fonda sulla legge ordinaria (art. 2, comma 4, cod. pen.) e,
giudicata non pertinente l’evocazione degli artt. 13 e 25, Cost., sull’art. 3 Cost.
Pertanto

«Il livello di rilevanza dell’interesse preservato dal principio di

retroattività della lex mitior – quale emerge dal grado di protezione accordatogli
dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale convenzionale e dal diritto
comunitario – impone di ritenere che il valore da esso tutelato può essere

(quali – a titolo esemplificativo – quelli dell’efficienza del processo, della
salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della
funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell’intera
collettività nazionale connessi a valori costituzionali di primario rilievo; cfr.
sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n.353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n.
54 del 1993). Con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3
Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più
favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non
essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente
irragionevole» (C. cost. sent. n. 393/2006; per la giurisprudenza di legittimità,
Sez. 3, n. 34117 del 27/04/2006 – dep. 12/10/2006, Alberini e altro, Rv.
235051).
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 236 del 19/7/2011, dopo aver ripreso
le norme sovranazionali rilevanti in materia, ha escluso che l’art. 7 CEDU
imponga una maggior tutela della retroattività della lex mitior, anzi rilevando che
nella CEDU si rinviene il limite del giudicato, valicabile, invece, secondo lo stato
dell’elaborazione interna, oltre a segnare un’incidenza, per estensione di materia,
inferiore all’area delineata dall’art. 2, comma 4, cod. pen.

4. Ciò premesso, il patto, sotteso alla sentenza emessa ai sensi dell’art. 444,
cod. proc. pen., oggi risulta essersi formato in relazione ad una sanzione penale
da ritenersi ormai contra legem, dovendo trovare applicazione il nuovo regime
sanzionatorio più favorevole, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen., non
ostandovi nessuna delle superiori esigenze individuate dalla Corte Costituzionale
nella sentenza n. 393, sopra citata.
Ciò posto, caduto il patto, le parti restano libere di riformulare, alla luce del
nuovo trattamento penale, il nuovo accordo, il quale, è bene chiarire, ove i limiti
edittali nuovi lo consentano, può anche confermare, se del caso, la
quantificazione precedente.

sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo

5. S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della statuizione, con
trasmissione degli atti per il prosieguo (giudizio ordinario o nuovo
patteggiamento).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti al

Così deciso in Roma il 2/12/2015
Presidente

Tribunale di Roma.

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