Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 88 del 06/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 88 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. PACI Damiano, n. Trapani 18.8.1965
avverso la sentenza n. 514/2012 Corte di Appello di Palermo del 18/02/2013
che ha confermato la sentenza del 25/02/2009 dal Tribunale di Palermo, in composizione
monocratica, di condanna per i reati di tentata truffa aggravata di cui agli artt. 56, 640,
comma 2, n.1, 61 n. 11 cod. pen. e ricettazione di cui all’art. 648 cod. pen.
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G. dott. G. Pratola che ha concluso per
il rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. Luciano Termini che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso, nonché il difensore della parte civile, Lotterie Nazionale, avv. En313213 Busuito Eche ha
insistito per la conferma della sentenza impugnata, chiedendo la liquidazione delle spese della
presente fase, come da separata nota

RITENUTO IN FATTO
1. A seguito di decisione di annullamento con rinvio pronunziata da questa Corte di Cassazione, sez. 2, in data 08/11/2011 (sent. n. 2065/12), la Corte di Appello di Palermo, 2° Sezione
ha confermato la sentenza del locale Tribunale emessa il 25/02/2009, che aveva condannato
Damiano Paci alla pena di un anno e mesi cinque di reclusione ed C 700,00 di multa per i reati
di cui agli artt. 56, 640, comma 2, n.1, 61 n. 11 cod. pen. e di cui all’art. 648 cod. pen.
L’accusa consiste propriamente nell’aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a indurre in inganno, a fini d’ingiusto profitto, l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato
mediante richiesta di riscossione del premio di C 70.000,00 portato da un biglietto della lotteria

Data Udienza: 06/12/2013

“Dado Matto” risultato contraffatto, nella consapevolezza dell’illecita provenienza del titolo della vincita.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Paci, deducendo tre motivi di ricorso:

Il ricorrente censura l’affermazione di responsabilità operata dalla Corte territoriale in violazione del disposto dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. ed in spregio delle indicazioni fornite
dalla Corte regolatrice in sede di annullamento con rinvio. In particolare, deduce che la Corte
di Appello di Palermo ha ignorato completamente l’analisi dei punti fondamentali necessari per
valutare il fatto storico nella sua completezza ed in particolare la condotta del ricorrente successiva alla presentazione del biglietto (presentazione al funzionario di banca, rilascio di copia
di documenti validi, sollecitazione del pagamento a mezzo legale) già ritenuta dalla corte regolatrice “perfettamente lineare rispetto alla procedura di riscossione”; l’emergenza processuale
della non immediata riconoscibilità della contraffazione, accertata solo successivamente all’esito di lunghe e complesse analisi tecniche condotte negli Stati Uniti d’America; la denunziata
omessa motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di tentata
truffa in punto idoneità degli artifici e raggiri concretamente posti in essere dall’imputato.
Si deduce, inoltre, che la Corte territoriale ha affermato la sussistenza dell’elemento soggettivo
dei reati e l’inverosimiglianza della versione del Paci, con argomentazioni riprese dalla motivazione della decisione di primo grado tuttavia smentite dalle risultanze processuali, in particolare con riguardo: alla pretesa imprecisione del racconto dell’imputato circa luogo e modalità di ritrovamento del biglietto, invece dettagliatamente descritti nel corso dell’esame cui il Paci
si era sottoposto all’udienza del 10/12/2008; alla verifica della genuinità del biglietto che l’imputato avrebbe omesso prima della presentazione, non imposta né dal titolo né dal regolamento di gioco; alla sussistenza di evidenti anomalie sul biglietto, circostanza espressamente
smentita dalla deposizione del teste di parte civile Caruso; alla definizione del Paci come abituale giocatore, frutto di mera illazione; all’affermata inverosimiglianza della tesi difensiva del
rinvenimento casuale, asseritamente corroborata solo dalle dichiarazioni rese dalla moglie nel
giudizio di primo grado, circostanza quest’ultima clamorosamente smentita dal fatto che la moglie del Paci non aveva mai deposto come testimone nel processo.
La Corte avrebbe, infine, postulato una ricostruzione dei fatti precedente la condotta ascritta
all’imputato del tutto soggettiva, avendo ipotizzato, sia pure al mero fine di escluderne l’evenienza in concreto, che altri avesse abilmente falsificato il biglietto, volutamente abbandonandolo al fine di trarre in inganno colui che l’avesse rinvenuto;
b) violazione di legge ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli
artt. 47, 640 e 648 cod. pen.
Si deduce che la Corte territoriale non ha ravvisato la ricorrenza di un evidente errore sul fatto,
idoneo ad escludere la sussistenza dell’elemento psicologico del reato di ricettazione, essendosi
lo stesso concretizzato in una difettosa ricostruzione della realtà da parte dell’imputato con la
conseguente alterazione del suo processo intellettivo, tale da rendere evidente la sussistenza
della buona fede;

a) violazione di mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e travisamento del fatto ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod.
proc. pen. in relazione agli artt. 192 e 627, comma 3, cod. proc. pen.

c) violazione di mancanza e manifesta illogicità della motivazione dell’art. 606, comma 1, lett.
e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 192 e 627, comma 3, cod. proc. pen., agli artt. 27,
comma primo, Cost. e 6 CEDU, agli artt. 530, comma 2, e 533, comma 1, cod. proc. pen.
Riproponendo un motivo presente già nel precedente ricorso, il ricorrente lamenta, infatti, come la Corte territoriale abbia ribadito la sua responsabilità in ordine ai reati contestatigli in violazione del principio dell’affermazione di colpevolezza solo al di là di ogni ragionevole dubbio,
posto che alla base della condanna confermata dalla Corte territoriale vi sarebbe piuttosto il
mancato raggiungimento della prova della sua innocenza.

L

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.

I presupposti di fatto cui ancorare la verifica della sussistenza dell’elemento psicologico del
reato di ricettazione avrebbero, inoltre, trovato smentita nella circostanza che la tipologia della
contraffazione non risultava chiaramente riconoscibile neppure agli addetti ai lavori; sarebbe
stata, infine, del tutto omessa ogni motivazione in ordine alla sussistenza degli elementi del
reato di tentata truffa.
Come è dato notare, la sentenza di rinvio non ha posto un principio di diritto vincolante, mirando piuttosto sollecitare il giudice di merito a rivalutare le fonti di prova, pur senza precludere la
possibilità di pervenire ai medesimi esiti decisori.
La giurisprudenza di questa Corte è, infatti, costante nell’affermare che non viola l’obbligo di
uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio il quale, dopo l’annullamento per vizio di
motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede
di legittimità; gli eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non risultano, infatti, vincolanti per il giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente
come punti di riferimento al fine dell’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi,
come dati che s’impongono per la decisione a lui demandata (Cass. sez. 4, n. 44644 del 18/10
/2011, Rv. 251660) e ancora che nel caso in cui l’annullamento sia stato pronunciato, come
nella specie, per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, il giudice del rinvio può
procedere a un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, Montali, Rv. 252333).
Ciò premesso, ritiene il collegio che il giudice del rinvio abbia assolto all’onere di rivalutare il
compendio probatorio acquisito, fornendo adeguata motivazione delle ragioni su cui ha fondato
la tesi della sua sufficienza per affermare la responsabilità dell’imputato.
Sfuggono, infatti, a censure di carattere logico, le valutazioni in fatto in ordine all’imprecisione
del racconto dell’imputato circa la modalità di rinvenimento del biglietto vincente, nonché in
ordine all’omesso controllo preventivo della genuinità del titolo di vincita, certamente non imposto dalle prescrizioni ivi riportate né dal regolamento di gioco, ma la cui attuazione costituisce prassi di assoluto buon senso cui anche una persona con scarse conoscenze giuridiche è
solita ricorrere in casi analoghi; così come sfugge a censure di ordine logico la valutazione del
fatto che il biglietto dichiarava altre vincite oltre a quella dell’importo di Euro 70.000,00, circostanza che pure non aveva allarmato l’interessato.
Né la forza logica di tali valutazioni risulta inficiata dall’obiettivo errore in cui la Corte territoriale è sicuramente incorsa, laddove e al fine di sminuire la valenza liberatoria della tesi difensiva, ha affermato che solo la testimonianza della moglie aveva fornito riscontro alla tesi del
rinvenimento fortuito.
Posto, infatti, che risulta pacificamente dagli atti che la moglie del Paci non ha mai reso testimonianza nel corso del giudizio di primo grado, appare tuttavia evidente come l’argomento erroneamente speso dal giudice di merito non esplichi in realtà alcun rilievo nel rafforzare o sminuire l’efficacia delle predette argomentazioni.

Va premesso che, nel caso in esame, l’annullamento della sentenza del giudice di secondo grado è intervenuto per difetto di motivazione e, in particolare, per il ritenuto deficit argomentativo sull’inidoneità del ragionamento ad excludendum prospettato dalla Corte territoriale rispetto al comportamento riferito dal ricorrente: in altri termini, non sarebbe stata adeguatamente
spiegata l’inverosimiglianza del rinvenimento fortuito del biglietto sostenuto dall’imputato,
avendo i giudici di merito dedotto l’assenza di buona fede del ricorrente secondo una regola di
esperienza oltre modo soggettivistica, in particolar modo se rapportata al suo comportamento
successivo (presentazione al funzionario di banca, rilascio di copia di documenti validi, sollecitazione di pagamento a mezzo legale).

Così è anche a dirsi della ricostruzione dei fatti precedente il rinvenimento fortuito, che la difesa censura come frutto di mera illazione dei giudici di merito: trattasi all’evidenza di un mero
artificio argomentativo che non incide sulla tenuta logica e sulla coerenza delle argomentazioni
che hanno ritenuto inverosimile la tesi difensiva sul punto.

Dato che, infatti, quella ora indicata costituisce una mera valutazione, non vincolante né per il
giudice di rinvio e tantomeno per questo collegio, resta da comprendere come possa la stessa
condividersi ove solo si consideri che l’essersi asseritamente rivolto ad un consulente legale per
ottenere il pagamento della pretesa vincita avrebbe di necessità posto all’imputato il problema
della mancata attivazione da parte sua del procedimento che s’impone a tutti i cittadini in caso
di rinvenimento di cose altrui (artt. 927 e segg. cod. civ.), quand’anche esse non rechino manifestamente i segni dell’altrui proprietà com’è nel caso del denaro o di beni di valore (tesoro),
procedimento che com’è noto trova espressa sanzione penale nell’art. 647 cod. pen.
Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in ordine alla pretesa carenza motivazionale inerente il
contestato reato di tentata truffa, che la Corte territoriale ha ravvisato nella condotta della presentazione da parte del ricorrente del biglietto contraffatto all’istituto di credito, nella consapevolezza della ritenuta provenienza delittuosa.
Secondo i giudici di merito tale comportamento è sufficiente ad integrare il reato de quo e del
resto se la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato il principio che integra il reato di
tentata truffa l’esibizione al personale di compagnia telefonica di alcune false ricevute di pagamento al fine di trarla in inganno e così convincerla a non reclamare ulteriormente il pagamento di quelle bollette ovvero a non sospendere l’erogazione del servizio per morosità del
cliente (Cass. Sez. 2, sent. n. 2730 del 26/10/2011, P.G. in proc. Boccuto, Rv. 251779) e se
l’ordinamento penale prevede espressamente la punibilità di condotte fraudolente che si esauriscono nella mera presentazione non solo di documenti falsi ma anche di dichiarazioni attestanti situazioni in veritiere com’è nel caso dell’art. 316 ter cod. pen., non si vede quale
particolare obbligo motivazionale debba essere assolto dal giudice di merito, una volta affermato che il titolo di una pretesa vincita di gioco risulta contraffatto e che il relativo presentatore è consapevole della contraffazione.
4. In forza dei predetti rilievi, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali nonché di una somma in favore della Cassa per le Ammende che si reputa equo determinare in C 1.000,00 (mille).
5. Il ricorrente va, inoltre, condannato alla rifusione delle spese processuali sopportate dalla
parte civile costituita Lotterie Nazionali che, per questa fase processuale, stima equo liquidare
nella somma di C 2.500,00 oltre accessori di legge.

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di C .000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusion delle spese, che liquida nella somma di C 2.500,00 oltre accessori di legge, in
favore della p e civile Consorzio Lotterie Nazionali.
Roma, 06/12/’013

In altri termini, ritiene questo collegio che, rovesciando totalmente l’ultima delle censure difensive circa l’affermazione di responsabilità dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio, la Corte
territoriale abbia ritenuto del tutto irragionevole il dubbio prospettato dal Paci in ordine alla
sussistenza della buona fede, anche a voler considerare la condotta successiva al rinvenimento
del titolo di vincita, ritenuta lineare dalla sentenza di annullamento.

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