Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8768 del 11/11/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8768 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ZURRU MARIO N. IL 08/12/1947
avverso la sentenza n. 3490/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/09/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;

Data Udienza: 11/11/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Zurru Mario ha proposto ricorso avverso il provvedimento indicato in
epigrafe, con il quale é stata confermata la condanna del ricorrente a pena
ritenuta equa per i reati previsti dall’art. 189, rispettivamente ai commi 6 e 7
Cod. str.
Ci si duole della violazione di legge in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. e
del vizio motivazionale nei quali sarebbe incorso il giudice di secondo grado nella
valutazione della prova. La valutazione di inattendibilità del teste della difesa

1″imputato e all’avvenuto risarcimento del danno da parte della compagnia di
assicurazione dello Zurru, nonostante tale circostanza possa rispondere a
motivazioni meramente economiche; inoltre il giudizio di attendibilità dei testi
dell’accusa non tiene conto delle contraddizioni interne alle dichiarazioni degli
stessi, oggetto di motivo di appello.
Ci si duole, altresì, che l’attendibilità della persona offesa Lazzaroni sia stata
affermata per il solo fatto che sono state ritenute inverosimili le dichiarazioni
dell’imputato.

2. In data 3.11.2015 il ricorrente ha depositato ‘Memoria difensiva’ con la
quale ribadisce le censure e le argomentazioni proposte con il ricorso.

3. Il ricorso é inammissibile. Giova rammentare che in tema di violazione di
legge processuale, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso della rilevanza
delle sole violazioni che risultino sanzionate. In particolare si afferma che, poiché
la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto
sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come
espressamente disposto dall’art. 606, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., non
è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod.
proc. pen., con riferimento all’attendibilità dei testimoni dell’accusa, la cui
inosservanza non è in tal modo sanzionata, atteso che il vizio di motivazione non
può essere utilizzato sino a ricomprendere ogni omissione o errore che concerna
l’analisi di determinati e specifici elementi probatori (Sez. 3, Sentenza n. 44901
del 17/10/2012, F., Rv. 253567). Ed ancora, che è inammissibile il motivo di
ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in
relazione agli artt. 125 e 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., per
censurare l’omessa o erronea valutazione di ogni elemento di prova acquisito o
acquisibile, in una prospettiva atomistica ed indipendentemente da un raffronto
con il complessivo quadro istruttorio, in quanto i limiti all’ammissibilità delle
doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma

Giammarusti sarebbe illogica perché assegna valore al rapporto di amicizia con

primo, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo
di cui all’art. 606, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., nella parte in cui
consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di
nullità (Sez. 6, Sentenza n. 45249 del 08/11/2012, Cimini e altri, Rv. 254274).
La prospettiva dalla quale, in sede di giudizio di legittimità, può quindi
guardarsi all’art. 192 cod. proc. pen. è quella del vizio motivazionale. Ciò
significa che va eseguito il controllo sul rispetto, da parte del giudice di merito,
dei criteri dettati in materia di valutazione delle prove dall’art. 192 cod. proc.

della correttezza e della logicità del discorso motivazionale (Sez. 6, Sentenza n.
20474 del 15/11/2002, Caracciolo, Rv. 225245). Ove si tratti, poi, di processi
indiziari, alla Corte di Cassazione spetta soltanto il sindacato sulle massime di
esperienza adottate nella valutazione degli indizi nonché la verifica sulla
correttezza logico-giuridica del ragionamento seguito e delle argomentazioni
sostenute per qualificare l’elemento indiziario, ma non un nuovo accertamento,
nel senso della ripetizione dell’esperienza conoscitiva del giudice del merito. Ne
discende che l’esame della gravità, precisione e concordanza degli indizi da parte
del giudice di legittimità è ancora una volta controllo della completezza, della
correttezza e della logicità del discorso motivazionale.
Tenuto conto di tali premesse é agevole osservare che la manifesta illogicità
a riguardo del giudizio di inattendibilità del Giammarusti consisterebbe nell’aver
rilevato la Corte di Appello la relazione amicale con l’imputato e nell’aver tenuto
conto dell’avvenuto risarcimento del danno da parte della compagnia
assicuratrice; affermazioni sulla cui ‘forza’ dimostrativa si può opinare ma che
non danno luogo a quella manifesta illogicità che deve risultare dal testo stesso
della sentenza impugnata.
Si censura poi una valutazione della prova condotta solo su alcuni elementi
di prova; ma anche in tal caso – non potendo trovare ingresso il travisamento
della prova per omissione, stante la ricorrenza di una cd. doppia conforma (cfr.
Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 – dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv.
243636; Sez. 4, n. 44756 del 22.10.2013, Buonfine ed altri, n.m.) – il vizio che il
ricorrente avrebbe dovuto dimostrare é quello della manifesta illogicità della
motivazione, in alcun modo allegata. Sicchè il ricorso pretende di affermare una
situazione di fatto diversa da quella accertata nei gradi di merito ed esplicata con
puntuale motivazione, sollecitando questa Corte a farla propria. Trattasi quindi
di motivi non consentiti in sede di legittimità.

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pen.; controllo seguito con il ricorso ai consueti parametri della completezza,

4. Segue alla declaratoria di inammissibilità la condanna al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle
ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11/11/2015.

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