Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8739 del 16/11/2012


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8739 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli avverso
l’ordinanza emessa quale giudice di rinvio dal Tribunale di Napoli in data 5 marzo 2012 nei
confronti di
LA MONICA Enrico Giuseppe Francesco, n. Vibo Valentia il 6 ottobre 1967

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott.Aurelio Galasso, che ha chiesto il
rigetto del ricorso;
sentito il difensore avv. Domenico Mariano, anche in sostituzione dell’avv. Bruno Ganino del foro
di Vibo Valentia, che ha chiesto il rigetto del ricorso
osserva:

t,

Data Udienza: 16/11/2012

In data 13 giugno 2011 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, in
parziale accoglimento della richiesta del pubblico ministero, disponeva l’applicazione della misura
cautelare della custodia in carcere nei confronti, tra gli altri, di La Monica Enrico Giuseppe
Francesco in ordine al reato di concorso in concussione ai danni dell’imprenditore Gallo Alfonso
(capo N) per avere, quale sottufficiale dei Carabinieri in servizio presso la sezione anticrimine di
Napoli, su impulso del deputato Papa Alfonso e in concorso con lo stesso, abusando delle rispettive
SDI, i dati relativi all’imprenditore Gallo al quale il Papa offriva “protezione” attraverso
l’assunzione di ulteriori informazioni e l’intercessione presso la sua vasta rete di relazioni con
persone potenti, inducendolo così a corrispondergli varie utilità tra cui il pagamento di oggetti
preziosi, soggiorni in alberghi in favore dello stesso deputato e di persone a lui vicine, contratti di
consulenza fittizi per amiche e conoscenti. La misura cautelare veniva disposta nei confronti del La
Monica anche in relazione al reato di corruzione (capo P) per avere il La Monica acquisito o fatto
acquisire, su incarico del parlamentare, notizie e informazioni riservate inerenti a procedimenti
penali presso le banche dati delle forze di polizia, così compiendo atti contrari ai doveri di ufficio,
in cambio della promessa da parte del deputato (e di Lavitola Valter) di raccomandarlo per inserirlo
nei ruoli dell’AISE. I fatti in questione erano stati accertati in Napoli tra il gennaio e l’aprile 2011.
L’ordinanza non veniva eseguita nei confronti del La Monica, resosi latitante.
Con ordinanza in data 12 luglio 2011 l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare
veniva confermata nei confronti del La Monica in sede di riesame dal Tribunale di Napoli.
L’ordinanza del Tribunale del riesame, con sentenza in data 7 novembre 2011, veniva annullata
con rinvio nei confronti del La Monica dalla VI sezione penale di questa Corte per i seguenti
motivi:
1) con riferimento al reato di concussione (capo N), non era stato chiarito se effettivamente
fosse stato il m.11o La Monica a effettuare l’interrogazione al CED il 31 agosto 2007 sulla posizione
dell’imprenditore Gallo e, comunque, non era stato approfondito il collegamento tra quest’abusiva
interrogazione al CED, risalente all’estate 2007, e il fatto contestato, che risultava accertato nei
primi mesi dell’anno 2011, considerato anche che il Gallo aveva riferito di una pressione effettuata
nei suoi confronti dal Papa per vari anni, in maniera continuativa e reiterata, a partire dall’anno
2006; inoltre, non risultava accertato se il La Monica fosse consapevole di contribuire alla condotta
intimidatoria messa in atto nei confronti dell’imprenditore dal Papa, il quale ne aveva tratto un
tornaconto personale in via esclusiva, o non si fosse invece limitato ad una condotta inquadrabile
nelle ipotesi di reato previste dagli artt.326 o 615 ter c.p.;

funzioni e qualità, acquisito dal CED del Ministero degli Interni, attraverso l’accesso alla banca dati

3

g

2) quanto al reato di corruzione (capo P), nella formulazione dell’addebito era contenuto il
riferimento a plurime condotte di acquisizione illecita di notizie e informazioni riservate descritte
nei precedenti capi, mentre, tranne che per il capo N, per le altre condotte delittuose contestate ai
capi B (concussione in danno di Guseppe De Martino), C (favoreggiamento di Stefania Tucci), D
(favoreggiamento di Denis Verdini), H (favoreggiamento di Nicola Cosentino), I (favoreggiamento
dei componenti della cd.P3), L (corruzione di Valter Lavitola), M (corruzione di Angelo
Chiorazzo), O (concussione in danno di Marcello Fasolino) il giudice per le indagini preliminari
aveva escluso la gravità indiziaria e, di conseguenza, non risultava adeguatamente dimostrato il
sinallagma posto a fondamento dell’addebito; infatti se risultava che effettivamente il La Monica,
per realizzare la sua aspirazione di entrare a far parte dei servizi segreti militari, avesse cercato in
vari modi di farsi raccomandare (da Lavitola e da Bisignani tramite tale La Motta, oltre che dal
Papa), l’interessamento del Papa si era concretato solo nell’anno 2011, mentre l’abusivo accesso
alla banca dati delle forze di polizia per verificare la posizione del Gallo risaliva al 2007 (era quindi
antecedente alla “raccomandazione” di ben quattro anni) e non era dimostrato, comunque, che
l’intervento del parlamentare fosse stato condizionato all’acquisizione di notizie riservate da parte
del La Monica.
Il Tribunale di Napoli con ordinanza in data 5 marzo 2012, all’esito del giudizio di rinvio, ha
annullato l’ordinanza impugnata disponendo la cessazione delle ricerche del La Monica.
Il giudice di rinvio ha ritenuto, quanto al reato di concussione (capo N), che doveva ritenersi
accertato, sulla base dell’ulteriore produzione documentale del pubblico ministero, che l’accesso al
CED registrato il 31 agosto 2007 con riferimento alla posizione del Gallo era stato effettuato
utilizzando la USER ID e la password (non visualizzabile, ovviamente) del m.11o La Monica; che
dalle intercettazioni telefoniche tra il deputato Papa e il La Monica antecedenti al 10 settembre 2010
(data di identificazione dell’interlocutore telefonico del La Monica nel parlamentare), ritenute
utilizzabili solo nei confronti del ricorrente, emergevano l’estrema familiarità e la palese complicità
tra i due ed anche la consapevolezza da parte del m.11o dell’uso che il deputato faceva delle
informazioni riservate fornitegli (venivano a tal fine riportate le conversazioni intercettate il 4,1’8. il
9 e il 10 settembre 2010). Tuttavia, ha osservato il giudice di rinvio, i rilievi critici espressi dalla
Corte di cassazione sull’insufficiente dimostrazione del collegamento tra la condotta del La Monica
nel 2007 e l’attività concussiva, accertata secondo la contestazione tra il gennaio e l’aprile 2011,
non lasciano “alcuno spazio ad integrazioni motivazionali, non emergendo dagli atti ulteriori
elementi idonei a corroborare l’ipotesi accusatoria recepita dal Tribunale, .fOndata sulla ritenuta
configurabilità di un’attività delittuosa reiterata e continuativa posta in essere in esecuzione di un

a.

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medesimo disegno criminoso ordito dal Papa (nei cui confronti, in relazione a tale imputazione, la
gravità del quadro indiziario risulta confermata dal Tribunale del riesame e dalla stessa Suprema
Corte, con conseguente .formazione del cd. giudicato cautelare) ai danni di Gallo Alfonso”. Anche
hi ordine al reato di corruzione il giudice di rinvio, dopo aver riportato la motivazione sul punto del
provvedimento annullato e della sentenza della VI sezione penale di questa Corte di annullamento
con rinvio (nella quale, tra l’altro, si osservava che l’incontro del La Monica con il generale
Santangelo dell’ottobre 2010, per un colloquio propedeutico al suo inserimento nel servizi segreti
militari, era stato utilizzato solo come elemento di riscontro alle generiche dichiarazioni
dell’avvocato Patrizio Della Volpe, e non come elemento probatorio autonomo circa la promessa di
un interessamento del Papa in cambio dell’atto contrario ai doveri di ufficio da parte del ricorrente),
ha ritenuto che, in mancanza di ulteriori elementi indiziari idonei a corroborare l’ipotesi accusatoria
con specifico riferimento alla conclusione dell’accordo corruttivo, si imponesse l’annullamento del
titolo custodiale.
Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione l’ufficio del pubblico ministero. Con il
ricorso si deduce, quanto al capo N, che erroneamente il giudice di rinvio non aveva preso in
considerazione, al fine di dimostrare il collegamento tra la condotta del La Monica tendente ad
acquisire illegalmente notizie sul conto del Gallo nell’anno 2007 e le successive condotte
concussive del Papa nell’anno 2009, alcune conversazioni telefoniche intercettate successivamente
alla data di identificazione dell’interlocutore del La Monica nel deputato Papa (10 settembre 2010),
segnatamente le conversazioni intercettate il 23 settembre, il 15 ottobre, il 23 ottobre 2010
sull’utenza in uso al La Monica (conversazioni riportate integralmente nel ricorso) in cui si farebbe
chiaro riferimento all’imprenditore Alfonso Gallo allorché si parla del “polletto da fare un
pochettino nero”, di “quel polletto”, della “famiglia polletti”. La mancata utilizzazione di dette
conversazioni telefoniche sarebbe dovuta, secondo l’ufficio del pubblico ministero ricorrente, ad
un’illegittima interpretazione degli artt.4 e 6 della legge n.140 del 2003 fatta nell’ordinanza
cautelare dal giudice per le indagini preliminari e recepita dal Tribunale del riesame, circa
l’inutilizzabilità, oltre che nei confronti del parlamentare in mancanza di autorizzazione della
Camera di appartenenza, anche nei confronti del non parlamentare (il La Monica, in questo caso)
delle intercettazioni coivolgenti il deputato Papa a partire dal 10 settembre 2010, perché dalla data
in questione “era altamente probabile che intercettando i terzi non parlamentari si intercettava il
parlamentare”. Nel ricorso viene richiamata l’attenzione sulla sentenza della Corte costituzionale
n.390/2007 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art.6 della legge 11.140/2003, nella
parte in cui prevedeva che anche nei confronti diversi dal membro del Parlamento, le cui
conversazioni o comunicazioni fossero state intercettate, l’utilizzazione fosse subordinata

,1

5
all’applicazione della disciplina ivi prevista) e sulle successive sentenze n.113/2010 e n.114/2010.
In dette pronunzie si era tenuto conto non solo del pericolo che un’intercettazione solo formalmente
diretta nei confronti di soggetti non parlamentari potesse tradursi in un’elusione delle prerogative
costituzionali, ma anche del rischio che un’indebita dilatazione dell’ambito applicativo dell’art.4
della legge 140/2003 potesse trasformarsi in un privilegio paradossale per coloro che, non
parlamentari, si trovassero ad interloquire con membri delle Camere. In particolare nella sentenza
colloqui del parlamentare con il terzo intercettato non venivano considerati elementi sufficienti per
ritenere le intercettazioni in questione intercettazioni indirette, miranti

cioè a captare le

conversazioni del parlamentare (nei confronti del quale, peraltro, l’utilizzazione delle intercettazioni
sarebbe comunque soggetta ad autorizzazione successiva della Camera di appartenenza) anche se in
apparenza colpiscono un soggetto terzo. Nel ricorso si richiamano anche la sentenza di
annullamento con rinvio della sezione feriale di questa Corte in data 9 settembre 2010 e il
conseguente provvedimento del giudice di rinvio, il Tribunale di Roma, in ordine alla ritenuta
necessità di verificare, caso per caso, se e quando l’intercettazione di un soggetto diverso dal
parlamentare sia in realtà finalizzata ad intercettare indirettamente il parlamentare. La mera non
occasionalità delle intercettazioni cui prende parte il parlamentare e il coinvolgimento di
quest’ultimo nel reato attribuito all’indagato intercettato-secondo il pubblico ministero ricorrentenon consentirebbero di ritenere “indirette” le intercettazioni, occorrendo un quid pluris come ad
esempio il prosieguo delle intercettazioni anche quando non è più necessario per accertare la
responsabilità dei soggetti direttamente intercettati. In concreto, si sostiene nel ricorso, la data del
10 settembre 2010 era solo quella di identificazione dell’interlocutore del La Monica nel deputato
Papa, del tutto irrilevante al fine di stabilire il momento a partire dal quale diventava prevedibile
che intercettando il terzo si intercettava il parlamentare (nel caso di specie le intercettazioni erano
cominciate da poche settimane, il La Monica non era stato identificato in quanto utilizzava
un’utenza di telefonia mobile intestata da altra persona, il Papa non era sottoposto ad indagini
poiché solo in data 17 settembre 2011 si era proceduto alla sua iscrizione nel registro degli indagati
per i reati di cui agli artt.416 e 326 c.p.; le indagini in corso riguardavano la vicenda Trenitalia-De
Martino).
Con riferimento al reato di corruzione (capo P) nel ricorso si sostiene che il provvedimento
impugnato sarebbe immotivato su un punto decisivo, costituito dall’esistenza del rapporto causale
tra le due condotte (la promessa di interessamento di Papa e la violazione dei segreti di ufficio da
parte del La Monica) che poteva essere desunto anche da un accordo tacito, per ficta concludentia;
in particolare nell’ordinanza impugnata non sarebbe stato approfondito il contenuto delle

n.114/2010 la circostanza che il parlamentare sia raggiunto da indizi di reità e la natura abituale dei

e
• er’,

dichiarazioni di Bisignani e Lavitola che avrebbe reso evidente l’esistenza di due distinti accordi
corruttivi del La Monica, uno con Lavitola e l’altro con il duo Papa-Bisignani.

Il ricorso è solo parzialmente fondato.
Quanto al reato di concorso in concussione (capo N), nel ricorso sostanzialmente ci si duole
valutare alcune conversazioni telefoniche intercettate sull’utenza telefonica in uso al La Monica
successivamente alla data (10 settembre 2010) di identificazione del suo interlocutore nel deputato
Papa. Secondo il pubblico ministero ricorrente, in dette conversazioni, che non sono state prese in
considerazione nell’ordinanza impugnata, vi sarebbero inequivoci riferimenti all’imprenditore
Gallo, identificato nel “polletto da fare un pochettino nero” di cui si parla in un contesto allusivo
che consentirebbe di ravvisare un collegamento tra l’illegale acquisizione di notizie nell’anno 2007
sul conto del Gallo da parte del La Monica e le successive condotte concussive messe in atto dal
parlamentare nell’anno 2009, secondo l’ipotesi accusatoria in concorso con lo stesso La Monica.
Premesso che il contenuto delle conversazioni telefoniche in questione è oggetto di una
valutazione di mero fatto e che non è in discussione in questa sede la sua significatività o rilevanza
dal punto di vista indiziario nei confronti dell’indagato La Monica, la questione giuridica posta dal
pubblico ministero ricorrente riguarda la possibilità -esclusa dal giudice per le indagini preliminari
nell’ordinanza custodiale con ampia e articolata motivazione (ff.60ss.) e, implicitamente, anche dal
giudice del riesame in sede di rinvio (nel precedente giudizio di riesame il problema non si era
posto, essendo ricorrente l’indagato nei cui confronti il materiale probatorio era stato comunque
ritenuto sufficiente a legittimare la restrizione cautelare della libertà personale)- di utilizzare nei
confronti del soggetto non parlamentare le conversazioni telefoniche intercettate sull’utenza nella
sua disponibilità successivamente all’identificazione dell’interlocutore in un parlamentare (nei cui
confronti, in mancanza di autorizzazione della Camera di appartenenza, l’inutilizzabilità è pacifica).
A questo riguardo la Corte ritiene che non possa, in linea di principio, escludersi
l’utilizzabilità processuale nei confronti del terzo delle intercettazioni disposte in luogo o su utenza
nella sua disponibilità cui abbia preso parte casualmente un parlamentare, anche dopo che
quest’ultimo sia stato identificato nell’interlocutore del soggetto intercettato.
Va premesso che solo nei confronti del parlamentare l’utilizzabilità delle intercettazioni cd.
casuali o fortuite è soggetta ad autorizzazione successiva della Camera di appartenenza, come

del fatto che il Tribunale di Napoli, nel pronunciarsi in sede di giudizio di rinvio, abbia omesso di

9affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.390 del 23 novembre 2007 dichiarativa di
parziale illegittimità costituzionale dell’art.6 commi 2, 5 e 6 legge n.140 del 2003 (Disposizioni per
l’attuazione dell’art.68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti di alte
cariche dello Stato), nella parte in cui stabiliva che la disciplina ivi prevista si applicasse anche nei
casi in cui le intercettazioni dovessero essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro
del Parlamento le cui conversazioni fossero state intercettate. La disciplina delle intercettazioni
della garanzia prevista dall’art.68, comma terzo, della Costituzione in quanto, per il carattere
imprevisto dell’interlocuzione del parlamentare, sarebbe impossibile chiedere l’autorizzazione
preventiva ex art.4 legge n.140 del 2003 che trova invece applicazione tutte le volte in cui il
parlamentare sia individuato in anticipo quale destinatario dell’attività di captazione, ancorché
questa abbia luogo monitorando utenze di soggetti diversi. Rientrano invece nella garanzia
costituzionale dell’autorizzazione preventiva le intercettazioni dirette (alle quali il parlamentare
venga sottoposto non solo quale indagato, ma anche quale persona offesa o informata sui fatti, su
utenze o in luoghi appartenenti al soggetto politico o nella sua disponibilità) e quelle cd. indirette,
intese come captazioni delle conversazioni del membro del Parlamento effettuate ponendo sotto
controllo i suoi interlocutori abituali in un contesto tale da far ritenere che le intercettazioni siano
indirettamente volte a captare le conversazioni del parlamentare.
Va osservato che la copiosa giurisprudenza costituzionale e di legittimità in materia di
intercettazioni “casuali” di conversazioni o comunicazioni di parlamentari nell’ambito di operazioni
che abbiano come destinatarie persone terze, situazione disciplinata dall’art.6 comma 1 legge
n.140/2003, è stata analizzata nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare, interamente
recepita dal Tribunale del riesame, con scrupolo e attenzione. In particolare è stato esaminato il
contenuto della sentenza della Corte costituzionale n.113 del 2010 in cui si chiarisce che
nell’ambito di un’attività di captazione articolata e prolungata nel tempo, in cui la verifica
dell’occasionalità delle intercettazioni coinvolgenti il parlamentare deve necessariamente essere
particolarmente stringente, nel caso in cui emergano dall’attività di intercettazione non soltanto
rapporti di interlocuzione abituale tra il soggetto intercettato e il parlamentare, ma anche indizi di
reità nei confronti di quest’ultimo, non si può escludere che le ulteriori intercettazioni possano
risultare finalizzate, nelle strategie investigative dell’organo inquirente, a captare non più soltanto le
comunicazioni del terzo titolare dell’utenza, ma anche quelle del suo interlocutore parlamentare per
accertarne le responsabilità penali, con la conseguenza che le successive captazioni delle
comunicazioni del membro del Parlamento diventerebbero mirate, quindi “indirette”, esigendo
l’autorizzazione preventiva della Camera ai sensi dell’art.4 della legge n.140 del 2003. Nella

“casuali” esula -come puntualizzato dalla Corte costituzionale nella sentenza citata- dall’ambito

successiva sentenza n.114 del 2010 la Corte costituzionale ha ulteriormente chiarito che, al fine di
affermare o escludere la “casualità” dell’intercettazione coinvolgente il parlamentare, occorre aver
riguardo a molteplici parametri significativi quali la natura dei rapporti intercorrenti tra il
parlamentare e il terzo sottoposto a intercettazione, il tipo di attività criminosa oggetto di indagine,
il numero delle conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare, l’arco di tempo entro il quale
tale attività di captazione è avvenuta, anche rispetto ad eventuali proroghe delle autorizzazioni e al
ordinanze n.263 del 2010 e n.171 del 2011 della Corte costituzionale nonché nella sentenza di
questa Corte, sezione feriale, n.34244 del 9 settembre 2010, tic. Lombardi e altro.
Nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare il giudice per le indagini preliminari si
è posto in modo problematico l’individuazione, soprattutto nei casi in cui emergano
progressivamente indizi anche nei confronti del parlamentare e si percepisca una relazione di
interlocuzione abituale tra la persona intercettata e quella garantita dall’art.68 Cost., del momento in
cui le indagini abbiano inequivocabilmente preso la direzione verso il parlamentare “perché solo le
intercettazioni intervenute dopo questa soglia possono definirsi indirette”; ha affermato che le
prime comunicazioni alle quali partecipa il parlamentare devono essere considerate occasionali o
fortuite e, come tali, utilizzabili verso i terzi, che non possono applicarsi presunzioni assolute del
carattere indiretto dell’intercettazione e che la natura indiretta dell’intercettazione può essere colta
solo dopo le prime captazioni e dopo un monitoraggio sufficientemente lungo; non ha sottovalutato,
infine, che, se il terzo intercettato è a sua volta indagato, il confine tra intercettazioni indirette e
casuali è ancora più evanescente “perché l’atto di indagine si rivolge in primo luogo e direttamente
verso il terzo ed è più probabile che l’ascolto del parlamentare sia fortuito”. Nell’applicazione
delle regole illustrate (“seguendo il percorso interpretativo disegnato dalle decisioni della Corte
costituzionale del 2010 dapprima illustrate ed applicato dalla Corte di cassazione nella decisione
citata”) al caso concreto delle conversazioni del deputato Alfonso Papa intercettate sull’utenza
telefonica in uso al La Monica, il giudice per le indagini preliminari (ff.71 ss. ordinanza cautelare) è
giunto alla seguente conclusione: “…Dinanzi all’estrema difficoltà di individuare il momento in cui
le captazioni direttamente rivolte verso altri indagati potrebbero sembrare anche mirate verso il
parlamentare, questo giudicante, con un giudizio sicuramente opinabile e compiuto a posteriori,
ritiene di dare prevalenza all’esigenza di salvaguardare l’Istituzione parlamentare e di sostenere
che, a far data dal 10 settembre 2010, epoca in cui il pubblico ministero ha avuto cognizione che
l’utenza intestata ad Ariano Paola era usata da Papa Alfonso, le captazioni potrebbero essere
reputate non più , ma …Queste conversazioni, dunque, devono essere
sterilizzate sia nei confronti del titolare diretto della prerogativa che del terzo, in virtù di quella che

CL

momento in cui sono sorti indizi a carico del parlamentare. Analoghi principi sono affermati nelle

la dottrina ha efficacemente definito dallo strumento delle intercettazioni.
L’inutilizzabilità verso i terzi, tuttavia, riguarda solo le sole comunicazioni a cui ha partecipato
personalmente il parlamentare e solo dalla data indicata che, nel dubbio, è stata fissata in modo
garantista”. Il giudice ha fornito una congrua e articolata motivazione circa la casualità delle
iniziali intercettazioni (prima del 10 settembre 2010) coinvolgenti il parlamentare ed ha dato atto
che solo in itinere l’indagine, direttamente rivolta verso chi usava l’utenza intestata a Montdok Ania
espresso in termini significativamente dubbiosi e generici (“con giudizio sicuramente opinabile e
compiuto a posteriori”, “ritiene di dare la prevalenza all’esigenza di salvaguardare l’Istituzione
parlamentare”, “data indicata che, nel dubbio, è stata fissata in modo garantista”)allorché ha
qualificato “indirette” le intercettazioni successive all’identificazione dell’interlocutore del La
Monica nel deputato Papa, avendo fatto coincidere la data dell’identificazione del parlamentare con
quella in cui, a suo avviso, l’atto di indagine ha cominciato ad essere indirizzato alla captazione
delle conversazioni del deputato per acquisire indizi di reità nei suoi confronti in assenza di
autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza. A tale conclusione si è adeguato il
Tribunale del riesame, che ha fatto proprie acriticamente le determinazioni del giudice per le
indagini preliminari sul punto (f.4 ordinanza impugnata) e si è limitato, pertanto, a valutare la
portata indiziaria nei confronti del La Monica solo del contenuto delle conversazioni telefoniche
intercettate antecedentemente alla data del 10 settembre 2010.
Nel ricorso si individuano, tuttavia, una serie di elementi (le intercettazioni erano cominciate
da poche settimane e riguardavano la vicenda Trenitalia-De Martino, il La Monica non era stato
ancora identificato in quanto usava l’utenza cellulare di un’altra persona, il deputato Papa non era
indagato in quanto solo il 17 settembre 2011 era stato iscritto nel registro ex art.335 c.p.p. per i reati
p. e p. dagli artt.416 e 326 c.p.) che potrebbero, se adeguatamente valutate, far escludere, sulla base
dei criteri indicati dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn.113 e 114 del 2010 e da questa Corte
nella sentenza n.34244 del 9 settembre 2010, che le telefonate intercettate il 23 settembre, il 15 e 23
ottobre 2010 (riportate integralmente nel ricorso) possano essere qualificate come intercettazioni
indirette nei confronti del parlamentare Papa.
Si impone, pertanto, un ulteriore esame da parte del giudice di merito, affinché si verifichi se
le conversazioni in questione -successive alla data del 10 settembre 2010 e dalle quali, secondo il
pubblico ministero ricorrente, emergerebbero elementi valevoli a confermare l’ipotesi accusatoria
del concorso del La Monica nell’attività delittuosa reiterata e continuativa posta in essere dal
deputato Papa ai danni dell’imprenditore Gallo- siano state oggetto di intercettazioni “indirette” o

e poi verso il La Monica, si è indirizzata anche nei confronti del parlamentare. Per contro si è

”casuali”. Nel caso in cui fossero ritenute utilizzabili nei confronti del La Monica perché “casuali”,
dette intercettazioni dovranno essere esaminate alla luce degli ulteriori elementi indiziari già ritenuti
dal giudice di rinvio idonei a individuare inequivocabilmente nel La Monica, sulla base della
documentazione prodotta all’udienza del 5 marzo 2012, l’autore dell’accesso al CED registrato il 31
agosto 2007 sul conto del Gallo e valutate, unitamente alle conversazioni intercettate tra il La
Monica e il deputato Papa in epoca antecedente al 10 settembre 2010, per verificare se possano
CED del 31 agosto 2007 e l’attività concussiva attribuita al deputato Papa ai danni
dell’imprenditore (capo N), accertata nei primi mesi dell’anno 2011, nonché sulla consapevolezza
dell’eventuale contributo all’attività concussiva in questione fornito dal La Monica. (accertamenti
ritenuto indispensabili nella richiamata sentenza di annullamento con rinvio della Vi sezione penale,
che aveva prospettato anche, sussistendone i presupposti di fatto, le residuali ipotesi di reato di cui
agli artt.326 o 615 ter c.p.)
L’ordinanza impugnata deve essere pertanto annullata limitatamente al reato di concussione
(capo N), con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Napoli.
Il ricorso va invece rigettato quanto al reato di corruzione contestato al capo P. Le doglianze
contenute nel ricorso risultano infondate poiché il giudice del riesame, in sede di rinvio, ha fornito
una motivazione adeguata e logicamente coerente in ordine all’insussistenza della gravità indiziaria
a carico del La Monica in ordine all’ipotizzato accordo corruttivo tra il maresciallo dei Carabinieri,
sicuramente interessato ad entrare nei ranghi dell’AISE e a questo scopo attivatosi su vari fronti
sollecitando appoggi e segnalazioni (come desumibile dalle dichiarazioni dell’avv.Patrizio Della
Volpe, di Bisignani Luigi e di Lavitola Valter), e il deputato Papa il quale si sarebbe interessato per

“segnalarla” e fargli avere un colloquio con il generale Santangelo. Il giudice di rinvio, infatti, ha
correttamente posto in evidenza l’insussistenza di ulteriori elementi indiziari rispetto a quelli già
valutati che nella sentenza di annullamento con rinvio non erano stati ritenuti sufficienti a
dimostrare sul piano indiziario la conclusione dell’accordo corruttivo, che cioè l’interessamento del
Papa in favore del La Monica nell’anno 2011 (quanto meno dubbio poiché l’incontro con il
generale Santangelo sembrebbe essere stato propiziato, secondo quanto riferito da Bisignani, dal
Lavitola) fosse condizionato all’accesso abusivo ai sistemi informatici compiuto in relazione
all’imprenditore Gallo (vari anni prima, nell’anno 2007) e all’intervento nella vicenda De Martino
(per la quale, tuttavia, era stata ritenuta configurabile una generica condotta abusiva, non meglio
qualificata penalmente). Il ricorso sul punto è fondato su una diversa lettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è

ravvisarsi gravi indizi sull’ipotesi accusatoria di un collegamento tra l’abusiva interrogazione al

Al
inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente
soddisfatto nell’ordinanza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi indiziari e con
indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno della
ritenuta insussistenza della gravità indiziaria circa l’esistenza dell’accordo comittivo.
P.Q.M.

di Napoli per nuovo esame. Rigetta nel resto.

annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di concussione (capo N) e rinvia al Tribunale

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