Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8738 del 06/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8738 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Leo Rosa, nata a Francavilla Fontana il 01/06/1957

avverso la sentenza del 14/05/2012 della Corte di appello di Lecce – Sez.
distaccata di Taranto

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo declaratoria di inammissibilità del
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 14 maggio 2012 la Corte d’Appello di Lecce sezione distaccata di Taranto, confermando la decisione assunta dal locale
Tribunale, ha riconosciuto Rosa Leo responsabile dei delitti di falsità materiale in
titolo di credito e truffa ai danni di Giuseppe Aprile; ha quindi tenuta ferma la

Data Udienza: 06/11/2013

sua condanna alla pena di legge.
1.1. Secondo l’ipotesi accusatoria, recepita dal giudice di merito, la Leo
aveva acquistato dei mobili nel negozio dell’Aprile, ricevendone la consegna
contro il versamento di un assegno circolare poi risultato contraffatto.

2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, deducendo quale unico
motivo l’ingiustificata disapplicazione dell’art. 129 cod. proc. pen..

1. Il ricorso è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
1.1. Sotto un primo profilo va rilevata la carenza del requisito di forma
costituito dalla possibilità di identificazione della ricorrente. Ed invero, la
sottoscrizione «Leo Rosa», apposta in calce al documento incorporante l’atto di
impugnazione, non è accompagnata da autenticazione: il che era necessario, a
norma dell’art. 583, comma 3, cod. proc. pen., non risultando che l’atto sia stato
presentato in cancelleria personalmente dall’imputata o da un suo incaricato; il
timbro appostovi, invero, attesta soltanto il deposito del ricorso nella cancelleria
del giudice di pace di Lizzano, senza recare l’indicazione della persona che ha
presentato l’atto, come invece prescritto dall’art. 582, comma 1, del codice
citato.
1.2. Sotto un secondo, autonomo, profilo, l’inammissibilità del ricorso deriva
dalla sua genericità. In esso, invero, ci si duole che la Corte d’Appello abbia
omesso di rilevare l’esistenza di «più che sufficienti» elementi idonei a condurre
all’assoluzione dell’imputata per non aver commesso il fatto, senza tuttavia
indicare in che cosa consisterebbero tali elementi, né per quale via dovrebbe
trarsi da essi l’induzione logica circa l’estraneità dell’imputata alla consumazione
degli illeciti, in contrasto con la ricostruzione in fatto motivatamente accreditata
dai giudici di primo e di secondo grado.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso conseguono le statuizioni di
cui all’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 800,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 06/11/2013.

CONSIDERATO IN DIRITTO

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