Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8736 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8736 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

SCAPARRO Fernando, nato a Roma il 28/08/1968
TEl Patrizio, nato ad Orvieto il 03/11/1961
ZENOBI Alessandro, nato ad Orvieto il 24/01/1970
MARCUCCI Massimo, nato a Graffignano 1’11/10/1969
TARPARELLI Marco, nato a Parrano il 26/11/1971

avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia del 16/05/2012

visto il ricorso, gli atti e la sentenza impugnata;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Sentito, altresì, l’avv. Giovanni Guariglia che, nell’interesse dei ricorrenti, ha chiesto
l’accoglimento dell’impugnazione e, in subordine, ha eccepito la prescrizione.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 05/11/2013

1. Fernando Scaparro, Patrizio Tel, Alessandro Zenobi, Massimo Marcucci e
Maurco Tarparelli, agenti penitenziari, erano chiamati a rispondere, innanzi al
Tribunale di Orvieto, del reato di cui agli artt. 582, 585, 577. 3, 61 n. 11, 112 n. 1
cpd. pen. per avere, agendo in concorso tra loro, cagionato al detenuto Condemi
Mario lesioni personali guaribili in giorni sette, colpendolo con schiaffi, pugni e calci,
abusando della loro autorità, quali graduati del corpo di Polizia Penitenziaria in
servizio presso la Casa di Reclusione di Orvieto; commettendo il fatto con

Con sentenza del 06/10/2009 il Tribunale assolveva gli imputati con formula
perché il fatto non sussiste.
Pronunciando sul gravame proposto dal PM, la Corte d’appello di Perugia, con la
sentenza indicata in epigrafe, riformava la pronuncia impugnata e dichiarava gli
imputati colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le attenuanti generiche
equivalenti, li condannava alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno oltre
consequenziali statuizioni; con la sospensione condizionale della pena e la non
menzione per tutti gli imputati, ad esclusione di Alessandro Zenobi.
Avverso la sentenza anzidetta il difensore degli imputati, avv. Giovanni
Guariglia, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura
indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo d’impugnazione si eccepisce violazione dell’art. 606 lett.
b) con riferimento all’art. 533 comma 1, cod. proc. pen.; nonché manifesta illogicità
della motivazione, ai sensi dello stesso art. 606 lett. e) del codice di rito. Si fa
riferimento, in particolare, alle valutazioni del dr. Rizzo, consulente del PM che,
secondo il giudice di appello non potevano avere il rilievo attribuitogli in primo
grado in quanto il medico si era espresso soltanto in termini di compatibilità con atti
di autolesionismo; nonché alle dichiarazioni del dr. Piunno in ordine alle lesioni
riscontrate al Condemi nel corso della seconda visita, relativamente alle quali non
poteva condividersi il giudizio di fondamentale rilevanza attribuita in primo grado,
in quanto sembrerebbero smentite non solo dal rilievo che, già nel primo certificato
del sanitario, si diceva della presenza di ecchimosi al secondo dito del piede
sinistro, di cui aveva fatto cenno solo nel corso della seconda visita, ma anche a
causa dalla stessa inverosimiglianza della spiegazione da lui resa circa
l’aggravamento di dette lesioni e delle modalità con cui sarebber’state posto in
essere. Infatti, il detenuto, che era stato già sottoposto a visita della dr.ssa Frizza,
medico delle carceri, aggravando successivamente le lesioni subite, non avrebbe
potuto ottenere altro che una nuova prognosi quantitativamente diversa.

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premeditazione.

Contesta, in definitiva, la valutazione complessiva delle risultanze processuali,
richiamando interpretazione giurisprudenziale secondo la quale era affetta da
illegittimità la sentenza d’appello che, in riforma di quella assolutoria di primo
grado, condannava l’imputato sulla base di un’interpretazione, alternativa e non
maggiormente persuasiva, dello stesso compendio probatorio utilizzato nel giudizio
di primo grado. Risultava, inoltre, violata la regola di giudizio della valutazione della
colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio” introdotto dall’art. 533 cod. proc.

con cui si è giustificata la statuizione di colpevolezza, mancava un supporto
probatorio adeguato e capace di dare certezza processuale di penale responsabilità,
affermata, invece, come conseguenza della rivisitazione, in senso contrario, del
materiale probatorio acquisito nel giudizio di primo grado, non sorretta da
argomenti convincenti atti a dimostrare l’erroneità della pronuncia assolutoria, ma
fondata, piuttosto, su considerazioni che, su taluni aspetti, erano contrastati con la
stessa realtà processuale.

2. L’impugnazione si colloca in area assai prossima all’inammissibilità e,
comunque, è destituita di fondamento.
Ed invero, non merita censura di sorta la motivazione della sentenza impugnata
che ha ribaltato il giudizio assolutorio espresso in prime cure, facendosi carico di
confutare, specificamente, i principali argomenti addotti dal primo giudice, dando
conto delle ragioni della relativa incompletezza od incoerenza, tali da giustificare la
riforma del provvedimento impugnato, in linea con l’insegnamento di questa Corte
regolatrice, nella sua più autorevole espressione a Sezioni Unite (cfr. Sez. Un.
12.7.2005, n. 33748 rv. 231679).
Non solo, ma la struttura giustificativa della pronuncia impugnata sfugge ad
ogni, pur ipotetico, rilievo critico – seppur solo adombrato nei motivi di ricorso – in
ordine alla reale rispondenza della pronuncia di appello ai principi dettati dalla
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giurisprudenza comunitaria (sent. Dan c. Moldavia), in ordine.ffiràgiudice di appello, che intenda addivenire a divergente epilogo decisionale, rispetto
alla statuizione assolutoria di primo grado, di procedere alla rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale ai fini dell’escussione della prova orale raccolta “in
prime cure”, in ossequio ai canoni dell’oralità e dell’immediatezza. Ed invero, come
già questa Corte ha avuto modo di sancire in proposito, non sono applicabili i
principi posti dalla Corte EDU del 5 luglio 2011, nella sentenza Dan c. Moldavia – per
la quale il giudice di secondo grado, che, discostandosi dall’epilogo assolutorio della
sentenza di primo grado, intenda condannare l’imputato sulla base delle
dichiarazioni di un teste già ascoltato in primo grado, ha l’obbligo di sentire
nuovamente e personalmente il suddetto teste – qualora il giudice di appello non
proceda ad una mera rivalutazione delle dichiarazioni del teste, ma le apprezzi alla

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pen., nel testo novellato dal legislatore del 2006. Peraltro, nella diversa valutazione

luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice (cfr. Sez. 5, n. 10965 del
11/01/2013, Rv. 255223).
Infatti, nel caso di specie, il giudice di secondo grado non si è limitato ad una mera
delibazione di attendibilità di deposizioni testimoniali di per sé considerate,
dissentendo così dal contrario giudizio di primo grado sulla base di mero esame
cartolare, ma ha proceduto ad una globale rivisitazione della vicenda, apprezzando
il coefficiente di affidabilità delle richiamate testimonianze alla stregua dei riscontri

considerati – o, comunque, erano statliottodimensionati – dal primo giudice (cfr.,
sulla stessa linea interpretativa, Cass. Sez. 6, n. 16566 del 26/02/2013, Rv.
254623 e Sez. 2, n. 32368 del 17/07/2013, Rv. 255984). E, della divergente
conclusione decisionale, la Corte di merito ha reso motivazione sicuramente
congrua ed adeguata, offrendo una ricostruzione della vicenda che non può essere
tacciata d’illogicità od implausibilità. Al collaudo esterno della tenuta logica
dell’insieme giustificativo deve notoriamente arrestarsi l’esame di legittimità, in
quanto non compete a questo Giudice stabilire se la decisione di merito proponga la
migliore ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, dovendo
invece limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il
senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento,
secondo una ricorrente formula giurisprudenziale (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 4, n.
4842 del 2.12.2003, rv. 229369).
Resta da dire che le stesse censure di parte, sub specie del vizio di legittimità, per
violazione di legge o mancanza di motivazione, si sostanziano, in gran parte, di
profili squisitamente di merito e sono intese ad offrire una diversa chiave di lettura
delle emergenze processuali e, come tali, pertanto, andrebbero disattese.
Priva di fondamento, infine, è l’eccezione di prescrizione sollevata all’odierna
udiena dal difensore, posto che, a far tempo dalla data di commissione del reato,
non è ancora maturato il relativo termine prescrizionale.

3. Per quanto precede, i ricorsi – globalmente considerati – devono essere
rigettati, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 05/11/2013

documentali (certificati in atti) e di altri apporti dichiarativi che non erano stati

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