Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8733 del 05/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8733 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da

MARINOZZI Maria Giuseppina, nata a Montegiorgio il 14.5.1963

avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona dell’08/05/2012;

visto il ricorso, gli atti e la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione del consigliere dr. Paolo Antonio BRUNO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dr. Sante
Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, l’avv. Massimo di Bonaventura che, nell’interesse della ricorrente,
ha chiesto l’accoglimento dell’impugnazione.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Ancona confermava la
sentenza del 21/05/2008 con la quale il Tribunale di Fermo aveva dichiarato Maria
Giuseppina Marinozzi e Clemente Richi colpevoli di reati di seguito indicati:

Data Udienza: 05/11/2013

A) ai sensi degli artt. 110 cod. pen., 223, 219, 216 legge fall. perché, in
concorso tra loro e con Tronelli Carlo, coniuge della Marinozzi, AU. della Tronelli Sri
di Monte Vidon Corrado (deceduto, la posizione del quale è stata stralciata dal
presente procedimento) dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Fermo in
data 15/06/2001, distraevano n. 5 macchine di stampaggio fondi in T. R. e P.V.C.
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del valore complessivo corrispondente a

C 194.000 ca. In particolare, il Tronelli nella qualità sopraindicata al solo fine di

19.4.2000 che documentava una fittizia cessione dei macchinari in favore della
“Calzaturificio Project 2000 Srl” del quale Clemente Richi era A. U., documentando
altresì falsamente il trasporto dei beni ad opera di Romanelli Federico; quindi il
Clementi, quale AU della società acquirente, al solo fine di consentire al Tronelli la
distrazione dei macchinari, emetteva la fattura n. 4/00 del 27/4/2000 che
documentava una fittizia vendita dei medesimi beni al prezzo di 206.400.000 in
favore della ditta “L.I.S.” di Marinozzi Maria Giuseppina, e documentando anche
egli falsamente il trasporto ad opera di Romanelli Federico;
B) ai sensi degli artt. 110 cod. pen., 223, 216, 219 e 216 legge fall. perché, in
concorso con il coniuge Tronelli Carlo e quale titolare della ditta “L.I.S.” (l’attività
della quale è iniziata nel marzo 2001 per cessare il 30/06/2001) distraeva beni e le
attività della fallita “Tronelli Sri”, sottraendole ai creditori, stipulando un contratto di
affitto di azienda e di locazione immediatamente con la fallenda “Tronelli Sri” in data
15.3.2001 per finalità estranee all’impresa nonché ricevendo denaro della società
per complessivi C 82.000,00 c.a. che versava nei propri c/c e che il coniuge Tronelli
in parte annotava falsamente nella contabilità sociale come versato in cassa; e, per
l’effetto, aveva condannato la stessa Marinozzi, con concessione di generiche
stimate prevalenti sulle aggravanti di cui all’art. 219 legge fall., alla pena di anni
due mesi quattro di reclusione, oltre consequenziali statuizioni; dichiarava
interamente condonata la pena ed emetteva pronuncia di condanna generica in
favore della parte civile, curatela fallimentare Tronelli Srl, con provvisionale a carico
della sola Marinozzi, liquidata in C 40.000.
Avverso l’anzidetta pronuncia il difensore dell’imputato, avv. Massimo di
Bonaventura, ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura
indicate in parte motiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente eccepisce violazione falsa
applicazione degli artt. 223, 219, 216 legge fall. e degli artt. 40 e 42 cod.pen.;
difetto dell’elemento psicologico nella condotta della stessa imputata: mancanza di
motivazione sulla sua, ritenuta, consapevolezza quale soggetto
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extraneus alla

sottrarre detti beni strumentali ai creditori sociali, emetteva la fattura n. 126/00 del

società fallita; violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. Contesta, al
riguardo, la ritenuta idoneità degli elementi probatori a dimostrare l’elemento
psicologico del reato in questione, non essendo sufficiente il mero rapporto di
coniugio con Carlo Tronelli. In particolare, non v’era prova alcuna della
consapevolezza da parte dell’imputato dello stato di decozione della società che
sarebbe poi fallita, non potendo questa presumersi senza incorrere in lettura della
norma di cui all’art. 223 della legge fallimentare in dissonanza con i principi

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 192 cod. pro.pen. in
relazione alla valutazione delle risultanze probatorie; mancata valutazione delle
prove addotte dalla difesa; illogicità della motivazione; violazione dell’art. 606 lett.
b), c) ed e) cod.proc.pen. Si duole che il giudice di appello abbia prestato credito

alle sole dichiarazioni testimoniali addotte dal PM e ritenuto inattendibili quelle
offerte dalla difesa. Sulla base di tale parziale valutazione era stata ingiustamente
ritenuta fittizia la vendita di beni immobili in favore della società L.I.S. della stessa
Marinozzi. Erroneamente, era stata valutata la documentazione in atti e la relazione
del consulente dr. Fabio Mazzante in cui si riferiva che gli assegni recanti la girata
della Marinozzi o arrivavano alla donna dopo altre girate o le somme ivi contenute
erano state versate in contanti nelle casse della società Tronelli Srl poi dichiarata
fallita ancorché, come precisato dal consulente non v’era corrispondente tra la data
del versamento dell’assegno sui conti correnti accesi presso l’istituto di credito Altre
la data di annotazione sulla contabilità della società Tronelli Sri poi dichiarata fallita.
Il che significava che la contabilità della società non era corretta e non era neppure
ben tenuta per la non corrispondenza delle date, ma non delle somme; certamente
non poteva significare che la Marinozzi avesse trattenuto le somme portate degli
assegni a lei intestati od alla stessa girati con obiettivi distrattivi. Non
sussisterebbe, alla luce degli accertamenti bancari, alcuna distrazione della somma
di € 82.000,00 così come indicato in rubrica. Insussistente era anche il secondo
fatto di bancarotta per distrazione contestato al capo B) della rubrica avente ad
oggetto la sottoscrizione di un contratto di locazione immobiliare tra la società
Tronelli Srl e la società LIS della Marinozzi. La pretesa distrazione di beni sociali era
smentita dalla consulenza di ufficio nella quale non si evidenziava, a carico della
ricorrente, alcuna distrazione di beni ed attività della società Tronelli Srl, ritenendo
che la sottoscrizione del contratto non avesse provocato danni concreti alla massa
creditori. Non era dato comprendere come la locazione dell’immobile e delle
attrezzature potesse-aver determinato un grave danno ai creditori ed essere la
fonte del fallimento della società considerando che la prima istanza di fallimento
depositata presso il Tribunale di Fermo era datata 5 ottobre 2007, ossia due anni
prima della dichiarazione di fallimento. In sostanza, lo stato di insolvenza e di
decozione della società Tranelli Srl erano risalenti nel tempo ed il dissesto aziendale
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costituzionali della responsabilità penale e della determinatezza degli addebiti.

potrebbe, a tutto concedere, farsi risalire all’epoca di presentazione dell’istanza di
fallimento, ovverosia nell’ottobre del 2007. La sottoscrizione del contratto di
locazione dell’immobile non aveva determinato alcun aggravamento della posizione
dei creditori né aveva determinato alcun dissesto, peraltro già esistente, della
società Tronelli Srl. Tali circostanze non erano state considerate dal giudice
d’appello, in palese violazione della richiamata norma di cui all’art. 192 del codice di

2. La prima censura investe il profilo della ritenuta idoneità delle risultanze
processuali in funzione dell’affermazione di colpevolezza dell’imputata, con
particolare riferimento all’elemento psicologico. Il punto focale delle ragioni di
doglianza attiene, infatti, al profilo della consapevolezza dell’odierna ricorrente,
nella sua pacifica qualità di soggetto extraneus alla compagine societaria e, dunque,
terzo rispetto al reato proprio posto in essere dall’amministratore della società
fallita, cui sono imputate le condotte illecite descritte nel capo d’imputazione.
In proposito, è certamente utile il richiamo a pacifica interpretazione
giurisprudenziale di questa Corte regolatrice secondo cui in tema di concorso in
bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo dell’extraneus nel reato proprio
dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a
quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento
del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la
specifica conoscenza del dissesto della società. Ne consegue che ogni atto
distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216 legge fa/I. in caso di fallimento,
indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce
l’evento del reato che, invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale
della massa, posto che, se la conoscenza dello stato di decozione costituisce dato
significativo della consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori, ciò non
significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o
l’entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società

(cfr.

Cass. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Rv. 246879; id. Sez. 5, n. 9299 del
13/01/2009, Rv. 243162 secondo cui in tema di concorso in bancarotta fraudolenta
per distrazione, il dolo dell’extraneus” consiste nella volontarietà dell’apporto alla
condotta dellmintraneus”, con la consapevolezza che essa determina un
depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo
necessaria la specifica conoscenza del dissesto della società)
Sicché, contrariamente all’assunto della ricorrente, ai fini della configurazione
dell’elemento soggettivo, non occorre la consapevolezza dello stato di dissesto della
società, ma semplicemente la consapevolezza del contributo offerto alla condotta
dell’intraneus, che sia tale da determinare il depauperamento del patrimonio sociale

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rito.

in danno del ceto creditorio. Nel caso di specie, siffatta consapevolezza è stata
dimostrata sulla base di inappuntabile insieme giustificativo, che ha tenuto conto di
dati sintomatici di particolare valenza dimostrativa, anche al di là del rapporto di
coniugio con l’amministratore della società fallita. D’altro canto, siffatta valutazione
si inquadrava sullo sfondo di una vicenda, già di per sé, di incontrovertibile
pregnanza, che si articolava su artificiosa triangolazione, consistente nella simulata
cessione di attività ed attrezzature della società fallita in favore di altra società e

costituita a bella posta per un arco temporale sufficiente a dar corso all’operazione
fraudolenta, tanto da essere dismessa dopo appena pochi mesi dalla sua
costituzione, senza peraltro aver svolto alcun’attività commerciale, se non il fittizio
acquisto dell’anzidetta strumentazione.
Giuridicamente ineccepibile, poi, è la configurazione del reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione di cui capo b) e la relativa imputazione, sempre a titolo
di extraneus,

alla stessa Marinozzi. Non è revocabile in dubbio, infatti, la

correttezza dell’assunto secondo cui anche un contratto di locazione, che,
simulatamente, crei l’apparenza di dismissione della disponibilità di immobile, da
opporre al ceto creditorio, costituisce condotta distrattiva, in ordine alla quale la
colpevolezza dell’odierna, apparente conduttrice, è stata affermata sulla base di
corretto apprezzamento delle evidenze processuali, in sintonia, peraltro, con
indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice (cfr. tra le altre, Cass. Sez. 5,
n. 46508 del 27/11/2008 Rv. 242614; id, Sez. 5, n. 7201 del 18/01/2006, Rv.
233634; id. Sez. 5, n. 3302 del 28/01/1998, Rv. 209947, secondo cui anche un
contratto di locazione può integrare gli estremi della bancarotta per distrazione ove
sia stipulato in previsione del fallimento ed allo scopo di trasferire la disponibilità di
tutti o dei principali beni aziendali ad altro soggetto giuridico).

3. Per quanto precede, il ricorso – globalmente considerato – deve essere

rigettato, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 05/11/2013

della successiva, fittizia, cessione a beneficio della società intestata alla Marinozzi,

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