Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8723 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8723 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ANCONA
nei confronti di:
DI SARRA ARMANDO N. IL 06/02/1943
avverso la sentenza n. 593/2012 GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE
di CAMERINO, del 18/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
lette/selikire le conclusioni del PG DM.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 06/02/2014

29257/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 18 marzo 2013 il g.u.p. del Tribunale di Camerino, su richiesta delle
parti, ha applicato ex articolo 444 c.p.p. la pena di sei mesi di reclusione e C 600 di multa a Di
Sarra Armando, imputato per i reati di cui agli articoli 181 d.lgs. 42/2004 in riferimento
all’articolo 44, lettera c), d.p.r. 380/2001 (capo a), 44, lettera c), d.p.r. 380/2001 (capo b),
65, 72, 93, 94, 95 d.p.r. 380/2001 (capo c), 83, 95 d.p.r. 380/2001 (capo d) e 349 c.p.

2.

Ha presentato ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Ancona,

denunciando violazione di legge nel computo della pena, e, in particolare, nella identificazione
della pena base del reato di cui al capo e), il che ha condotto all’erronea determinazione della
pena finale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è fondato.
Come il ricorrente evidenzia, il reato più grave, da cui trarre la pena base per applicare il
vincolo di continuazione agli altri reati contestati, è quello del capo e). Tuttavia il Tribunale non
ha errato nel determinare quale fosse il capo di imputazione più grave, bensì nell’interpretare il
capo di imputazione. Questo descrive il delitto nel seguente modo: “perché, successivamente
al sequestro dell’immobile, operato in data 2. 12. 2011, in riferimento al quale veniva
nominato custode, violava i sigilli modificando lo stato dei luoghi, in quanto venivano proseguiti
i lavori, anche in assenza di richiesta di sanatoria”. Se è vero che il capo formalmente qualifica
il fatto così descritto genericamente come “delitto di cui all’art. 349 c.p.”, è altrettanto vero
che dalla descrizione fattuale emerge la fattispecie aggravata di cui al secondo comma della
norma, essendo inequivocamente indicato che l’imputato ha commesso la condotta criminosa
nella qualità di custode della cosa cui sono stati violati i sigilli. Ai fini della comprensione del
contenuto di una imputazione insegna giurisprudenza consolidata che rileva la descrizione del
fatto, e non l’indicazione delle norme attinenti (Cass. sez. III, 19 febbraio 2013 n. 22434;
Cass. sez. VI, 16 settembre 2004-13 gennaio 2005 n. 437; S.U. 1 agosto 2000 n. 18) poiché
un’adeguata descrizione del fatto addebitato consente il pieno esercizio del diritto di difesa
(Cass. sez. VI, 5 dicembre 2011 n. 45289; Cass. sez. I, 19 aprile 2004 n. 18027). Il che
concerne, logicamente, non solo la descrizione del fatto reato in senso stretto, bensì anche
quella delle circostanze, aggravanti o attenuanti, che, come nel caso in esame, contribuiscono
alla sua concreta configurazione (cfr. altresì Cass. sez. IV, 10 giugno 2010 n. 38991, pur non
in riferimento ad una circostanza bensì all’estensione cronologica della condotta criminosa).
Dunque, dovendosi ricondurre l’imputazione all’articolo 349, secondo comma, c.p., la pena
base si articola da tre a cinque anni di reclusione e da euro 309 a 3098 di multa. Erroneo è
allora il calcolo effettuato dal Tribunale, che ha preso le mosse da una pena base di otto mesi

(capo e).

di reclusione ed euro 800 di multa. Né, d’altronde, emerge dalla motivazione alcun elemento
nel senso che consapevolmente il Tribunale abbia ritenuto insussistente l’aggravante del
secondo comma dell’articolo 349 c.p.; e non incide, peraltro, il contenuto del negozio
processuale (il calcolo effettuato dal giudice corrisponde all’applicazione della pena come
proposta dalle parti) poiché esso non può supportare una violazione di legge. Questa infatti
esula dal potere dispositivo manifestato dalle parti nell’accordo, per cui, quando il suddetto
viene stipulato, il giudice rimane investito del potere-dovere di verificarne la legittimità. Se la

n. 9455); e se non lo fa, così ratificando un accordo invalido che vizia conseguentemente la
sentenza, quest’ultima deve essere annullata senza rinvio, in quanto le parti devono essere
reintegrate nella facoltà di rinegoziare l’accordo su altre basi, in mancanza di che il giudizio
dovrà proseguire nelle forme ordinarie (ex multis Cass. sez. I, 7 aprile 2010 n. 16766).
In conclusione, l’ordinanza deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti essendo stato soppresso il Tribunale di Camerino – al Tribunale di Macerata.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e trasmette gli atti al Tribunale di Macerata.

Così deciso in Roma il 6 febbraio 2014

Il Consiglie Estensore

Il Presidente

verifica ha esito negativo, il giudice deve respingere l’accordo (Cass. sez. IV, 21 gennaio 2011

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