Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8721 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8721 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALASSO ALESSANDRO N. IL 31/01/1978
avverso l’ordinanza n. 8/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
16/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
lette/s9rfite le conclusioni del PG Dott
–v.\10,..Al o

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 06/02/2014

’ 25461/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 aprile 2013 la Corte d’appello di Bologna ha respinto, quale giudice
di rinvio a seguito di sentenza della Sezione Quarta di questa Suprema Corte 12 giugno 201215 febbraio 2013 n. 7585, una istanza ex articolo 314 c.p.p. proposta da Galasso Alessandro in
relazione a custodia cautelare in carcere subita dal 3 dicembre 2005 al 24 marzo 2010
nell’ambito di un processo per omicidio.

correlato vizio motivazionale. La motivazione sarebbe una “simulacro”, fondandosi su
affermazioni apodittiche e riproponendo le argomentazioni della ordinanza annullata dalla
sentenza, sopra citata, della Sezione Quarta. Il ricorrente richiama altresì, a contrastare
l’ordinanza impugnata, la motivazione della sentenza della Sezione Quinta di questa Suprema
Corte del 24 marzo-5 luglio 2010, che ha assolto il Galasso per non aver commesso il fatto
dall’imputazione di omicidio.
In data 13 gennaio 2014 l’Avvocatura dello Stato ha depositato memoria per il Ministero
dell’Economia e delle Finanze, chiedendo il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
In relazione alla addotta violazione, nell’ordinanza impugnata, degli articoli 314 e 315 c.p.p.,
va ricordato come l’interpretazione dell’istituto della riparazione per l’ingiusta detenzione
risulta ormai consolidata ed uniforme. In particolare, la cognizione che deve espletarsi è
riconducibile a un giudizio civilistico, e pertanto è assolutamente autonoma rispetto agli esiti
del processo penale (da ultimo, Cass. sez. IV, 18 giugno 2013 n. 39500: “il giudizio per la

riparazione dell’ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di
cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto
differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti ma sottoposto ad un
vaglio caratterizzato dall’utilizzo di parametri di valutazione differenti”; cfr. altresì, ex multis,
Cass.sez. IV, 13 novembre n. 48247 e S.U. 26 giugno 2002, n. 34559). E un’ulteriore
presupposto di autonomia rispetto al giudicato penale è ravvisabile nella necessaria
valutazione ex ante ((ex multis v. Cass. sez. III, 18 febbraio 2010 n. 13223; Cass. sez. IV, 19
giugno 2008 n.30408; Cass.sez. IV, 1 luglio 2008-31 luglio 2008 n. 32367; Cass. sez. IV, 13
dicembre 2005-25 gennaio 2006 n.2895; S.U. 26 giugno 2002 n.34559) cui il giudice è tenuto
per determinare l’esistenza del diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare subita,
valutazione che, dunque, in senso prognostico rispetto al momento in cui è stato emesso o
mantenuto il titolo cautelare accerta la sussistenza o meno del dolo o della colpa grave quale
causa o concausa della compressione de libertate, giacché avere dato causa o concausa alla

2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo violazione degli articoli 314 e 315 c.p.p. e

custodia cautelare per dolo o colpa grave costituisce circostanza ostativa al riconoscimento del
diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione (per tutte S.U. 27 maggio 2010 n. 32383).
La corte territoriale, nel caso di specie, è appunto pervenuta a ritenere l’esistenza di una
condotta di colpa grave eziologicamente ingenerante la misura cautelare personale ex articolo
314 c.p.p. sulla base di una pluralità di elementi che sono stati, logicamente e altresì in
giuridica conformità con l’articolo 314 c.p.p., valutati ex ante. Secondo il ricorrente gli elementi
che hanno consentito di qualificare la sua condotta gravemente colposa si riducono, in realtà, a

guardare, allora, quel che effettivamente censura il ricorrente nella ordinanza impugnata non è
la violazione delle norme che disciplinano l’accertamento del diritto de quo, bensì le modalità,
esternate con la motivazione, mediante le quali il giudice di merito è giunto a escludere il
diritto stesso perché, al contrario, ha accertato l’esistenza di una colpa grave etiologicamente
rilevante in capo al prevenuto, l’attuale istante. Questo preteso “deficit motivazionale”
consisterebbe in una “mera riproposizione degli argomenti già sviluppati nell’ordinanza
annullata”, cioè nella valorizzazione del “carattere sospetto dei collegamenti telefonici
incriminati, senza essere in grado di evidenziare le circostanze che sarebbero state taciute dal
Galasso e che, se rivelate, avrebbero potuto indurre il giudice della cautela ad una
rivalutazione dell’originario quadro indiziario posto a fondamento dell’ordinanza restrittiva”.
L’annullamento con rinvio della precedente ordinanza era stato disposto nella sentenza
7585/2013 perché essa “non ha, da un lato, indicato gli elementi che l’istante aveva omesso di
allegare la propria discolpa, ovvero li ha indicati in termini del tutto generici ed assertivi, nè ha
chiarito il rilievo di tali richieste spiegazioni”, non argomentando poi “circa la sussistenza del
nesso di causalità fra quelle ritenute inadeguate spiegazioni e l’adozione ed il mantenimento
dell’ingiusto provvedimento restrittivo”. Da questo passo della motivazione della sentenza di
annullamento con rinvio emerge chiaramente che il ricorso lo trasfonde come proprio
contenuto, sulla base di esso argomentando pretese carenze/illogicità della motivazione.
Questa, peraltro, non ha affatto ignorato le indicazioni correttive del giudice di legittimità. Per
quanto concerne l’indicazione degli elementi che, secondo la prima ordinanza, l’istante non

un intreccio di “argomentazioni apodittiche”, che rendono la motivazione “un simulacro”. A ben

aveva allegato a propria discolpa, la corte territoriale (motivazione, pagina 4) li indica
specificamente, illustrandone altresì le conseguenze rispetto al provvedimento restrittivo, come
richiesto nella sentenza della Quarta Sezione di questa Suprema Corte, in particolare
evidenziando, in termini eziologici rispetto all’adozione della cautela, che la mancata
spiegazione da parte del Galasso delle telefonate con i soggetti che sono stati poi condannati
per l’omicidio “in un arco temporale ed in un contesto così anomalo, che esclude la plausibilità
di occasionali colloqui per motivi estranei alla spedizione delittuosa”, “ha precluso al giudice
della cautela di sondare l’ipotesi alternativa di un fine lecito dei contatti e superare la valenza
gravemente indiziante (per tempistica, frequenza, soggetti coinvolti – posto che Spinella (uno
dei soggetti con cui aveva contatto telefonico:n.d.r.) era un noto boss mafioso) della tipologia

5

dei contatti che il Galasso teneva con i soggetti compartecipi nell’omicidio”. Non può non
ricordarsi, invero, che il giudice, ai fini della valutazione della colpa grave ostativa all’equo
indennizzo, può valutare il comportamento silenzioso dell’imputato, decidendo se necessiti o
meno nel caso concreto del concorso di altri elementi di colpa (Cass. sez. IV, 13 novembre
2008n. 48247). Peraltro, la corte territoriale ha innestato queste specificazioni richieste dal
giudice di legittimità su una completa e accurata ricostruzione dei fatti così come erano
percepibili al momento della ordinanza genetica (motivazione, pagina 3 s.), ricostruzione che è

motivazione. Né, d’altra parte, il vizio motivazionale, che si riscontra qui insussistente, può
veicolare una versione alternativa dei fatti, essendo precluso al giudice di legittimità quello che
è un accertamento di merito sull’esistenza o meno del contributo causale alla detenzione
cautelare apportato dal prevenuto mediante condotta dolosa o gravemente colposa.
In conclusione la corte ha ritenuto sussistente un comportamento gravemente colposo
valutato con giudizio ex ante, come detta l’articolo 314 c.p.p., quale ostacolo al riconoscimento
del diritto alla riparazione, esternando il suo accertamento con una motivazione reale, specifica
e coerente. Il ricorso pertanto deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 6 febbraio 2014

Il Consi

re Estensore

Il Presidente

stata esternata in modo congruo e coerente, tutt’altro che qualificabile “simulacro” di

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