Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8720 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8720 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MARCO Martino, nato a Latina il 2 marzo 1981;

avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Latina, nel corso del giudizio
avente il nr 1563/10, il 24 maggio 2013;

letti gli atti di causa, l’ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Mario FRATICELLI, il quale ha concluso chiedendo la
dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

Con ricorso del 11 giugno 2013 Martino Di Marco, tramite il proprio
difensore di fiducia, proponeva articolato ricorso per cassazione avverso
1

Data Udienza: 04/02/2014

l’ordinanza riservata resa in data 24 maggio 2013 dal Tribunale di Latina – nel
corso di un giudizio nel quale al Di Marco è contestata, unitamente ad altri
imputati, una violazione edilizia per avere provveduto al frazionamento di un
originario unico lotto di terreno, ove era ubicata una abitazione rurale, in due
lotti distinti ed alla conseguente divisione dell’unico edificio in una villa
bifamiliare, ed un fatto di abuso d’ufficio, nonché, a lui soltanto, un reato di
falso strumentale alla realizzazione degli altri reati – con la quale il Tribunale

presentata da uno dei difensori di altri imputati avente ad oggetto la revoca
dello ordinanza dibattimentale resa in data 12 aprile 2013 (con la quale il
Tribunale, rilevato che il PM d’udienza aveva proceduto alla precisazione del
capo di imputazione elevato a carico del Di Marco, nel senso che il reato
edilizio contestato doveva intendersi inquadrato nell’art. 44, lettera c) del dPR
n. 380 del 2001 (e non, come riportato nello stesso decreto di citazione a
giudizio penale, nell’art. 44, lettera b), lasciando peraltro invariata la condotta
materiale riportata, disponeva, pur a ciò opponendosi le difese degli imputati,
procedersi oltre osservando che “nel caso di specie il PM non ha proceduto ad
alcuna modifica del capo di imputazione ma ad una correzione di errore
materiale, lasciando immutato il fatto contestato sotto il profilo storico
fattuale”), provvedeva nel senso di confermare, rigettate le eccezioni

ex

adverso proposte, la predetta ordinanza.
Avverso l’ordinanza del 24 maggio 2013 il ricorrente, avendo dato atto di
avere già proposto ricorso anche per l’annullamento della ordinanza datata 12
aprile 2013, ha articolato 3 motivi di ricorso per cassazione, tutti basati sul
presupposto della pretesa abnormità del provvedimento impugnato.
Abnormità che si realizzerebbe per un verso attraverso la lesione del
diritto di difesa dell’imputato; ancora attraverso la modificazione della
contestazione quale cristallizzata nel decreto che dispone il giudizio;
attraverso la mancata applicazione degli artt. 516 e seg. cod. proc. pen.
previsti per il caso di modificazione della imputazione contestata; attraverso la
mancata rimessione degli atti al Gip affinché questi procedesse a celebrare
una nuova udienza preliminare avente ad oggetto l’eventuale rinvio a giudizio
dell’imputato in relazione alla imputazione come emendata dal PM in udienza.
Sulla base di tutti i precedenti argomenti il ricorrente chiedeva che fosse
dichiarata la nullità della ordinanza in questione, nonché di tutti gli atti ad
essa conseguenti, con rimessione degli atti al Tribunale di Latina, affinchè
questo provveda ad assumere gli atti previsti dagli artt. 516 e ss cod. proc.
pen., a tutela del diritto di difesa dell’istante.

2

medesimo, pronunciandosi in merito ad un’istanza contenuta in una memoria

In data 23 gennaio 2014 il ricorrente ha depositato un’ampia memoria
illustrativa con la quale insiste nella già rassegnate conclusioni, facendo in
particolare leva sulla giurisprudenza comunitaria formatasi in tema di
corrispondenza fra contestazione ed imputazione nonché in materia di tutela
del diritto alla difesa ed al contraddittorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è inammissibile.

che colui il quale agisce in giudizio debba essere mossa dalla esistenza di un
interesse alla pronunzia giurisdizionale a lui favorevole.
Tale interesse non può che consistere nel vantaggio che egli intende
ritrarre dalla rimozione di una situazione, anche potenziale, di lesione di una
sua posizione giuridica soggettiva.
Non vi è, pertanto, un interesse processualmente rilevante e tutelato al
ripristino della mera integrità del diritto oggettivo, ma è necessario che
l’eventuale realizzazione dell’interesse di colui che agisca in giudizio comporti,
quantomeno nella ipotesi da lui formulata (non importa in questa sede se
fondatamente o meno, trattandosi di aspetto che potrà incidere appunto sulla
fondatezza o meno della pretesa, ma non sulla esistenza dell’interesse ad
agire) in sede di ricorso alla autorità giudiziaria, in caso di accoglimento della
domanda giudiziale il ripristino di un suo diritto soggettivo (sostanziale o
processuale) ex adverso leso.
In assenza di tale interesse la azione giudiziaria è inammissibile e,
pertanto, il ricorso al giudice è precluso.
Nel caso che ne occupa tale interesse non è riscontrabile.
Il ricorrente si duole, infatti, del contenuto di un provvedimento reso in
corso di giudizio dal Tribunale di Latina che, a fronte della iniziativa presa dal
PM e volta a precisare esclusivamente il nomen del reato contestato, avendo
lasciato per converso del tutto invariato in ognuna delle sue parti il capo di
imputazione (inteso questo come la descrizione del fatto, in ipotesi costituente
reato, contestato all’imputato), non ha revocato una precedente ordinanza
dibattimentale, emessa in relazione al medesimo evento processuale, con la
quale il Tribunale aveva disposto procedersi oltre nella attività istruttoria, sulla
base del rilievo che, appunto il PM aveva lasciato “immutato il fatto contestato
sotto il profilo storico-fattuale”.
Nessuna lesione è, infatti, nel caso di specie possibile riscontrare a carico di
alcuna posizione soggettiva processuale vantata dall’imputato, il quale,
certamente, non potrà vedersi attribuire, all’esito del giudizio in corso di fronte
al Tribunale di latina, per effetto della variazione del
3

nomen

del reato

Osserva, infatti, questa Corte che principio generale della giurisdizione è

contestato, la responsabilità penale in ordine ad un fatto diverso da quello
descritto nel capo di imputazione; mentre, va precisato, la diversa valutazione
giuridica dello stesso fatto (cioè proprio la attribuzione di un diverso

nomen

juris) sarebbe stata, comunque, una facoltà che il giudicante avrebbe potuto

esercitare anche in sede di decisione della controversia penale.
Ben diversamente la vicenda si sarebbe potuta atteggiare laddove il PM in
udienza avesse proceduto alla contestazione di una fatto diverso da quello

tale ipotesi il legislatore ha espressamente predisposto della garanzie
procedimentali in favore del prevenuto la cui mancata attivazione da parte del
giudicante avrebbe potuto determinare una serie di vizi a carico della
assumenda decisione.
Tali rilievi, però, pur ampiamente illustrati dal ricorrente, mal si attagliano
alla presente fattispecie in cui – come sopra già chiarito e come, peraltro, non
contestato dal ricorrente – il capo di imputazione, “sotto il profilo storico
fattuale” per ripetere la espressione utilizzata nell’impugnato provvedimento, è
rimasto del tutto inalterato.
Da ultimo in relazione alla affermata abnormità del provvedimento ora
impugnato, requisito che ne giustificherebbe la assoggettabilità (ove beninteso
vi fosse a ciò un interesse) al ricorso per cassazione, osserva la Corte che lo
stigma di tale qualità è rinvenibile, secondo la costante giurisprudenza di
legittimità, o allorché l’atto per la sua singolarità, si ponga al di fuori del
sistema organico della legge processuale, ovvero, sotto il profilo funzionale,
quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del
processo e l’impossibilità di proseguirlo (Corte di cassazione, Sezione II penale,
26 giugno 2003, n. 27716), ovvero ne realizzi una indebita regressione in
grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica (Corte ci cassazione,
SSUU penali, 1 febbraio 2008, n. 5307).
Caratteristiche tutte queste primo visu non riscontrabili nel provvedimento
ora impugnato, avente mero carattere ordinatorio, certamente inidoneo a
impedire la prosecuzione del giudizio ovvero a determinarne la regressione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2014
Il Consigliere estensore

Il Presidente

consacrato nel provvedimento di citazione a giudizio dell’imputato; infatti per

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