Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8719 del 04/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8719 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GENTILI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI MARCO Martino, nato a Latina il 2 marzo 1981;

avverso l’ordinanza dibattimentale emessa dal Tribunale di Latina, nel corso
del giudizio avente il nr 1563/10, il 12 aprile 2013;

letti gli atti di causa, l’ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Mario FRATICELLI, il quale ha concluso chiedendo la
dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

Con ricorso del 27 aprile 2013 Martino DI MARCO, tramite il proprio
difensore di fiducia, proponeva articolato ricorso per cassazione avverso
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Data Udienza: 04/02/2014

l’ordinanza dibattimentale resa in data 12 aprile 2013 dal Tribunale di Latina nel corso di un giudizio nel quale al Di Marco è contestata, unitamente ad altri
imputati, una violazione edilizia per avere provveduto al frazionamento di un
originario unico lotto di terreno, ove era ubicata una abitazione rurale, in due
lotti distinti ed alla conseguente divisione dell’unico edificio in una villa
bifamiliare, ed un fatto di abuso d’ufficio, nonché, a lui soltanto, un reato di
falso strumentale alla realizzazione degli altri reati – con la quale il Tribunale

capo di imputazione elevato a carico del Di Marco, nel senso che il reato
edilizio contestato doveva intendersi inquadrato nell’art. 44, lettera c) del dPR
n. 380 del 2001 (e non, come riportato nello stesso decreto di citazione a
giudizio penale, nell’art. 44, lettera b), lasciando peraltro invariata la condotta
materiale riportata, disponeva, pur a ciò opponendosi le difese degli imputati,
procedersi oltre osservando che “nel caso di specie il PM non ha proceduto ad
alcuna modifica del capo di imputazione ma ad una correzione di errore
materiale, lasciando immutato il fatto contestato sotto il profilo storico
fattuale”.
Avverso detta ordinanza il ricorrente ha articolato 5 motivi di ricorso per
cassazione, tutti basati sul presupposto della pretesa abnormità del
provvedimento impugnato.
Abnormità che si realizzerebbe per un verso attraverso la lesione del
diritto di difesa dell’imputato, per altro verso attraverso la attribuzione al PM
del potere di procedere alla correzione di errori materiali, potere che, ai sensi
dell’art. 130 cod. proc. pen., è esclusivamente rimesso al Giudice; ancora
attraverso la modificazione della contestazione quale cristallizzata nel decreto
che dispone il giudizio; attraverso la mancata applicazione degli artt. 516 e
seg. cod. proc. pen. previsti per il caso di modificazione della imputazione
contestata; attraverso la mancata rimessione degli atti al Gip affinché questi
procedesse a celebrare una nuova udienza preliminare avente ad oggetto
l’eventuale rinvio a giudizio dell’imputato in relazione alla imputazione come
emendata dal PM in udienza.
Sulla base di tutti i precedenti argomenti il ricorrente chiedeva che fosse
dichiarata la nullità della ordinanza in questione, nonché di tutti gli atti ad
essa conseguenti.
In data 23 gennaio 2014 il ricorrente ha depositato un’ampia memoria
illustrativa con la quale insiste nella già rassegnate conclusioni, facendo in
particolare leva sulla giurisprudenza comunitaria formatasi in tema di
corrispondenza fra contestazione ed imputazione nonché in materia di tutela
del diritto alla difesa ed al contraddittorio.
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medesimo, rilevato che il PM d’udienza aveva proceduto alla precisazione del

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è inammissibile.
Osserva, infatti, questa Corte che principio generale della giurisdizione è
che colui il quale agisce in giudizio debba essere mossa dalla esistenza di un
interesse alla pronunzia giurisdizionale a lui favorevole.
Tale interesse non può che consistere nel vantaggio che egli intende
ritrarre dalla rimozione di una situazione, anche potenziale, di lesione di una

Non vi è, pertanto, un interesse processualmente rilevante e tutelato al
ripristino della mera integrità del diritto oggettivo, ma è necessario che
l’eventuale realizzazione dell’interesse di colui che agisca in giudizio comporti,
quantomeno nella ipotesi da lui formulata (non importa in questa sede se
fondatamente o meno, trattandosi di aspetto che potrà incidere appunto sulla
fondatezza o meno della pretesa, ma non sulla esistenza dell’interesse ad
agire) in sede di ricorso alla autorità giudiziaria, in caso di accoglimento della
domanda giudiziale il ripristino di un suo diritto soggettivo (sostanziale o
processuale) ex adverso leso.
In assenza di tale interesse la azione giudiziaria è inammissibile e,
pertanto, il ricorso al giudice è precluso.
Nel caso che ne occupa tale interesse non è riscontrabile.
Il ricorrente si duole, infatti, del contenuto di un provvedimento reso in
corso di udienza dal Tribunale di Latina che, a fronte della iniziativa presa dal
PM e volta a precisare esclusivamente il nomen del reato contestato, avendo
lasciato per converso del tutto invariato in ognuna delle sue parti il capo di
imputazione (inteso questo come la descrizione del fatto, in ipotesi costituente
reato, contestato all’imputato), ha disposto procedersi oltre nella attività
istruttoria, sulla base del rilievo che, appunto il PM aveva lasciato “immutato il
fatto contestato sotto il profilo storico-fattuale”.
Nessuna lesione è, infatti, nel caso di specie possibile riscontrare in alcuna
posizione soggettiva processuale vantata dall’imputato, il quale certamente non
potrà vedersi attribuire, all’esito del giudizio, la responsabilità penale, per
effetto della variazione del nomen del reato contestato, in ordine ad un fatto
diverso da quello descritto nel capo di imputazione; mentre, va precisato, la
diversa valutazione giuridica dello stesso fatto (cioè proprio la attribuzione di
un diverso nomen juris) sarebbe stata, comunque, una facoltà che il giudicante
avrebbe potuto esercitare anche in sede di decisione della controversia penale.
Ben diversamente la vicenda si sarebbe potuta atteggiare laddove il PM in
udienza avesse proceduto alla contestazione di una fatto diverso da quello
consacrato nel provvedimento di citazione a giudizio dell’imputato; infatti per
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sua posizione giuridica soggettiva.

tale ipotesi il legislatore ha espressamente predisposto della garanzie
procedimentali in favore del prevenuto la cui mancata attivazione da parte del
giudicante avrebbe potuto determinare una serie di vizi a carico della
assumenda decisione.
Tali rilievi, però, pur illustrati dal ricorrente, mal si attagliano alla presente
fattispecie in cui – come sopra già chiarito e come, peraltro, non contestato dal
ricorrente – il capo di imputazione, “sotto il profilo storico fattuale” per ripetere

inalterato.
Né può avere un qualche rilievo il fatto che il Tribunale di Latina abbia fatto
uso della espressione “correzione di errore materiale” per riferirsi all’operato del
PM essendo tale uso inteso in senso certamente atecnico, posto che il
procedimento di correzione dell’errore materiale come previsto dall’art. 130
cod. proc. pen. ha un ambito operativo e funzionale che sicuramente esula
dalla fattispecie in esame; d’altra parte, quand’anche il Giudice pontino avesse
usato a sproposito la espressione in questione, stante la innocuità rispetto alla
posizione giuridica vantata dal ricorrente di tale errata applicazione, nessun
interesse egli vanterebbe alla restaurazione del diritto oggettivo che gli legittimi
l’adito alla azione giudiziaria.
Da ultimo in relazione alla affermata abnormità del provvedimento ora
impugnato, requisito che ne giustificherebbe la assoggettabilità (ove beninteso
vi fosse a ciò un interesse) al ricorso per cassazione, osserva la Corte che lo
stigma di tale qualità è rinvenibile, secondo la costante giurisprudenza di
legittimità, o allorché l’atto per la sua singolarità, si ponga al di fuori del
sistema organico della legge processuale, ovvero, sotto il profilo funzionale,
quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del
processo e l’impossibilità di proseguirlo (Corte di cassazione, Sezione II penale,
26 giugno 2003, n. 27716), ovvero ne realizzi una indebita regressione in
grado di alterarne l’ordinata sequenza logico-cronologica (Corte ci cassazione,
SSUU penali, 1 febbraio 2008, n. 5307).
Caratteristiche tutte queste primo visu non riscontrabili nel provvedimento
ora impugnato, avente mero carattere ordinatorio, certamente inidoneo a
impedire la prosecuzione del giudizio ovvero a determinarne la regressione.
PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2014
Il Consigliere este

Il Presidente

la espressione utilizzata nell’impugnato provvedimento, è rimasto del tutto

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