Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8701 del 04/07/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8701 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORDARO LAVINIA N. IL 05/03/1968
avverso l’ordinanza n. 5/2013 TRIB. LIBERTA’ di CALTANISSETTA,
del 21/02/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
let(e/sentite le conclusioni del PG Dott. /1/( c c, Q,
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 04/07/2013

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con ordinanza del 21 febbraio 2013 il Tribunale di Caltanissetta – Sezione per il
Riesame – rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di CORDARO Lavinia (indagata
per il reato di cui all’art. 10 del D. L.vo 74/00) avverso il decreto di perquisizione e sequestro
emesso in data 1 febbraio 2013 dal Procuratore della Repubblica presso quel Tribunale.

decreto impugnato sollevata dalla difesa in riferimento alla utilizzazione di intercettazioni
effettuate nell’ambito di un diverso procedimento, non depositati, né comunque risultanti dagli
atti, rilevando, al riguardo, che non si verteva nella ipotesi di cui all’art. 270 cod. proc. pen. e
che in effetti quelle intercettazioni erano state utilizzate soltanto come notitia criminis. Quanto
al fumus criminis il Tribunale ne riteneva la sussistenza alla luce di molteplici conversazioni
intercettate che evidenziavano la condotta illecita della CORDARO, volta all’occultamento e
distruzione di numerose pratiche legali onde impedire lo svolgimento di indagini fiscali
finalizzate alla verifica di omesse dichiarazioni. Disattendeva la tesi difensiva che in concreto
nessuna condotta di occultamento e/o distruzione era stata posta in essere dalla CORDARO,
che anzi non si era opposta alla perquisizione consegnando tutta la documentazione in suo
possesso. Il Tribunale riteneva privo di rilievo il fatto che la verifica fiscale da parte della
Guardia di Finanza nello studio legale ove operava la CORDARO non fosse ancora iniziata,
tenuto conto che la ragione della perquisizione derivava proprio e manifeste intenzioni palesate
dalla CORDARO di sottrarre pratiche legali “compromettenti” (sotto l’aspetto tributario) alla
possibile verifica fiscale programmata dalla Guardia di Finanza ed infine escludeva rilevanza al
fatto che la CORDARO non esercitasse l’attività professionale in associazione con altri legali,
ipotizzando invece un possibile concorso di vari soggetti (tra i quali per l’appunto, la
CORDARO) nella attività di occultamento e/o distruzione dei dati contabili contenuti nelle
pratiche legali dello studio.
Propone ricorso avverso la detta ordinanza CORDARO Lavinia a mezzo del proprio
difensore di fiducia articolando un unico motivo con il quale ripropone l’eccezione di
inutilizzabilità delle intercettazioni sulle quali si era basata l’iniziativa del P.M.: in particolare la
difesa lamenta che stante il mancato invio dei decreti di intercettazione provenienti dall’altro
procedimento non era possibile per la difesa comprendere se esistessero i relativi decreti
autorizzativi e per quale titolo di reato fossero stati, se del caso, autorizzati e ancora quali
soggetti fossero interessati alle indagini. In ultima analisi la difesa evidenzia l’illegittimità
dell’ordinanza per avere il Tribunale omesso di motivare sulla prova della legittima acquisizione
di quei decreti e la manifesta illogicità della motivazione stessa nella parte in cui, da un lato si
afferma che le intercettazioni anche illegittime siano utilizzabili per la ricerca della prova e

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1.2 Osservava il Tribunale anzitutto l’infondatezza della preliminare eccezione di nullità del

dall’altro ne ammette l’utilizzazione come principio di prova per la formulazione della
imputazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato. Premesso che l’unico motivo di ricorso concernente la
questione riguardante la utilizzazione, asseritamente indebita, di intercettazioni promananti da
diverso procedimento (questione già sollevata davanti al Tribunale del Riesame che la ha
disattesa con motivazione esente da incongruità logiche e corretta sotto il profilo della
ortodossia giuridica e processuale), va ribadito in questa sede in linea generale l’orientamento
(non ignorato dalla difesa che ha contestato l’operazione di utilizzazione delle captazioni sotto
un profilo diverso) assunto dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema: orientamento
consolidato nel tempo secondo il quale il divieto previsto ex art. 270 del codice di rito di
utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche relative a procedimenti diversi da
quelli nei quali sono stati raccolti, afferisce solo alla valutazione delle stesse risultanze come
elementi di prova senza che ne venga esclusa una loro valorizzazione come notitia criminis,
per l’avvio di nuove indagini e l’acquisizione di ulteriori fonti probatorie (v. Sez. 2^ 23.4.2010
n. 19699, P.M. in proc. Trotta, Rv. 247104; in senso analogo Sez. 4^ 3.10.2006 n. 2596,
Abate e altri, Rv. 236115; Sez. 5^ 2.5.2003 n. 23894, Luciani, Rv. 225946 secondo la quale
ai fini della applicazione dell’art. 270 cod. proc. pen. il concetto di utilizzazione va inteso come
valutazione delle risultanze delle intercettazioni come fonte di prova e dunque come spunto per
nuove indagini).
1.1 In sintesi, quindi il concetto di utilizzazione va interpretato come possibilità per il
giudice di tenere conto, a fini probatori, di ciò che, nel corso della conversazione intercettata,
gli interlocutori possano avere detto.
2. Ancora, con orientamento costante questa Corte Suprema ha affermato che in tema di
intercettazioni il decreto autorizzativo di cui all’art. 267 cod. proc,. pen. può trovare il proprio
presupposto in qualunque notizia di reato anche desunta da precedenti intercettazioni
inutilizzabili (Sez. 6^ 22.11.2007 n. 47109, Alì ed altri, Rv. 238714; Sez. 1^ 2.3.2010 n.

16293, Aquino e altri, Rv. 246656).
3. Alla stregua di tali considerazioni va detto che nel caso in _Carne il Tribunale ha ritenuto
di poter utilizzare i risultati delle intercettazioni acquisite in altro procedimento come mero
spunto per l’avvio di ulteriori indagini: la censura difensiva secondo la quale a causa del
mancato deposito dei decreti la difesa era impossibilitata a verificare l’esistenza dei decreti
stessi il titolo del reato cui essi eventualmente si riferivano è del tutto eccentrica rispetto al
tema in questione che era costituito esclusivamente dalla possibilità – pacificamente
riconosciuta per come ammesso dalla stessa ricorrente – di utilizzare in un diverso
procedimento risultati provenenti da altri procedimento senza che si vertesse in tema di
acquisizione di prova.

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3.1 L’utilizzo delle intercettazioni è valso al Tribunale per valutare la sussistenza del fumus
criminis nei ristretti limiti in cui esso opera nell’ambito del procedimento di riesame: e, sotto
quest’aspetto, non può di certo dirsi che il Tribunale si sia sottratto a tale compito, senza che
occorresse il deposito di quei decreti per le finalità indicate dalla difesa, in quanto si trattava di
una utilizzazione limitata.
3.2 E’ quindi da escludere la fondatezza del rilievo secondo il quale nel caso in esame il
Tribunale avrebbe avallato un uso indiscriminato di captazioni indipendentemente da una loro

al fatto che il Tribunale ha inteso utilizzare le intercettazioni quale principio di prova, in quanto
il Tribunale si è limitato – come già esposto – all’uso dei risultati di intercettazioni effettuate in
un procedimento diverso, per l’avvio di indagini riguardanti altro procedimento, senza eccedere
i limiti consentiti dal codice processuale.
4. Il ricorso va rigettato: segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 4 luglio 2013
Il Consi liereiensore

Il Presidente

legittima acquisizione; così come non si ravvisa quella manifesta illogicità asseritamente legata

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