Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8695 del 04/12/2012


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 8695 Anno 2013
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CARCANO DOMENICO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) NARDI VITTORINO N. IL 10/06/1959
avverso la sentenza n. 3105/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
16/01/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/12/2012 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. DOMENICO CARCANO
Udito il Procuratore G,erale in persona, de Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, ‘ vv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/12/2012

Ritenuto in fatto

1.Vittorino Nardi impugna la sentenza della Corte d’appello di Milano che,
dichiarato estinto il delitto di peculato per prescrizione, ha confermato, previa
concessione dell’attenuante della particolare tenuità, la decisione del giudice di
primo grado che lo condannò per il delitto di concussione.
In particolare, la Corte d’appello ha ritenuto che la vicenda ricostruita dai
giudici di merito configurasse il delitto di concussione poiché Vittorino Nardi di Casei Gerla e, in tal modo, ingenerando in Gianfranco Geremondia,
responsabile dell’agenzia di assicurazioni AXA, la convinzione di dover aderire
alle proprie richieste per evitare il pericolo di subire un pregiudizio patrimoniale
per prospettati interventi in danno dei clienti dell’agenzia di assicurazione,
qualora non avesse aderito alle sue sollecitazione – induceva Gianfranco
Gremondia a consegnargli la somma di E 300.000, versata mediante assegno
bancario, con il pretesto che la somma, già liquidatagli in esecuzione di un atto
di transazione per danni subiti agli apparecchi autovelox, non fosse sufficiente
per la totale loro riparazione.
Per il giudice d’appello, le pressioni e la coartazione di volontà da parte di
Nardi, realizzate con abuso della qualità e delle funzioni di comandante della
stazione dei Carabinieri, sono provate oltre che dalle dichiarazioni di Geremondia
anche dal singolare rilascio di un assegno di £300.000, tratto su un conto
corrente personale dell’assicuratore, per integrare il danno già liquidato, come da
quietanza interamente liberatoria sottoscritta dallo stesso Nardi, senza che il
tutto potesse essere smentito da quanto riferito ancora dall’assicuratore circa la
prassi di integrare le somme già liquidate, applicata in precedenza una decina di
volte al fine di accontentare i clienti non soddisfatti del risarcimento.
A fronte della mancata applicazione della sospensione condizionale della
pena, il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione.
Nonostante la pena sia stata ridotta ad un anno e dieci mesi di reclusione
in ragione del riconoscimento, oltre che delle attenuanti generiche, anche della
diminuente della particolare tenuità, il giudice d’appello non si è pronunciato
sulla applicazione della sospensione condizionale della pena.
Considerato in diritto
1.11 ricorso è in sé fondato.
Il Collegio condivide e fa proprio l’orientamento secondo cui vi è l’obbligo
di motivare il diniego della sospensione condizionale della pena quando essa sia
concedibile e ciò comporta che vi è legittimazione e interesse dell’imputato a
dolersi, in sede di legittimità, del mancato esercizio del potere-dovere da parte

abusando della qualità e dei poteri di comandante della Stazione dei carabinieri

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del giudice d’appello, attribuitogli dall’art. 597, comma quinto, c. p. p., a
condizione che siano indicati dal ricorrente gli elementi di fatto in base ai quali il
giudice avrebbe potuto «ragionevolmente e fondatamente esercitarlo» (Sez.
V,20 settembre 2005, dep. 14 ottobre 2005, n. 37461; Sez. VI, 13 luglio 2001,
dep. 4 settembre 2001, n. 32966).
Nel caso concreto, su Impugnazione dell’imputato, la Corte d’appello ha
ridotto la pena ab origine inflitta nei limiti di applicabilità della sospensione
condizionale, ciononostante non ha ex art.597 quinto comma c.p.p., verificato la
dall’art. 163 c.p..
La difesa ha posto in rilevo specifici elementi, quali l’applicazione delle
attenuanti generiche e la riconosciuta “modesta” entità del fatto riconosciuta in
entrambi i gradi del giudizio; elementi sui quali avrebbe potuto, una volta
ridimensionata all’esito del giudizio d’appello la pena al di sotto dei due anni di
reclusione, essere formulata una prognosi favorevole ex art.164, comma 1,
c. p. p..
2. Questione preliminare da esaminare, peraltro – dopo l’entrata in vigore
della legge 6 novembre 2012 n.190 che ha scomposto il delitto di concussione in
due autonome figure di reati la «concussione per costrizione», da un lato, e,
dall’altro, la «induzione indebita a dare o promettere», prevedendo per
quest’ultima una pena edittale inferiore rispetto alla «concussione per
costrizione» – è la qualificazione giuridica del fatto anche ai fini, che qui
interessano, della possibile declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
L’imputazione, riferita a un fatto commesso nel lontano 26 giugno 1997, e
la ricostruzione della condotta da parte dei giudici di merito, risentono nella
enunciazione e nelle espressioni argomentative in esse rispettivamente utilizzate
dell’equiparazione della “costrizione” e della “induzione” come risultato o, rectius,
modalità dell’azione, rette entrambe dal comune nucleo efficiente dell’abuso
della qualità o del potere» del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico
servizio.
Ne discende che, in ragione dell’intervenuta modifica, è determinante
ripercorrere la vicenda storica nei suoi aspetti significativi, per giungere,
indipendentemente dalle espressioni usate, a una verifica della valutazione
giuridica, per quel che rileva, ai soli fini della pena, in questa fase “transitoria”,
che vede ancora colui che è “indotto a dare o promettere” immune dalla penale
responsabilità prevista dal secondo comma dell’attuale art.319 quater c.p..
In presenza dl disposizioni di recente introdotte nell’ordinamento, per non
ricadere nei difetti della c.d. “metodologia invertita”, cioè della tecnica di
ricostruire il “fatto storico” e poi verificare in quale fattispecie incasellarlo, si

sussistenza delle condizioni richieste per l’applicazione della misura prevista

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impone anzitutto di individuare quali siano gli elementi costitutivi delle due
fattispecie dopo il c.d.”spacchettamento” giuridico delle due figure di reato.
In primis, va rilevato che la “voluntas legis”

pur manifestata con la

configurazione della «costrizione» quale unica “modalità o risultato” della
«concussione» e con la riedizione della «induzione» in una distinta norma – è
stata quella di formulare Il precetto, nelle due “ristrutturate” e “autonome” figure
di reato, con le identiche “parole” usate nella fattispecie originaria. Unica
“vistosa” differenza è quella per cui il soggetto attivo per la «concussione» è
pubblico servizio. Ulteriore novità è la scelta del legislatore di punire anche colui
che ha “ceduto all’induzione”, collaborando con la propria condotta alla
verificazione dell’evento del reato.
2.1.Una prima riflessione non può che essere quella che, nel “riprodurre”
gli stessi precetti per colui che “costringe” o “induce”, il legislatore non può avere
trascurato il diritto vivente formatosi nella vigenza della “unitaria fattispecie”.
La lettera della norma fornisce “la cornice esteriore” per l’interpretazione
del precetto penale e all’interno di essa va ricercato il significato della
disposizione. Ne discende che la riedizione della disposizione con le stesse
“parole e connessione di esse, non può che confermare la specularità del
significato del precetto, della “rado” e della “intenzione del legislatore”.
Non è contestabile che la giurisprudenza è stata finora essenzialmente
impegnata a individuare gli elementi di distinzione della “concussione” rispetto
alla “corruzione”, tuttavia, non mancano pronunce che definiscono la
“costrizione” e la “induzione” quali forme di espressione dell’abuso “dei poteri e
della qualità” e che danno senso alla attuale scelta di punire anche il soggetto
indotto a dare o promettere.
2.2.Questultimo profilo assume rilievo allo scopo di verificare se la
riedizione dei precetti in due autonome disposizioni abbia o meno attribuito a
esse un diverso significato giuridico.
A tal fine, è decisivo verificare se il reato di “induzione indebita a dare o
promettere” abbia assunto una diversa “struttura normativa” rispetto alla
precedente figura di “concussione per induzione”, nel senso che non si sia più in
presenza di un reato “mono soggettivo”, bensì a “concorso necessario”; tale
diversa “struttura” potrebbe incidere sul significato che “costrizione” e
“induzione” debbano avere nelle due autonome disposizioni così da escludere che
vi sia “continuità normativa” tra i due precetti.
Come noto, la classificazione dei reati a “concorso necessario” non si
esaurisce nel reati “plurisoggettivi propri”, per i quali la legge prevede la
punibilità di tutti i soggetti che concorrono alla produzione dell’evento, ma
comprende anche i reati “naturalisticamente plurisoggettivi”, per i quali la le
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solo il pubblico ufficiale, mentre, per la «induzione», è anche l’incaricato di

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prevede la punibilità solo di uno dei soggetti esplicitamente o implicitamente
indicati nella fattispecie quali concorrenti.
Autorevole dottrina, sostiene che la “tipizzazione plurisoggettiva” è
caratterizzata anch’essa strutturalmente, per la “strumentalità astratta” tra le
due condotte, e cioè nel senso che “le medesime condotte ivi descritte o
Implicitamente presupposte, indipendentemente dal fatto che siano punibili o
meno, acquistano un significato tipico … per via di una strumentalità che le
avvince”.
tipo strutturale, poiché era ed è una fattispecie a “tipizzazione plurisoggettiva”
perché richiedeva e richiede per la sua consumazione il concorso, rectius, la
collaborazione di altro soggetto.
Tale conclusione trova riscontro specifico, in tal modo identificando la
“ratio” del precetto dell’art.319 quater c.p., nella giurisprudenza di questa Corte

secondo cui “la condotta costrittiva” (o, ancor più, quella induttiva) può
estrinsecarsi semplicemente in una pressione psicologica sul soggetto passivo a
sottostare a un’ingiusta richiesta, essendo l’oggettivo condizionamento della
libertà morale della persona offesa (e non l’effetto psicologico che eventualmente
da esso consegue) configurabile come parte integrante della fattispecie
criminosa; ne consegue che chi è costretto o indotto a dare o a promettere
Indebitamente una utilità in conseguenza dell’abuso della qualità o dei poteri da
parte del pubblico ufficiale non deve necessariamente trovarsi in uno stato
soggettivo di timore, potendo determinarsi al comportamento richiesto per mero
calcolo economico (attuale o futuro) o per altra valutazione utilitaristica, quale
quella di non avere noie per il rifiuto opposto alle richieste rivoltegli dal pubblico
ufficiale (Sez. VI, 6 marzo 2009, dep. 13 maggio 2009, n.20455; Sez. VI, 24
maggio 2006, dep. 7 luglio 2009, n. 23776; Sez. VI, 10 febbraio 2004, dep. 5
maggio 2004, n,21088; Sez. VI, 3 novembre 2003, dep. 6 febbraio 2004, n.
4898; Sez. VI, 17 febbraio 2000, dep. 17 marzo 2000, n.3488).
2.3. Da quanto sinora esposto, si può a ragione ritenere che la punizione
del soggetto indotto non incide sulla “struttura del reato”. Infatti, le attuali scelte
del legislatore di punire il soggetto indotto e di stabilire una pena minore per
colui che “induce indebitamente a dare o promettere” rispetto a “colui” che
“costringe” per giungere al medesimo risultato non possono comportare una
diversa definizione delle modalità delle condotte – o se si vuole, del risultato di
esse – rispetto a quelle delineate dalla giurisprudenza e da gran parte della
dottrina.
Del resto, la giurisprudenza ha posto in risalto un elemento di particolare
significato e cioè che nella “concussione” – racchiusa dal 1930 sino alla novella
del 2012 in unico precetto il cui nucleo portante era nell’abuso dei poteri o della
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Ne discende che la “induzione indebita” non ha subito alcuna modifica di

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qualità in cui si esprimevano l’effetto comune della costrizione o della induzione
– la volontà dei due soggetti protagonisti dell’actio criminis é ab origine
assolutamente divergente e può, all’esito della dialettica interna che caratterizza
le due opposte condotte, divenire pressoché convergente, in particolar modo
nell’induzione.
Un dato quest’ultimo che giustifica e razionalizza la punizione di chi “dà o
promette”, il quale – indipendentemente dall’utilità o meno della sua condotta
non prevista quale elemento costitutivo del precetto – viola il “dovere di non
diretta a impedire che, nel caso di una pressione “più debole”, il soggetto, pur
consapevole di star subendo e di dare o promettere il non dovuto, “collabori” a
far conseguire l’indebito all’agente pubblico (pubblico ufficiale o incaricato di
pubblico servizio). Come posto in rilievo dalla dottrina, in tal caso “…la minaccia
penale potrebbe incentivare una resistenza attiva contro l’induzione …” scopo ”
che la nuova norma si prefigge”.
Continuità normativa, dunque, perché immutata é la “struttura
normativa” dei due precetti e la descritta “ratio”

delle due diverse forme di

manifestazione delle condotte “costrittive o induttive”, già ampiamente descritte
e valutate dalla giurisprudenza di legittimità.
La contiguità della “induzione” alle ipotesi di corruzione giustifica e spiega
Il c.d. “slittamento” sistematico verso le ipotesi corruttive e la notevole riduzione
di pena prevista per la “induzione indebita” rispetto alla “concussione”. Resta,
comunque, immutata la distinzione della corruzione, reato che, a tacer d’altro,
richiede una parità tra due soggetti e una volontà comune orientata al do ut des;
connotazioni estranee alle due diverse forme di “concussione” o “induzione”, il
cui denominatore comune è “l’abuso di potere o delle qualità”.
Ciò che in realtà, però, continua a distinguere la «concussione», e ora
anche l’autonoma “induzione indebita a dare o promettere”, da un lato, e la
«corruzione propria», dall’altro, è la configurazione dei primi due delitti anche
indipendentemente dalla “strumentalizzazione di uno specifico atto”, come
accade nell’ «abuso della qualità», ipotesi in cui la vittima di chi “costringe o
induce” a dare o promettere un’indebita utilità agisce senza correlazione con
uno “specifico atto” del soggetto investito di funzioni pubbliche.
Da ciò discende che, in mancanza di una espressa previsione che possa
attribuire un diverso significato a “costrizione e induzione”, l’interprete non è
abilitato ad attribuire una definizione diversa a esse.
Fermo restando, dunque, che in entrambe le ipotesi il costretto o
l’indotto deve essere consapevole di dare o promettere il “non dovuto”, causa
efficiente del risultato “costrizione” o induzione” era ed è l’abuso di potere o della
qualità rivestita.

5

collaborazione” che il legislatore ha individuato come “ratio” dell’incriminazione

6
L’unica differenza è nel mezzo usato per la realizzazione dell’evento, nel
senso che la dazione o la promessa dell’indebito è nella «concussione» effetto
del timore mediante l’esercizio della minaccia e, nella «induzione», invece,
effetto delle forme più varie di attività persuasiva e di suggestione tacita e di atti
Ingannevoli. La costrizione, come coazione psicologica, può essere causata anche
da altri atteggiamenti, che non siano vera e propria intimidazione, e cioè da una
qualunque condotta che, anche senza divenire minaccia espressa, si caratterizza
in concreto come una implicita, seppur significativa e seria intimidazione tale da
La giurisprudenza è uniforme nel definire I due concetti di costrizione e
induzione, racchiusi nel medesimo precetto dell’art.317 c.p..
Il reato di concussione poteva essere commesso per costrizione o per
Induzione già, prospettandosi alla vittima, nel primo caso, in modo univoco
anche se non esplicito, un male ingiusto, e ponendola di fronte all’alternativa di
accettarlo o evitarlo con l’indebita promessa o dazione, e, nel secondo caso – in
cui manca tale prospettazione -, raggiungendo lo scopo di ottenere il medesimo
risultato illecito attraverso un’opera di suggestione o di frode (Sez.VI, 5 ottobre
1998, dep. 26 ottobre 1998, n. 11258).
L’abuso di potere o della qualità si atteggia in modo diverso a seconda
che il soggetto passivo soggiaccia alla costrizione oppure all’induzione. Nel primo
caso vi è il timore di un danno minacciato dal pubblico ufficiale, nel secondo la
soggezione alla posizione di preminenza su cui il medesimo, abusando della
propria qualità o funzione, fa leva, per suggestionare, persuadere o convincere a
dare o promettere qualcosa allo scopo di evitare un male peggiore. In questo
caso, la volontà del privato è repressa dalla posizione di preminenza del pubblico
ufficiale, il quale, quand’anche senza avanzare aperte ed esplicite pretese, operi
di fatto in modo da ingenerare nel soggetto privato la fondata persuasione di
dover sottostare alle sue decisioni per evitare il pericolo di subire un pregiudizio,
eventualmente maggiore (cfr., in tal senso, Sez.VI, 8 novembre 2002, dep. 8
gennaio 2003 n. 52; Sez. Sez.VI, 14 novembre 2002, dep. 27 marzo 2003, n.
14353;Sez.VI, 19 giugno 2008, dep. 25 agosto 2008, n.33843; Sez. VI, 11
gennaio 2011, dep. 28 giugno 2011, n. 25694; Sez.VI 7 marzo 2012, dep. 24
settembre 2012, n. 36).
Non vi è alcun elemento espresso o implicito nelle due nuove fattispecie
che possa distinguere diversamente i due autonomi precetti rispetto a quanto
delineato in precedenza dal diritto vivente e, in particolare, che autorizzi a
ritenere che la «induzione» o la «costrizione» abbiano assunto un altro
significato. Tale conclusione comporterebbe inevitabilmente la esclusione di
“continuità normativa”, per la diversità del significato giuridico-fattuale dei due
precetti succedutIsi nel tempo.
6

incidere e in misura notevole sulla volontà del soggetto passivo.

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3. Nel nostro caso, l’accusa è articolata nel senso che le pressioni del
maresciallo del carabinieri, Vittorino Nardi, nei confronti di Gianfranco
Geremondia hanno cagionato l’effetto di “indurlo” a dare al predetto la somma
di E 300.000. In realtà, si è in presenza di una condotta di abuso di qualità, per
non essere collegata all’esercizio di un potere, il cui incipit è stata una forma di
persuasione fraudolenta, consistente nel rappresentare a Gianfranco
Geremondia, responsabile dell’agenzia di assicurazioni AXA, che la somma di
danaro, già liquidatagli in esecuzione di un atto di transazione per dei danni
subiti agli apparecchi autovelox, non fosse stata sufficiente per la loro totale

riparazione. A fronte delle resistenze opposte da Geremondia, fondate sulla già
avvenuta liquidazione del danno e sul rilascio di quietanza satisfattoria, Nardi ha
insistito nella sua pretesa, accampando un maggior danno subito e prospettando
anche non meglio precisati interventi in danno dei clienti dell’assicuratore. Una
condotta che si è risolta, in realtà, in una pressante persuasione, priva di una
seria e specifica intimidazione diretta in danno della persona offesa, ben
consapevole dell’indebita richiesta per l’esistenza di una quietanza liberatoria che
le avrebbe potuto agevolmente e legittimamente consentire di opporre un deciso
rifiuto.
Una condotta e un risultato, dunque, riconducibili a una “incisiva
persuasione” volta più a convincere che a coartare la volontà, nel senso indicato
dalla giurisprudenza. Un comportamento del pubblico ufficiale che si caratterizza
cioè per abuso dei poteri o delle qualità che vale a esercitare una pressione
psicologica sulla vittima, in forza della quale quest’ultima si convince della
necessità di dare o promettere denaro od altra utilità per evitare conseguenze
dannose (cfr. Sez. VI, 19 giugno 2008, dep. 25 agosto 2008, n. 33843).
Il fatto integra dunque il delitto di “induzione indebita a dare o
promettere” riprodotto nell’art.319 quater, comma 1, c.p..
4. Il reato, così diversamente qualificato, è punito con la pena della
reclusione da tre a otto anni ed è stato commesso nel lontano 26 giugno 1997
Il tempo “necessario a prescrivere” il reato è quello previsto dall’art.157
c.p.p., nel testo modificato dalla novella 2005 – poiché la condanna in primo
grado è intervenuta il 5 ottobre 2007 – e ciò comporta che “il reato è estinto per
prescrizione” qualora sia “decorso il tempo corrispondente al massimo della pena
edittale” e, “se si tratta di delitti”, comunque un tempo non inferiore a sei anni.
Il delitto di “induzione indebita”, si già detto, è stato commesso il 26
giugno 1997 e tale è il dies a quo di decorrenza degli otto anni; in tal modo, il
tempo di prescrizione sarebbe dovuto scadere il 26 giugno 2005.
Sennonché, vi è stata l’interruzione del corso della prescrizione e ciò ha
comportato, a norma degli artt. 160 comma 1, e 161 c.p., l’aumento di un

Io

quarto sul tempo base di prescrizione. Per effetto di tale aumento, il tem 4r4
po

7

8
complessivo di prescrizione é pari a dieci anni e la nuova scadenza va così fissata
al 26 giugno 2007.
Dalli esame degli atti processuali trasmessi, non risultano sospensioni del
processo dovute a esigenze difensive o altre cause che per legge possano
determinare tali effetti.
Nonostante l’interruzione del corso della prescrizione, per il cui effetto il
periodo ordinario è aumentato a dieci anni, il delitto de quo si è, comunque,
estinto per prescrizione il 26 giugno 2007.
all’art.319 quater c.p. e la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché
il reato è estinto per prescrizione
P.Q.M.
Qualificato il fatto di cui al capo b) come delitto di cui all’art.319 quater c.p.,
annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per
prescrizione.
Così deci •

Roma, il 4 dicembre 2012

Consi liere

In conclusione, il fatto di cui al capo b) va qualificato come delitto di cui

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