Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8688 del 22/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8688 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: AMORESANO SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) Oliva Vilma

nata il 16.2.1936

avverso la sentenza del 2.10.2012
della Corte di Appello di Milano
sentita la relazione svolta dal Consigliere Silvio Amoresano
sentite le conclusioni del P.G., dr. Paolo Canevelli, che ha
chiesto il rigetto del ricorso
sentito il difensore, avv. Nando Ranalli, che ha concluso
per raccoglimento del ricorso

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Data Udienza: 22/01/2014

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1. Con sentenza del 2.10.2012 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza
del Tribunale di Milano, in composizione monocratica, emessa in data 18.10.2011, con la quale
Oliva Vilma, applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato condizionato all’audizione
del consulente della difesa, era stata condannata per il reato di cui agli artt. 81 c.p., 137
comma 5 L.152/2006 per gli scarichi effettuati nello svolgimento dell’attività di trattamento
galvanico dei metalli, riduceva, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui
all’art.62 n.6 c.p., la pena inflitta in primo grado a mesi 3 di arresto ed euro 12.000,00 di
ammenda in relazione al reato commesso il 23.1.2009 ed a mesi 3 di arresto ed euro
12.000,00 di ammenda per il reato commesso il 17.4.2009.
Preliminarmente rilevava la Corte territoriale l’infondatezza dell’eccezione di nullità, in quanto il
difensore di fiducia era stato nominato in altro procedimento, per cui correttamente l’avviso di
conclusione delle indagini era stato notificato al difensore di ufficio. Considerazioni analoghe
valevano per il decreto di citazione a giudizio (peraltro la rinuncia ad ogni notifica effettuata
dal difensore all’udienza del 23.2011 aveva valore di sanatoria per ogni eventuale violazione).
Nel “merito”, assumeva la Corte territoriale che dagli atti emergeva la prova della
riconducibilità della condotta contestata all’imputata.
Si trattava, poi, di episodi diversi, realizzati nel tempo e di natura colposa, per cui non era
accoglibile la richiesta difensiva di riconoscimento dell’unicità del reato o del vincolo della
continuazione.
Tenuto conto della non eccessività del superamento dei parametri stabiliti dalla legge, del
limitato numero di occasioni in cui il reato è stato accertato e del tempo trascorso, la pena
poteva, però, essere ridotta.
Infine, i precedenti penali dell’imputata, reiterati e specifici, non consentivano la sostituzione
della pena detentiva e la concessione dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 c.p.p.
2. Ricorre per cassazione Oliva Vilma, denunciando, con il primo motivo, la violazione del
diritto di difesa.
In relazione al procedimento n.13012/09 RGNR non erano stati notificati al difensore di fiducia
l’avviso di conclusione delle indagini ex art.415 bis c.p.p. ed il decreto di citazione.
Il Tribunale accoglieva l’eccezione di nullità soltanto con riferimento al decreto di citazione.
La Corte di Appello, andando ben oltre il devolutum, ha ritenuto che la nomina del difensore
rinvenuta nel fascicolo del P.M. riguardasse altro procedimento (si trattava di una nomina
effettuata in un verbale di identificazione redatto dalla p.g).
Se fosse vero l’assunto della Corte territoriale, tutto il procedimento sarebbe nullo, perché
l’imputata sarebbe stata assistita da un difensore privo di nomina.
L’avviso di conclusione delle indagini fu notificato al difensore di ufficio il 4.12.2009 (la
consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario avvenne il 3.12.2009), pur essendo la nomina del
difensore intervenuta, precedentemente, in data 29.10.2009
Il riferimento, poi, alla rinuncia ad ogni notifica fatta all’udienza del 23.3.2001, che, secondo
la Corte di merito, avrebbe pieno valore di sanatoria, non è corretto in fatto ed in diritto. Il
difensore di ufficio ha rinunciato soltanto alla formale notifica del decreto di citazione.
Per di più, la ricorrente nel verbale di identificazione aveva anche eletto domicilio presso il
difensore di fiducia, ma di ciò non si è tenuto conto nella notifica di tutti gli atti successivi.
Con il secondo motivo deduce l’insussistenza dell’elemento oggettivo in ordine al fatto
commesso il 16.6.2009. Su tale fatto tacciono sia la sentenza di primo grado che quella di
appello. Se vi sia sta una sorta di assoluzione implicita, è interesse della ricorrente a che essa
venga resa espressa.
Con il terzo motivo deduce l’insussistenza dell’elemento oggettivo in relazione ai fatti del
23.1.2009 e 17.4.2009. Il Consulente di parte ha fornito convincenti spiegazioni in ordine ai
motivi per cui, sporadicamente, si rinveniva rame e zinco nel pozzetto “Si” (motivi che
avevano indotto la ditta ad adottare misure adeguate). La Corte territoriale ha confutato le
deduzioni del consulente (in ordine alla non riferibilità al ciclo produttivo della ditta degli
scarichi incriminati) con argomenti non scientifici, erronei e contraddittori.
Con il quarto motivo deduce l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in ordine a tutti
gli episodi contestati. Pur essendovi specifiche deduzioni sul punto, la Corte territoriale si è
limitata a confermare la natura colposa dei fatti, senza indicare la condotta colposa tenuta

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RITENUTO IN FATTO

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CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
2. Vanno, preliminarmente, esaminate le eccezioni di nullità sollevate con il primo motivo di
ricorso. Venendo denunciata la violazione di norme processuali, la Corte di Cassazione è
Giudice anche del fatto per cui è consentito l’accesso agli atti.
La Corte territoriale ha accertato che la nomina del difensore di fiducia era avvenuta in altro
procedimento (n.34745/09 RGNR)- cfr. pag. 1 sent.
La ricorrente, senza contestare, specificamente, tale assunto, deduce una insussistente
violazione del principio del devolutum: non tiene conto infatti che il Giudice di appello, davanti
al quale era stata eccepita la nullità, doveva, sotto ogni profilo, accertarne o meno la
fondatezza.
Inoltre, e sul punto, trattandosi di questione di diritto, può essere integrata la motivazione
della sentenza impugnata, come già evidenziato dal Tribunale con l’ordinanza resa all’udienza
del 23.3.2011, il decreto ex art.415 bis c.p.p. venne emesso 1’11.9.2009, mentre la nomina
dell’aw.Laviola (peraltro in altro procedimento, come si è visto) fu effettuata, successivamente
in data 29.10.2009.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In tema di avviso al difensore, non è prevista la
notifica della data fissata per qualsivoglia udienza dibattimentale o camerale, ovvero per
qualsiasi atto processuale cui lo stesso abbia diritto di intervenire, allorquando la sua nomina
sia stata formalizzata in un momento successivo all’emissione dell’avviso, poichè con tale
emissione si cristallizza la situazione processuale relativa agli adempimenti di cancelleria” (dr.
Cass. Pen. Sez. 6 n.27059 del 27.5.2008; Cass. Pen. Sez. 3 n.20931 dell’11.3.2009).
Irrilevante, quindi, è che la nomina del difensore di fiducia sia avvenuta prima della notifica
dell’avviso al difensore di ufficio (cfr. anche Sez. Un. n.20300 del 22.4.2010 e Sezioni Unite
n.8 del 6.7.1990).
Va, infine, evidenziato che l’avv. Laviola, anche se nominato in altro procedimento, era stato
formalmente investito della nomina in questo procedimento con la procura speciale per la
richiesta di riti alternativi, rilasciata in data 20.5.2011; sicchè anche l’ulteriore rilievo difensivo
(secondo cui “tutto il procedimento sarebbe nullo in quanto patrocinato da difensore senza
nomina- cfr. pag.4 ricorso) è destituito di fondamento.
3. Quanto al “merito”, la Corte territoriale ha accertato che dall’autorizzazione integrata
ambientale risultava che l’attività della ditta, di cui l’imputata era rappresentante legale,
comprendeva la pulitura e/o smerigliatura di manufatti in metallo, il trattamento galvanico
superficiale, la sgrassatura e verniciatura dei pezzi; tra i vari trattamenti era prevista la
ramatura e l’ottonatura (che prevede l’uso di rame, zinco e cianuro). Era quindi certa
l’appartenenza del rame e dello zinco al ciclo di lavorazione della ditta e, quindi, la
riconducibilità ad essa degli scarichi di cui alla contestazione.
Ha anche esaminato i rilievi difensivi, supportati dalla consulenza tecnica, in ordine
all’individuazione del punto di prelievo, alle modalità di campionamento ed alla riferibilità al
ciclo produttivo della ditta degli scarichi contestati, ritenendoli, con motivazione adeguata ed
immune da vizi logici, destituiti di fondamento. Secondo la Corte, invero, risultava evidente
che “i prelievi del 23 gennaio 2009 e del 17 aprile 2009, essendo stati effettuati presso il

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dall’imputata ed ha fatto, comunque, derivare la responsabilità penale dalla mera qualità di
rappresentante legale della ditta.
Con il quinto motivo denuncia la violazione di legge in relazione alla ritenuta non applicabilità
della disciplina sulla continuazione alle contravvenzioni.
Con il sesto motivo denuncia la violazione di legge inerente la disciplina del reato permanente.
Più che di reato continuato dovrebbe parlarsi di reato permanente, verificato più volte a
distanza di tempo (la stessa imputazione indica delle date di accertamento e non di
consumazione). Essendo unica la condotta, doveva applicarsi il cumulo giuridico previsto
dall’art.81 co.1 c.p.; è stato invece applicato il cumulo materiale.
Con l’ottavo motivo, infine, denuncia il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della
pena.

4. Correttamente è stato ritenuto che si trattasse di condotte distinte nel tempo e di natura
colposa.
La stessa ricorrente, anche attraverso la consulenza, aveva escluso la sussistenza di una
deliberata e continuata immissione nella pubblica fognatura di scarichi di acque reflue
industriali eccedenti il limite di accettabilità, assumendo anzi, in relazione ai prelievi effettuati,
che il superamento dei parametri poteva essersi verificato per caso fortuito. Non può, adesso,
invocare il carattere “permanente” della violazione o l’unicità del disegno criminoso.
Peraltro, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte sia pure con riferimento alla
L.319/1976, il reato di “scarico con superamento dei limiti di accettabilità fissati dalle tabelle
allegate alla predetta legge non può essere ritenuto di natura permanente, a meno che non si
provi in concreto che trattasi di scarico continuo, e cioè che l’alterazione dell’accettabilità
ecologica del corpo recettore si protrae nel tempo senza soluzione di continuità per effetto
della persistente condotta volontaria del titolare dello scarico” (Cass.pen. sez. 3 n.3112 del
16.11.1993).
5. La Corte territoriale, poi, ha, ineccepibilmente, ritenuto che, trattandosi di contravvenzioni
di natura colposa non potesse riconoscersi il vincolo della continuazione.
E’ pacifico, infatti, che la continuazione possa essere ravvisata tra contravvenzioni solo se
l’elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, atteso che la richiesta unicità
del disegno criminoso è di natura intellettiva e consiste nella ideazione contemporanea di più
azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali, in tal modo palesando una
intenzionalità di comportamento (cfr. ex multis, di recente, Cass.pen. sez. 3 n.10235 del
24.10.2013 ed in precedenza Cass.sez. 4 n.1285 del 25.11.2004).

campionatore automatico, si riferiscono solo e soltanto alla acque reflue industriali e non anche
ad acque meteoriche nelle quali possono casualmente essersi infiltrati residue di metalli di
eterogenea provenienza” (pag.5 sent.).
E, sotto il profilo soggettivo, ha rilevato che non era possibile attribuire il superamento dei
parametri “al caso fortuito o a cause esogene”, essendo esso attribuibile alla omissione di
controlli periodici al funzionamento dell’impianto (pag. 4,5).
Con il ricorso, attraverso una formale denuncia di vizi di motivazione, si richiede
sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
E’ pacifico, infine, che la ricorrente fosse la legale rappresentante della srl “MF Mingardi e
Ferrara”, per cui essa, in assenza (non è stata data alcuna prova) di una espressa delega in
ordine alla vigilanza del ciclo produttivo, non può che rispondere, a titolo di colpa, delle
violazioni della normativa ambientale, derivanti dall’esercizio dell’attività aziendale.
Quanto alla configurabilità del reato contestato, come affermato da questa Sezione con la
sentenza n.19753 del 19.4.2011, “In tema di scarico di acque reflue industriali,
successivamente alla modifica dell’art.137, comma quinto, del D.Lgs.n.152 del 2006 ad opera
della legge n.36 del 2010, il superamento dei limiti tabellari integra reato solo ove riguardante
le sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del D.L.gs. n.152/del 2006”
(e nel caso di specie trattasi di rame e zinco, sostanze ricomprese nella tabella 5).

6. Quanto al trattamento sanzionatorio,ta Corte distrettuale, pur riducendo (in considerazione
della non eccessiva entità del superamento dei parametri e del limitato numero di occasioni in
cui il reato è stato accertato) la pena irrogata in primo grado, nella determinazione della stessa
ha tenuto conto anche dei precedenti specifici (riportati nella nota a pag.6) che non
consentivano il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e dei benefici di legge.
Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la specifica e dettagliata motivazione in
ordine alla quantità di pena irrogata, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficiente a dare
conto dell’impiego dei criteri di cui all’art.133 c.p.le espressioni del tipo: “pena congrua”,
“pena equa” (cfr. Cass.pen. Sez. 2 n.36245 del 26.6.2009).
7. Infine, in relazione alla denunciata omessa pronuncia (sia in primo che in secondo grado)
quanto al reato accertato in data 16 giugno 2009, va osservato, da un lato, che il Giudice di
appello non può, a pena di nullità, giudicare in ordine ad un reato su cui il giudice di primo
grado abbia omesso di pronunciarsi, dovendo piuttosto, in caso di impugnativa, dichiarare la

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8. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Va soltanto rilevato che non è maturata, alla data odierna, la prescrizione neanche per il reato
commesso in data 23.1.2009 (il termine massimo di prescrizione di anni 5, tenuto conto anche
della interruzione, sarebbe maturato infatti il 23.1.2014).
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 22.1.2014

nullità sul punto della sentenza di primo grado (cfr. Cass. Pen. Sez. 2 n.9617 del 13.2.2008;
Cass. pen. sez. 6 n.9617 dell’1.9.1992) e, dall’altro, che l’interesse ad impugnare deve essere
immediato, diretto ed attuale, per cui esso non si concreta nella mera esattezza della
decisione, ma nella rimozione degli effetti pregiudizievoli scaturiti dalla inosservanza della
legge (Cass.pen. sez. 4 n.7120 del 7.3.1995).
La Corte di Appello, quindi, non poteva pronunciarsi in ordine all’imputazione relativa al reato
commesso in data 16.6.2009; né poteva dichiarare la nullità della sentenza di primo grado per
la omessa pronuncia su tale punto, non risultando una impugnazione del P.M. (e in mancanza
di una specifica impugnazione da parte della difesa, che peraltro non aveva interesse ad
impugnare in ordine a tale omissione).

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