Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8677 del 16/07/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 8677 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GALANTINO GIUSEPPE N. IL 12/05/1963
avverso la sentenza n. 187/2011 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 04/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/07/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 37che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 16/07/2013

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 4 dicembre 2012 la Corte di Appello di Lecce – Sezione Distaccata di
Taranto – confermava la sentenza del 17 ottobre 2010 emessa dal Tribunale di detta città nei
riguardi di GALANTINO Giuseppe, imputato del reato di cui all’art. 2, commi 1 e 3 del D. L.vo
74/00, con la quale lo stesso era stato condannato per tale reato alla pena di mesi quattro di

1.2 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato personalmente deducendo tre distinti
motivi: con il primo censura l’erronea applicazione della legge penale (art. 2 commi 1 e 3 del
D. L.vo 74/00) rilevando, in sintesi, che la condotta di emissione di fatture per operazioni
inesistenti da parte della società PM & PF era imputabile esclusivamente a tali società e non
influente sulla posizione della società SERDAT 2000 di pertinenza del ricorrente; ancora, che la
Corte territoriale aveva confermato il giudizio di colpevolezza pur in assenza di riscontri, senza
nemmeno tenere conto delle precisazioni fornite in sede dibattimentale dal teste CORONA
Bruno. Con il secondo motivo – afferente la trattamento sanzionatorio – il ricorrente lamenta
l’erronea applicazione della legge penale (art. 62 n. 4 cod. pen.) per avere il giudice
distrettuale negato ingresso alla attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità. Con
l’ultimo motivo il ricorrente lamenta la mancata declaratoria di improcedibilità del reato per
intervenuta prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Nessuno dei motivi del ricorso appare fondato.
2. Con riguardo al primo – afferente alla erronea applicazione della legge penale in ordine
alla conferma del giudizio di responsabilità – la decisione impugnata si caratterizza per una
esatta applicazione della norma punitiva, posto che, come evidenziato dalla Corte distrettuale,
la prova dei rapporti tra la società P.M. & P.F. s.r.I., autrice dell’emissione di fatture per
operazioni inesistenti, e la società SERDAT 2000 dell’imputato è stata desunta, correttamente,
dalla circostanza che presso quest’ultima ditta, in sede di verifica, non era stata rinvenuta
alcuna documentazione inerente alla 4 fatture emesse dalla società P.M.& P.F.; ancora, dalla
significativa circostanza che la SERDAT 2000, per la propria attività nel settore della
elaborazione e registrazione elettronica dei dati, si avvaleva della società TEAM SYSTEM per
l’utilizzazione del software per la gestione della contabilità e giammai della P.M. & P.F. s.r.l. e,
infine, che l’importo delle fatture risultava corrisposto per contante a dimostrazione implicita di
una fittizietà delle operazioni sottostanti. Si tratta di una serie cospicua di elementi indicativi di
una illecita deduzione di importi attraverso l’inserimento nella dichiarazione reddituale
riguardante l’anno di imposta 2004 di elementi passivi fittizi.

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reclusione, oltre alle pene accessorie di legge.

3. Come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, il reato di dichiarazione
fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto
dall’art. 2 del D.vo 74/00, è caratterizzato dal duplice elemento della registrazione, nella
contabilità aziendale, delle false fatture (o dalla loro conservazione ai fini di prova) e
dell’inserimento nella dichiarazione annuale d’imposta dei corrispondenti elementi fittizi (Sez.
3^ 19.12.2011 n. 14855, Malagò, Rv. 252513; idem 6.3.2008n. 14718, De Franco e altro, Rv.
239666). La Corte distrettuale ha, dunque, fatto corretto uso di tali principi valutando quali

direttamente riconducibili, indipendentemente dai profili penali riferibili in via autonoma alla
società P.F.& P.M. s.r.l. per il diverso reato di cui all’art. 8 del D.L.vo 74/00.
4. Anche il secondo motivo – con il quale viene riproposto il tema della concedibilità della
attenuante comune di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. in relazione alla esiguità del danno erariale
– non può essere condiviso.
4.1 Con indirizzo consolidato di questa Sezione, è stata ripetutamente esclusa
l’applicabilità della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità
nell’ambito dei reati tributari (ma anche dei reati doganali quali il contrabbando che hanno
sempre riferimento alla riscossione di tributi), non trattandosi di illeciti che offendono il
patrimonio. La ragione della inapplicabilità si fa risiedere nella particolare oggettività giuridica
del reato tributario che lede non già il patrimonio dello Stato, ma l’interesse pubblico, di rango
costituzionale, all’osservanza dell’obbligo dei cittadini di concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva. Da qui l’infondatezza della attenuazione della pena in
relazione alla entità, più o meno lieve del danno che si pretenderebbe arrecato all’Erario (Sez.
3^ 24.6.1993 n. 98098, Pieri, Rv. 195205; idem,16.6.2004 n. 34912, Pizzimenti, Rv. 229559
in tema di reati di contrabbando doganale; Sez. 4^ 20.2.2002 n. 13843, P.G. in proc. Lona ed
altri, Rv. 221287).
4.2 Va però precisato, ad integrazione di quanto fin qui osservato, che con riferimento alla
applicabilità della attenuante comune prevista dall’art. 62 n. 6 cod. pen. – anche questa
negata in origine in via generale per i reati tributari – di recente il legislatore speciale ha
previsto la possibilità di una mitigazione della pena in caso di condanna per reati tributari
introducendo una speciale ipotesi di risarcimento del danno conseguente al pagamento del
debito tributario contemplata nell’art. 13 del D. L.vo 74/00, anche se la riduzione
originariamente prevista fino alla metà è stata di recente circoscritta ad un terzo per effetto
della L. 148/11.
4.3 Ritornando al tema della concedibilità della diversa attenuante comune del danno
patrimoniale di speciale tenuità per i delitti che comunque offendono il patrimonio o che sono
determinati da motivi di lucro, rebus sic stantibus, gli approdi della giurisprudenza di questa
Corte sono nel senso della inapplicabilità a tutti indistintamente i reati tributari, osservandosi,

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elementi sintomatici della condotta illecita riferita alla azienda dell’imputato, quelli ad essa

peraltro, che già – con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 2 del D. L.vo 74/00 ante riforma
del 2011 (L. 149/11, art. 2 comma 36 vicies semel) – era (ed è con riferimento alla fattispecie
de qua) prevista nel 3° comma una attenuante speciale collegata alla minore entità del tributo
che si pone, rispetto alla condotta enunciata nel 1° comma, come circostanza ad affetto
speciale (così Sez. 3^ 8.5.2008 n. 25204, P.M. in proc. Lunetto, Rv. 240247), anche se non
mancano decisioni di segno opposto che la configurano come ipotesi autonoma di reato (Sez.
3^ 6.3.2008 n. 23064, Palamà ed altro, Rv. 239919).

dianzi esposto – unicamente dalla peculiare natura ed oggettività giuridica del reato tributario,
anche se non mancano affermazioni di portata più generale in forza delle quali essa trova
applicazione per ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, indipendentemente dalla
natura giuridica del bene oggetto di tutela, a condizione che la speciale tenuità riguardi
congiuntamente l’entità del lucro (conseguendo o conseguito) e dell’evento dannoso o
pericoloso (così Sez. 5^ 19.10.2005 n. 43342, Sorbo, Rv. 232851).
4.6 Quale segno di una tendenza da parte del legislatore fiscale al rigore punitivo per le
violazioni di tipo finanziario va anche segnalato che le nuove disposizioni introdotte dalla L.
149/11 (riguardanti, comunque, le condotte successive all’entrata in vigore di detta legge)
hanno eliminato forme di attenuanti legate alla entità della somma evasa, con ciò lasciando
intendere il legislatore che la vera tutela da apprestare non è tanto quella di salvaguardare il
patrimonio dello Stato, quanto l’obbligo indifferenziato per i contribuenti di concorrere alle
spese attraverso condotte virtuose di versamento delle imposte dovute.
4.7 Non è da escludere, però, de jure condendo,

una rivisitazione di tale tendenza

rigoristica, attraverso l’introduzione di specifiche attenuanti legate anche alla entità economica
della violazione in parallelo con quanto accade per l’attenuante ipotizzata dall’art. 13 citato,
laddove dovessero insorgere marcate situazioni di squilibrio tre alcune delle figure delittuose
contemplate dal D. L.vo 74/00.
5. Alla stato ritiene il Collegio, in relazione alla condotta in esame ed al tempus commissi
delicti, di non discostarsi dall’orientamento uniforme di cui si è precedentemente detto secondo
il quale, indipendentemente dalle finalità perseguita dall’agente (che certamente, nell’inserire
all’interno della dichiarazione annuale elementi passivi fittizi, ha come scopo quello di
realizzare un guadagno economico), è ancora oggi l’oggettività giuridica del reato tributario ad
impedire la configurabilità dell’attenuante in discorso: il che vale ancor oggi a ribadire la non
applicabilità dell’art. 62 n. 4 cod. pen. alle violazioni tributarie penali, correttamente esclusa,
quindi, dalla Corte distrettuale.
6. In ultimo, con riferimento al motivo afferente alla ritenuta estinzione del reato per
prescrizione, fermo restando che la natura di delitto riconosciuta all’art. 2 del D. L.vo 74/00 (in
tutto analoga a quella del delitto di cui all’art. 4 lett. f) della L. 516/82 rispetto al quale la

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4.5 La specifica ragione della inapplicabilità della attenuante comune deriva – come si è

iguova norma si trova in continuità normativa), fa sì che il tempo necessario a prescrivere sia di
sette anni e mezzo, alla data di emissione della sentenza di appello il termine massimo
prescrizionale non era affatto maturato: va ricordato che il momento consumativo del reato in
parola coincide con la data di presentazione della dichiarazione – nel caso in esame 29 giugno
2005 – e che il termine massimo sarebbe scaduto il 19 dicembre 2012, cui va aggiunto il
periodo di sospensione per mesi otto e giorni 19 a causa dell’adesione del difensore
all’astensione proclamata dall’O.U.A., del quale nessuna menzione viene fatta dal ricorrente. La

7. In conclusione il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 16 luglio 2013
Il Consigliere estensore

Il Presidente

relativa censura è, dunque, manifestamente infondata.

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