Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 867 del 11/05/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 867 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MIRABILE CARMELO nato il 29/01/1966 a CATANIA

avverso l’ordinanza del 26/09/2016 della CORTE APPELLO di CATANIA
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO GIUSEPPE SANDRINI;
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le conclusioni del PG reLo Chsjcv

L.

Data Udienza: 11/05/2017

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza indicata in rubrica la Corte d’appello di Catania, in funzione di
giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile l’istanza con cui Mirabile
Carmelo aveva chiesto la declaratoria di fungibilità, ex art. 657 cod.proc.pen.,
dell’intera pena detentiva espiata, nella misura di anni 7 mesi 2 di reclusione, in
esecuzione della condanna inflitta con la sentenza pronunciata il 21.04.2009
dalla Corte d’appello di Catania, a seguito dell’unificazione sotto il vincolo della
continuazione del reato associativo dalla stessa giudicato con quello oggetto
della successiva sentenza in data 29.04.2015 della medesima Corte territoriale,

che aveva rideterminato in anni 2 di reclusione la pena applicata per il primo
reato a titolo di aumento ex art. 81 capoverso cod.pen.; il giudice dell’esecuzione
rilevava che la pena inflitta con la sentenza 21.04.2009 era stata interamente
espiata al 24.08.2011, prima della commissione del reato giudicato con la
seconda sentenza, essendo le violazioni dell’art. 416 bis cod.pen. oggetto delle
due sentenze contestate entrambe in forma chiusa, la prima fino al marzo 2001
e la seconda fino al gennaio 2012; riteneva di conseguenza corretto il mancato
scomputo dell’eccedenza di pena espiata in base alla prima sentenza dal
provvedimento di cumulo della pena da eseguire emesso il 20.01.2016 dal
pubblico ministero.
2. Ricorre per cassazione Mirabile Carmelo, a mezzo del difensore, deducendo
violazione di legge in relazione all’art. 657 del codice di rito; rileva che la pena
detentiva di anni 7 mesi 2 di reclusione inflitta con la sentenza 21.04.2009 della
Corte d’appello di Catania, per il reato di cui all’art. 416 bis cod.pen., era stata
interamente espiata alla data del 24.08.2011, prima dell’unificazione in
continuazione con la (medesima) violazione associativa, ascritta come commessa
fino al 27.01.2012, giudicata con la sentenza 29.04.2015 della stessa Corte
territoriale, che aveva rideterminato in anni 2 di reclusione la pena per il primo
reato, a titolo di aumento ex art. 81 capoverso cod.pen. sulla pena base di anni
9 di reclusione irrogata per il secondo (e più grave) reato; lamenta il mancato
scomputo dall’unica pena complessiva da espiare di anni 11 di reclusione,
risultante dall’unificazione delle violazioni dell’art. 416 bis cod.pen., giudicate
separatamentel in un medesimo reato associativo commesso senza soluzione di
continuità, della pena già espiata di anni 7 mesi 2 di reclusione inflitta con la
prima sentenza.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni scritte,
chiedendo il rigetto del ricorso.
4. Con memoria in data 18.04.2017 il difensore del ricorrente ha ribadito le
ragioni del ricorso, insistendo per il suo accoglimento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1

/

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato, per le ragioni che seguono.
2. L’ordinanza impugnata ha fatto puntuale e corretta applicazione al caso di
specie del principio di diritto, affermato in modo costante da questa Corte, per
cui il riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la
conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella
risultante dal cumulo materiale delle pene irrogate con i diversi titoli di condanna
(ipotesi che non si differenzia da quella, in esame, della continuazione
riconosciuta dal giudice della cognizione tra reati in parte già decisi con sentenza
irrevocabile e in parte ancora sub iudice e dallo stesso giudicati), non comporta

automaticamente imputata alla pena detentiva da eseguire, operando anche in
detta eventualità il disposto dell’art. 657 comma 4 del codice di rito, secondo cui
a tal fine vanno computate solo la custodia cautelare sofferta e la pena espiata

sine titulo dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la
pena da eseguire, dovendosi perciò scindere il reato continuato nelle singole
violazioni che lo compongono al fine di verificare il rispetto della relativa
condizione (Sez. 1 n. 45259 del 27/09/2013, Rv. 257618; Sez. 1 n. 8109
dell’11/02/2010, Rv. 246383; Sez. 1 n. 25186 del 17/02/2009, Rv. 243809).
3. Nel caso in esame, risulta ex actis che la pena detentiva di anni 7 mesi 2 di
reclusione inflitta al ricorrente dalla sentenza 21.04.2009 della Corte d’appello di
Catania per il reato associativo di cui all’art. 416 bis cod.pen., contestato come
commesso fino al marzo 2001, è stata interamente espiata alla data del
24.08.2011, prima della commissione del reato, anch’esso di natura associativa,
giudicato con la sentenza 29.04.2015 della medesima Corte territoriale, la cui
permanenza è stata contestata al Mirabile fino al gennaio 2012; quest’ultima
data, che corrisponde a quella di cessazione della condotta partecipativa, è infatti
quella che deve essere considerata al fine di verificare – con esito negativo, nella
fattispecie – la sussistenza della condizione richiesta dall’art. 657 comma 4
cod.proc.pen., in quanto la struttura unitaria del reato permanente impedisce di
operarne la scomposizione in una pluralità di condotte, in parte anteriori e in
parte posteriori all’esecuzione della pena detentiva per il fatto precedentemente
giudicato (Sez. 1 n. 3228 del 6/07/1992, Rv. 191590, che, su tale presupposto,
ha escluso che, agli effetti della fungibilità della pena, possa ritenersi commesso
prima dell’espiazione della pena per altro reato, il reato la cui permanenza si sia
protratta oltre il termine finale della relativa espiazione).
La contestazione in forma chiusa del reato associativo giudicato con la sentenza
29.04.2015 della Corte d’appello di Catania, mediante la precisa indicazione
contenuta nel relativo capo d’imputazione della data finale (il mese di gennaio
( ‘‘
del 2012) della permanenza della condotta illecita, toglie rilevanza all’argomento

2

che la differenza di pena così formatasi, e che sia stata già espiata, sia

difensivo basato sull’evocazione dell’indirizzo giurisprudenziale riguardante il
diverso caso della contestazione in forma aperta – vale a dire senza indicazione
del termine finale – del reato permanente, nel quale soltanto compete al giudice
dell’esecuzione il potere di sindacare il giudicato al fine di individuare la data
effettiva di cessazione della permanenza dalla quale debba farsi dipendere
l’effetto giuridico invocato dall’interessato in sede esecutiva (Sez. 1 n. 33053 del
12/07/2011, Rv. 250828).
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso l’11 maggio 2017

Il Consigliere estensore
Enrico Giuseppe Sandrini

Il Presidente

P.Q.M.

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