Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8644 del 20/01/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8644 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PERAINO VITO FERRUCCIO N. IL 23/07/1952
avverso l’ordinanza n. 1968/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
27/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/01/2016

- Lette le conclusioni del Procuratore generale della repubblica presso la Corte di
Cassazione, che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’appello di Milano ha, con l’ordinanza impugnata, dichiarato
inammissibile l’appello proposto da Peraino Vito Ferruccio avverso la sentenza
del locale Tribunale, che lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi
quattro di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, per il reato di

Consulting Telecomunicazione srl, dichiarato il 2/11/2006.
Nella motivazione dell’ordinanza si legge che l’atto di gravame non rispecchia i
dettami del codice, perché ignora del tutto le motivazioni della sentenza
impugnata e perché ha chiesto l’applicazione della prescrizione con calcoli
palesemente erronei, considerando come dies a quo quello in cui sono state
attuate le distrazioni e non, invece, quello indicato nella contestazione e ritenuto
in sentenza; perché ha chiesto la riduzione della pena senza alcun argomento
specifico, salvo il generico riferimento (non documentato) ad una asserita
transazione raggiunta col fallimento e perché ha avanzato richieste sulla libertà
personale del tutto incongrue rispetto all’effettiva situazione dell’imputato.

2. Ricorre per Cassazione Peraino Vito Francesco, a mezzo del difensore,
protestando la specificità dei motivi d’appello, incentrati sul ritenuto decorso
della prescrizione e sulla eccessività della pena, in considerazione, sotto il
secondo profilo, della transazione raggiunta con la curatela (che aveva indotto il
primo giudice ad escludere l’aggravante, contestata, dell’art. 219 L.F.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato nella parte relativa al trattamento sanzionatorio
1. Le doglianze relative all’affermazione di responsabilità sono manifestamente
infondate, in quanto, effettivamente, l’appello proposto dall’imputato non
rispettava i dettami del codice, perché evitava ogni confronto con la motivazione
del provvedimento impugnato. Infatti, il primo giudice aveva motivato circa la
decorrenza della prescrizione, prendendo come dies a quo la data del fallimento
(pag. 5); inoltre, aveva escluso l’aggravante dell’art. 219 L.F. (l’aver cagionato
alla società un danno patrimoniale di rilevante gravità) in ragione della
“modestia” del passivo e “della “modesta incidenza delle condotte distrattive
nella causazione dello stesso” (pag. 6).

2

bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento della Aurora

Rispetto a questa precisa motivazione – che rispecchiava fedelmente gli
orientamenti della giurisprudenza di legittimità in tema di prescrizione del reato
di bancarotta patrimoniale – l’appellante non faceva altro che riproporre la tesi
sostenuta in primo grado, continuando a calcolare la prescrizione con decorrenza
dalla data delle condotte distrattive e senza tenere in alcun considerazione anche solo per confutarla – la decisione del Tribunale. Tale atteggiamento
rendeva effettivamente generico l’appello, perché privo della “indicazione
specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni
richiesta” (art, 581 cod. proc. pen.).

sanzionatorio, giacché qui, in maniera sintetica ma specifica, si rilevava che la
pena “risulta eccessiva in riferimento ai fatti accaduti”, in quanto l’imputato
aveva “portato a termine la transazione con il curatore del fallimento”, con la
conseguenza che – a giudizio dell’appellante – meritava un più benevolo
trattamento. Indipendentemente dalla fondatezza della doglianza, il riferimento
alla transazione intervenuta e ai “fatti accaduti” – intesi, all’evidenza, come fatti
privi di rilevante disvalore – imponeva alla Corte d’appello di spiegare per quale
motivo la richiesta di mitigazione fosse infondata. Invece, in maniera del tutto
incongrua, la Corte d’appello ha sanzionato di inammissibilità il motivo perché, a
suo giudizio, era stata chiesta “una riduzione della pena senza alcun argomento
specifico, salvo il generico riferimento (non documentato) ad una asserita
transazione raggiunta col fallimento”, laddove la stessa sentenza appellata
parlava, nell’incipit della motivazione, di “proposta della transazione fatta il
21.3.2007 dall’imputato al fallimento, con allegati gli assegni e gli ordini di
bonifico disposti in esecuzione della transazione” e si aggiungeva – in nota – che
proprio in virtù di essa era stata disposta l’estromissione dal processo della
curatela fallimentare, costituitasi parte civile.
Ne consegue che il giudizio di inammissibilità – formulato dal giudice di merito
con riferimento a tutti gli aspetti dell’appello – risulta essere frutto di una
inadeguata valutazione del compendio probatorio, con la conseguenza che
l’ordinanza va annullata con trasmissione degli atti al giudice a quo, perché
proceda al giudizio.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata senza rinvio e dispone trasmettersi gli atti
alla Corte d’appello di Milano per il giudizio.
Così deciso il 20/1/2016

2. Non altrettanto può dirsi per la parte dell’appello relativa al trattamento

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