Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8635 del 23/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8635 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ARDIMENTOSO GIUSEPPE N. IL 06/10/1981
avverso la sentenza n. 1751/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
10/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per A
LL

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

3 ca>o<2_ o Data Udienza: 23/11/2015 FATTO E DIRITTO 1. Con sentenza pronunciata il 10.4.2014 la corte di appello di 3.2.2010, aveva condannato Ardimentoso Giuseppe, alla pena ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da reato, in relazione al delitto di cui all'art. 495, c.p., per avere fornito agli appartenenti all'Arma dei Carabinieri che lo avevano sottoposto ad un controllo, le false generalità di Ardimentoso Raffaele. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. Carmine Del Genio, del Foro di Noia, lamentando: 1) violazione di legge in relazione all'art. 2, co. 4, c.p., in quanto la condotta dell'imputato andava valutata alla luce della previgente formulazione dell'art. 495, c.p., più favorevole al reo, trattandosi di fatto commesso il 23.6.2007, quindi prima della modifica intervenuta ad opera della I. n. 125 del 2008, secondo cui il reato di cui si discute era configurabile solo nel caso in cui la falsa dichiarazione fosse contenuta in un atto pubblico ovvero fosse destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico, non costituendo reato la semplice esternazione falsa al pubblico ufficiale, come quella effettuata dall'Ardimentoso nella fattispecie in esame; 2) mancanza di motivazione, derivante dal fatto che, una volta chiarita la disposizione da applicarsi, non risulta in alcun modo dimostrato, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale che le false generalità riferite dall'imputato fossero destinate ad essere trasfuse in un'annotazione di servizio o in un Napoli confermava la sentenza con cui il tribunale di Noia, in data verbale di identificazione, cioè in un atto pubblico, come risulta, peraltro, dalla deposizione del teste Tremante, circostanza, quest'ultima, sulla quale, benché evidenziata nei motivi di appello, non vi è stata risposta; 3) mancanza ed illogicità della per avere la corte territoriale omesso di "riscontrare e contestare gli argomenti addotti con l'impugnazione", fornendo una ricostruzione dell'episodio che non si concilia con l'emergenza storica dei fatti, con particolare riferimento al comportamento anomalo dei componenti della pattuglia dei Carabinieri, segnalato dall'appellante, i quali, una volta riconosciuto l'imputato come persona sottoposta all'obbligo di dimora, non avevano proceduto al suo arresto, limitandosi solo a comunicarne le generalità. 3. Il ricorso non può essere accolto, risultando viziato da diversi profili di inammissibilità. 4. Manifestamente infondati appaiono i primi due motivi di ricorso. La tesi del ricorrente, secondo cui, sotto l'impero dell'art. 495, c.p., nella formulazione precedente alla riforma operata dall'art. 1, co. 1, lett. b ter, d.l. 23.5.2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella I. 24 luglio 2008, n. 125, la condotta posta in essere dall'imputato sarebbe stata penalmente irrilevante, deve ritenersi manifestamente infondata. L'art. 495, c.p., nella sua antecedente formulazione prevedeva, effettivamente, che "chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l'identità o lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata a essere riprodotta in un atto pubblico". 2 motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, Centrale, nella struttura della fattispecie, era, dunque, la natura di atto pubblico in cui era contenuta o era destinata ad essere riportata la dichiarazione falsa, riferimento assente nella nuova formulazione dell'art. 495, c.p. prevalente nella giurisprudenza di legittimità formatasi, già prima della riforma legislativa del 2008, in sede di interpretazione della menzionata disposizione normativa, integra il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale, previsto dall'art. 495, c.p., e non il reato di false dichiarazioni sulla propria identità, di cui all'art. 496, c.p., la condotta di chi fornisce false generalità alla polizia giudiziaria all'atto della redazione di un verbale di identificazione, in quanto tali dichiarazioni diventano parte integrante del predetto verbale (cfr. Cass., sez. I, 15/11/2007, n. 43718, rv. 238202). La stessa giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha da tempo evidenziato come gli atti che gli organi di polizia redigono nel corso dei loro compiti di istituto, in cui vengono riportate le generalità di chi è sottoposto a controllo da parte dei suddetti organi, costituiscono atti pubblici in quanto formati nell'esercizio di un potere autoritativo conferito dalla legge, con la conseguenza, per l'appunto, che le dichiarazioni mendaci rese al pubblico ufficiale con riferimento a tali generalità integrano gli estremi del reato di cui all'art. 495, c.p. (cfr. Cass., sez. F., 14.9.2001, n. 37868, rv. 220199). Pertanto, tenuto conto della fattispecie concreta in esame (l'Ardimentoso ha fornito agli appartenenti all'Arma dei Carabinieri che lo sottoposero ad un controllo su strada le false generalità del fratello Raffaele), non appare revocabile in dubbio che le 3 Il ricorrente, tuttavia, non considera che, secondo l'orientamento generalità in questione erano destinate ad essere trasfuse in un verbale di identificazione e nella relativa annotazione di servizio (cioè in atti pubblici), per cui anche sotto l'impero della precedente formulazione dell'art. 495, c.p., la condotta della menzionata disposizione normativa. 5. Anche il terzo motivo di ricorso si appalesa inammissibile. Con esso, infatti, il ricorrente espone, peraltro in maniera assolutamente generica, di per sé idonea ad integrare il vizio di aspecificità del motivo di impugnazione, censure che si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. V,22.1.2013, n. 23005, rv. 255502; Cass., sez. I, 16.11.2006, n. 42369, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, rv. 235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, rv. 235508). Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di legittimità, anche dopo la novella dell'art. 606, c.p.p., ad opera della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della motivazione ed alla resistenza logica del ragionamento del giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione 4 dell'Ardimentoso andava qualificata penalmente rilevante ai sensi e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256, rv. 234148). Sicché il sindacato della Cassazione resta quello di sola legittimità, esulando dai poteri della stessa quello di una rilettura degli laddove venga ipotizzata dal ricorrente, come nel caso in esame, una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (cfr. Cass., sez. II, 23.5.2007, n. 23419, rv. 236893). 6. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 17.3.2015. elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche

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