Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8633 del 23/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8633 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da :
CONCAS GIOVANNI, nato a Cagliari il 29 agosto 1988 ;
avverso la sentenza del 19 febbraio 2015 della Corte di Appello di
Cagliari ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Aurelio Galasso che ha concluso per l’annullamento
senza rinvio in relazione al capo B per prescrizione e rigetto per
il capo A ;
udito per l’imputato l’Avv. Vincenzo D’Avoli, in sostituzione
dell’Avv. Achille Esposito, che ha concluso riportandosi al
ricorso ;
RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Cagliari ha
confermato la condanna emessa nei confronti del predetto imputato
da parte del Tribunale di Cagliari, per i reati di cui agli artt.
482 e 471 cp ( Capo A ), e di cui all’art. 116, commi l e 13, del
Codice della Strada.

Data Udienza: 23/11/2015

1.1 Avverso la detta sentenza ricorre l’imputato personalmente,
affidando la sua impugnativa a cinque motivi di doglianza.

1.2 Con il secondo motivo di doglianza l’imputato deduce, ai sensi
dell’art. 606, lett. b. cpp, l’erronea applicazione della legge
penale in relazione all’art. 49, secondo comma, cp, e comunque, ai
sensi dell’art. 606, lett. e, cpp, la mancanza e contraddittorietà
della motivazione. Più in particolare, rileva l’imputato che si
tratterebbe nel caso di specie di un falso grossolano stante la
evidenza della contraffazione della patente di guida già
riscontrata dai carabinieri al momento dei controlli. Osserva che
dalla lettura della comunicazione della notizia di reato era
emersa manifesta l’evidenza del falso e che i successivi controlli
operati dai militari tramite la ricerca sulla banca dati degli
estremi della patente erano stati effettuati solo a conferma della
già rilevata contraffazione e comunque come controlli di routine.
Deduce inoltre la parte ricorrente l’erroneità della decisione
anche in ordine alla violazione dell’art. 521 cpp, stante la
contestazione dell’ipotesi accusatoria nei termini di una sua
compartecipazione morale al reato di falso tramite l’indicazione
delle sue generalità all’autore materiale della falsificazione.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art.
606, lett. b, cpp, l’erronea applicazione della legge penale in
ordine al trattamento sanzionatorio applicato, nonché, ai sensi
dell’art. 606, lett. e, cpp, la manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla mancata determinazione della pena nel
minimo edittale.
1.4 Con il quarto motivo di ricorso si chiede l’applicazione
innanzi alla Corte di Cassazione del nuovo istituto previsto
dall’art. 131 bis cp, ai sensi dell’art. 609, secondo comma, cpp,
trattandosi di richiesta che egli ricorrente non aveva potuto
presentare in grado di appello. Deduce che ricorrono tutti i
presupposti applicativi per il riconoscimento del richiesto
beneficio, trattandosi di un imputato incensurato, essendo state
riconosciute le attenuanti generiche e una pena prossima ai minimi
edittali.
1.5 Con il quinto motivo infine si chiede la declaratoria di
estinzione del reato di cui al capo B, essendo lo stesso oggetto
di intervenuta prescrizione dopo la sentenza di appello.
CONSIDERATO IN DIRITTO

2.11 ricorso è solo parzialmente fondato.
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1.2 Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente si duole,
ai sensi dell’art. 606 lett. b cpp, della erronea applicazione
della legge penale in riferimento al mancato riconoscimento del
beneficio di cui all’art. 168-bis cp e, comunque, ai sensi
dell’art. 606 lett. e, medesimo codice, della illogicità della
motivazione resa dal giudice di appello sulla predetta questione.

3.1.1 Tutto ciò premesso, la Corte osserva che, come già affermato
in altri precedenti ( così, in particolare Cass. Sez. 2, n. 18265
del 16/01/2015 – dep. 04/05/2015, Capardoni e altri, Rv. 26379 ),
la collocazione delle disposizioni di cui agli artt. 464 bis, ter,
quater, quinquies, sexies, septies, octies e novies c.p.p., nel
libro VI (sui procedimenti speciali), dopo il titolo V,
nell’ambito del (nuovo) titolo V bis, porta a ritenere che la
sospensione del procedimento con messa alla prova per gli adulti
costituisca essa stessa un procedimento speciale, nuovo, che si
aggiunge dunque al giudizio abbreviato, all’applicazione delle
pena su richiesta delle parti, al giudizio direttissimo, al
giudizio immediato ed al procedimento per decreto. Pertanto, deve
ritenersi che l’inquadramento sistematico delle norme che
disciplinano l’istituto ha conseguenze importanti per quanto
riguarda l’applicabilità delle disposizioni in esame ai processi
in corso, non avendo il legislatore contemplato alcuna norma
transitoria.
Sul punto, va precisato che la nuova normativa sulla messa alla
prova per gli adulti ha inciso sia sulle norme sostanziali che su
quelle processuali, da un lato, introducendo un istituto che è un
beneficio ed integra una nuova causa di estinzione del reato,
dall’altro, disciplinando con esso un nuovo rito che porta alla
definizione anticipata del procedimento.
3.1.2
Ebbene,
ritiene
la
Corte,
aderendo
all’indirizzo
giurisprudenziale sopra menzionato, che proprio la disposizione di
cui all’art. 464 bis c.p.p., comma 2, può portare a ritenere che
l’aver individuato, da parte del legislatore, uno sbarramento che
individua espressamente un termine finale di presentazione della
richiesta, con diversificazioni collegate ai differenti
procedimenti, ma comunque ristretta al giudizio di primo grado,
oltre il quale il beneficio non è più applicabile, può rispondere
ad una scelta precisa con la quale il legislatore, con tale
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3. Con riferimento al primo motivo di ricorso osserva la Corte che
con l’entrata in vigore della L. 28 aprile 2014, n. 67, è divenuta
effettiva l’applicabilità e l’operatività delle disposizioni che
disciplinano il nuovo istituto della messa alla prova. Giova
ricordare che con questo nuovo istituto il legislatore ha
introdotto la sospensione del procedimento con messa alla prova
degli imputati adulti anche nel processo e per i reati commessi da
imputati maggiorenni, individuando, come si legge nella relazione
una probation giudiziale nella fase istruttoria, assimilabile al
modello adottato nel procedimento minorile, nel quale la messa
alla prova precede la pronuncia di una sentenza di condanna. In
realtà, l’obiettivo che intende conseguire questa probation
processuale è quello di offrire immediatamente all’imputato un
trattamento personalizzato che ne faciliti il recupero ed eviti il
danno derivante non solo dalla detenzione in un istituto di pena,
ma anche dalle conseguenze sociali di essere stato comunque
attinto da una decisione di condanna.

3.1.3 Ed invero, anche la Sezione Feriale Penale della Suprema
Corte, con la sentenza n. 35717/2014, si è espressa in senso
contrario alla tesi della immediata applicabilità dell’istituto
della messa alla prova ai processi in corso, con decisione del
tutto condivisibile e qui condivisa.
3.1.4 Inoltre, l’assenza di una disciplina transitoria, impone di
fare ricorso alla regola generale derivante dal principio del
tempus regit actum, con la conseguenza che sono da ritenere
inammissibili quelle richieste di sospensione del processo con
messa alla prova che vengono proposte a processo in corso, in cui
siano già stati superati i rigorosi termini decadenziali previsti
dall’art. 464 bis c.p.p., comma 2 ( Cass. 18265/2015, cit. ).
Pertanto, dal momento che la lex mitior, di cui si discute, è
“costituita dalla previsione di una ulteriore causa di estinzione
del reato tuttavia caratterizzata dalla stretta connessione con un
rito peculiare che ne impedisce ogni rilievo nei giudizi di
impugnazione”, bisogna concludere che “quando il processo è ormai
giunto davanti al giudice dell’impugnazione (perché vi è stata una
decisione che ha definito il primo grado di giudizio) non vi è
spazio sistematico alcuno per dare ingresso ad una procedura che,
come e nei termini in cui si è prima argomentato, è
strutturalmente alternativa ad ogni tipo di giudizio su una
determinata imputazione”, (v. anche Sez. F, n. 42318 del
09/09/2014 – dep. 10/10/2014, Valmaggi, Rv. 261096). Peraltro, va
aggiunto che il principio della lex mitior va ricondotto, in via
generale, alle norme concernenti le fattispecie penali e le
sanzioni ivi previste, con esclusione delle norme processuali che
invece trovano il loro primo principio di riferimento nel diverso
canone normativo del tempus regit actum di cui all’art. 11
preleggi.
3.1.5 Fornendo pertanto continuità a quella interpretazione
espressa dalle giurisprudenza di legittimità sopra ricordata,
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disposizione, ha voluto dettare una disciplina applicabile a tutti
i procedimenti pendenti, individuando tra essi quelli in cui la
disciplina sostanziale può trovare applicazione (e per converso,
quelli ai quali la disciplina non è applicabile) ( Cass.
18265/2015, cit. ). D’altra parte, mettendo in rilievo che il
legislatore, oltre alle norme sostanziali, ha previsto anche
specifiche disposizioni processuali ( una delle quali fissa uno
sbarramento per la proposizione della richiesta ) deve ritenersi
che l’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa
può correttamente ritenerla espressione della discrezionalità
legislativa, caratterizzata dalla scelta di ancorare ad un preciso
momento procedurale la possibilità di proporre l’istanza, con ciò
escludendosi che possa ritenersi incostituzionale aver deciso di
lasciar fuori, dal novero dei procedimenti in cui il rito premiale
è esperibile, quei procedimenti nei quali tale fase sia stata
superata, cioè tecnicamente esaurita ( Cass. n. 18265/2015, cit.
supra ).

occorre anche qui affermare il principio secondo cui nei processi
pendenti in grado di appello al momento dell’entrata in vigore
della legge 28 aprile 2014, n. 67, l’imputato non può chiedere la
sospensione del processo con messa alla prova ex art. 464-bis cod.
proc. pen., non essendo prevista la possibilità di dare ingresso
ad una procedura strutturalmente alternativa ad ogni tipo di
giudizio su una determinata imputazione ( così, espressamente
Sez. 2, n. 18265 del 16/01/2015, cit. supra ).

4. Ma anche il secondo motivo di doglianza risulta infondato.
4.1 Sul punto, giova ricordare che nei reati di falso in atti la
punibilità è esclusa solo nel caso di grossolana falsificazione,
immediatamente riconoscibile da chiunque ( Cass., Sez. 6, n. 18015
del 24/02/2015 – dep. 29/04/2015, Ambrosio, Rv. 263279 ).
Peraltro, va aggiunto che in tema di falso, la valutazione
dell’inidoneità assoluta dell’azione, che dà luogo al reato
impossibile, dev’essere fatta “ex ante”, vale a dire sulla base
delle circostanze di fatto conosciute al momento in cui l’azione
viene posta in essere, indipendentemente dai risultati, e non “ex
post”; tale principio riguarda, peraltro, i casi in cui il falso
sia stato scoperto e si discuta se lo stesso fosse così grossolano
da dover essere riconoscibile “ictu oculi” per la generalità delle
persone, ovvero sia stato scoperto per effetto di particolari
cognizioni o per la diligenza di determinati soggetti, non anche
quelli in cui il falso non sia stato scoperto ed abbia prodotto
l’effetto di trarre in inganno, nei quali, quindi, la
realizzazione dell’evento giuridico esclude in radice
l’impossibilità dell’evento dannoso o pericoloso di cui all’art.
49 cod. pen. ( Cass., Sez. 2, n. 36631 del 15/05/2013 – dep.
06/09/2013, Procopio, Rv. 257063 ).
4.3 Ciò posto, osserva la Corte come alcuna violazione di legge,
sub specie di erronea applicazione dell’art. 49, secondo comma,
cp, ovvero illogicità della motivazione, sia rintracciabile nella
decisione impugnata, atteso che la Corte di merito ha
correttamente motivato in ordine alla esclusione di una ipotesi di
falso grossolano sulla base della ragionevole e condivisibile
considerazione che la rottura in due parti del documento
contraffatto, avvenuto al momento dei controlli operati dai
Carabinieri, ha rappresentato nell’iter di accertamento dei fatti
solo l’occasione nel corso della quale è insorto il sospetto da
parte dei militari in ordine alla contraffazione della patente di
guida e non già la conferma della grossolanità del falso che
dunque ha richiesto ulteriori accertamenti sfociati nella
richiesta di informazioni tramite la banca dati a disposizione
delle Forze dell’ordine. Non si tratta dunque, come, poi, anche
correttamente motivato dal giudice di appello attraverso la
5

3.1.8 Ne consegue la infondatezza delle doglianze sollevate dalla
parte ricorrente in ordine al primo motivo di ricorso.

visione diretta del corpo di reato, di un falso rinvenibile ictu
oculi da chiunque.

5. Il terzo motivo di ricorso è invece palesemente inammissibile,
richiedendosi alla Corte una irricevibile rivisitazione di merito
in ordine alle valutazioni riservate al giudice di merito sulla
quantificazione della pena irrogata in sentenza.
6. In ordine al quarto motivo di ricorso, va detto che la
esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di
cui all’art. 131-bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è
applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in
vigore del D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, ivi compresi quelli
pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può
rilevare di ufficio ex art. 609, comma secondo, cod. proc. pen. la
sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto
istituto, fondandosi su quanto emerge dalle risultanze processuali
e dalla motivazione della decisione impugnata e, in caso di
valutazione positiva, deve annullare la sentenza con rinvio al
giudice di merito (Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015 – dep.
15/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308).
6.1 Ciò posto, rileva la Corte come nel caso di specie non vi
siano gli estremi per l’applicazione del sopra indicato istituto,
e ciò in ragione, da un lato, della genericità delle allegazioni
poste alla base della istanza di concessione del beneficio in
parola e, dall’altro, del fatto che il giudice del merito non
aveva neanche concesso il minimo edittale della pena.
7. Il quinto motivo è invece fondato, atteso che per il reato di
cui al capo B è intervenuta la estinzione per prescrizione dopo la
sentenza di appello, e ciò precisamente in data 15.4.2015, essendo
il reato stato consumato in data 15.4.2010 ed essendo la sentenza
di appello intervenuta in data 19.2.2015.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato
sub b per intervenuta prescrizione ed elimina la relativa pena di
euro 1500 di ammenda ; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23.11.2015

4.4 Ma anche la censura in ordine alla violazione dell’art. 521
cpp risulta infondata, atteso che la corte distrettuale ha
precisato nella sua motivazione che la condotta ascritta
all’imputato era quella concorsuale dell’apporto fornito
all’autore materiale della condotta incriminata, e ciò attraverso
l’indicazione delle false generalità.

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