Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 862 del 14/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 862 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Calamita Raffaele, nato il 14/09/1989;

Avverso la sentenza emessa il 24/06/2016 dalla Corte di assise di appello di
Catanzaro;

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Udito il Procuratore generale, in persona della dott.ssa Maria Francesca Loy,
che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Udito per l’avv. Patrizio Cuppari, per le parti civili costituite Russo Pasquale,
Contarese Maria, Russo Antonella, Russo Francesca, Russo Massimiliano;

Udito per il ricorrente l’avv. Salvatore Staiano e l’avv. Vincenzo Galeota;

Data Udienza: 14/11/2017

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 15/07/2015 la Corte di assise di Catanzaro
condannava Raffaele Calamita alla pena di anni ventiquattro di reclusione,
giudicandolo colpevole dell’omicidio aggravato di Salvatore Russo e del connesso
reato in materia di armi, contestati ai capi A e B, commessi a Tropea il
10/09/2012.
L’imputato, inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge, al

carcere, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite in
giudizio.

2. Con sentenza emessa il 24/06/2016 la Corte di assise di appello di
Catanzaro, pronunciandosi sull’impugnazione proposta dall’imputato, previa
esclusione dell’aggravante dell’art. 577, comma primo, n. 3, cod. pen.,
rideterminava il trattamento sanzionatorio irrogato a Raffale Calamita in anni
sedici di reclusione.
La sentenza di primo grado, nel resto, veniva confermata, con la
conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle ulteriori spese
processuali.

3. Da entrambe le sentenze di merito, esclusivamente divergenti in ordine al
riconoscimento dell’aggravante della premeditazione, emergeva che, intorno alle
ore 20 del 10/09/2012, nella contrada Vulcano di Tropea, Salvatore Russo
veniva ucciso con numerosi colpi di pistola, mentre si trovava nel cortile
antistante la sua abitazione, in compagnia della sua convivente, Koleva
Gospod i nova.
Nel corso delle indagini preliminari, si giungeva all’individuazione di Raffaele
Calamita quale autore dell’omicidio di Salvatore Russo grazie alle dichiarazioni
rese dalla convivente della vittima, la predetta Koleva Gospodinova, la quale, in
un primo momento, per il timore di ritorsioni, affermava di non avere
riconosciuto il soggetto che aveva esplosi i colpi di pistola che avevano provocato
la morte del compagno.
Il riconoscimento dell’imputato da parte della convivente della vittima,
superate le iniziali reticenze dichiarative, veniva ribadito nel dibattimento di
primo grado, all’udienza del 12/11/2014, come concordemente riferito dalle
sentenze di merito, che attribuivano a tale elemento probatorio il valore di
un’ulteriore conferma dell’attendibilità delle accuse rivolte dalla teste
Gospodinova all’indirizzo del ricorrente.
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pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia in

La testimone oculare, in particolare, riferiva che, sul luogo del delitto, erano
arrivate tre persone, tra cui l’imputato, a bordo di una jeep di color sabbia; che
da tale veicolo scendeva il solo Calamita, lasciando gli altri due individui a bordo
del mezzo ad aspettarlo; che il ricorrente era a volto scoperto, mentre i suoi
complici erano travisati; che il colpo mortale alla testa del convivente era stato
esploso dall’imputato mentre la vittima era a terra; che, esploso il colpo letale,
Calamita aveva afferrato il convivente per il giubbotto; che l’arma utilizzata per
uccidere la vittima era allungata nella parte anteriore; che, all’indirizzo della

La teste Gospodinova, inoltre, ricostruiva la fuga dei suoi aggressori,
evidenziando che uno di loro le era passato davanti, anche se non lo aveva
riconosciuto, essendo a volto coperto; aggiungeva che aveva riferito
dettagliatamente degli accadimenti criminosi di cui aveva conoscenza solo
quando aveva avuto la consapevolezza di potere godere di un’adeguata
protezione da parte delle forze dell’ordine procedenti; precisava, infine, che la
sua condizione di paura le derivava dal fatto che, avendo riconosciuto l’imputato,
era impaurita dal fatto che potesse succederle qualcosa.
Sotto il profilo del movente, la convivente della vittima chiariva che
l’uccisione del compagno si inseriva in un clima di conflittualità personale
esistente tra Calamita e Russo. L’esistenza di una situazione di contrasto
personale veniva corroborata dalle dichiarazioni rese dai familiari della persona
offesa, sulle quali le sentenze di merito si soffermavano analiticamente,
precisando che costoro, fin dalla prima fase delle indagini preliminari, avevano
riferito che Koleva Gospodinova aveva detto di avere riconosciuto l’assassino del
loro congiunto, che conosceva personalmente.
Il clima di conflittualità esistente tra l’imputato e la vittima veniva collegato
dai Giudici di merito a una lite che era avvenuta tra i due soggetti qualche tempo
prima dell’omicidio, conseguente al fatto che, a sua insaputa, il ricorrente aveva
coinvolto il figlio di Salvatore Russo nella commissione di un furto in
un’abitazione; lite in conseguenza della quale i due soggetti si erano scontrati
fisicamente.
Questi elementi probatori venivano ulteriormente corroborati dalle
dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Pierluigi Terrazzano, il quale
riferiva di avere appreso che, durante un periodo di comune detenzione con
Calamita, questi, conversando, con il detenuto Michele Rispoli, aveva ammesso
di avere ucciso Salvatore Russo. Sulle modalità con cui era venuto a conoscenza
di tale ammissione di responsabilità, il collaborante Terrazzano rendeva versioni
contrastanti, pur mantenendo fermo il nucleo essenziale delle sue accuse nei
confronti dell’imputato.
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persona offesa, erano stati esplosi numerosi colpi.

Devono, ancora, richiamarsi gli esiti della consulenza tecnica del pubblico
ministero, il dott. Gaetano Accorinti, che consentivano di ricostruire gli
spostamenti dell’imputato e dei suoi familiari nella giornata del 10/09/2012, i
quali venivano correlati dai Giudici di merito al compendio probatorio acquisito
nel dibattimento di primo grado.
In questa cornice probatoria, univocamente orientata in senso sfavorevole
all’imputato, i Giudici di merito ritenevano falso l’alibi fornito dall’imputato fin
dalla prima fase delle indagini preliminari, secondo cui la sera dell’omicidio si

10/09/2012, in un orario sostanzialmente concomitante con il verificarsi degli
accadimenti criminosi – collocati intorno alle ore 20 della stessa giornata – una
telecamera installata nei pressi del luogo del delitto aveva ripreso un’autovettura
della stessa tipologia di quella in uso all’imputato, a bordo della quale viaggiava
un solo individuo.
La falsità dell’alibi fornito da Raffaele Calamita si riteneva ulteriormente
corroborata dalla conversazione ambientale intercettata il 22/10/2012, durante il
periodo di detenzione patito dall’imputato dopo il suo arresto, nel corso della
quale il ricorrente discuteva con i suoi familiari delle indicazioni fornite agli
investigatori. Secondo i Giudici di merito, il contenuto di questa conversazione
riscontrava l’ipotesi accusatoria, secondo cui, fin dalla prima fase delle indagini
preliminari, il ricorrente aveva concordato con i congiunti una versione dei fatti
tesa a scagionarlo dalle accuse rivolte nei suoi confronti in relazione all’omicidio
di Salvatore Russo.
3.1. Occorre, in ultimo, dare conto dell’esclusione dell’aggravante della
premeditazione da parte del Giudice di appello, ancorché tale esclusione non
veniva contestata nel ricorso in esame, evidenziandosi che la situazione di
conflittualità personale esistente tra l’imputato e la vittima, in assenza di
elementi probatori certi, idonei a confermare che il processo di rafforzamento del
proposito omicida del ricorrente si fosse sedimentato nel tempo, non consentiva
di ritenere sussistente la circostanza di cui all’art. 577, comma primo, n. 3, cod.
pen.
Non era, pertanto, possibile stabilire con un grado di certezza adeguato il
momento dell’insorgenza della volontà criminosa in capo al ricorrente e la
persistenza di tali propositi fino alla sua concreta esecuzione, anche alla luce
delle contraddizioni tra le dichiarazioni rese da Koleva Gospodinova e Pasquale
Russo – uno dei fratelli della vittima – in ordine all’intervenuta pacificazione tra
l’imputato e la vittima, affermata dalla prima ed esclusa dal secondo dei due
dichiaranti. Ne conseguiva che non era possibile affermare in termini certi che, al
momento dell’assassinio di Salvatore Russo, la vittima e l’imputato non si erano
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trovava in compagnia della propria madre, evidenziando che, alle ore 19.24 del

riappacificati, facendo venire meno il presupposto probatorio indispensabile per
affermare, nella prospettiva accusatoria, la sussistenza di un progetto criminoso
preordinato.
Sulla scorta di questi elementi probatori e con le precisazioni di cui si è detto
in ordine al riconoscimento dell’aggravante della premeditazione, riconosciuta
dalla sola Corte di assise di Catanzaro, l’imputato veniva condannato alla pena di
cui in premessa.

Staiano e dell’avv. Vincenzo Galeota, ricorreva per cassazione, deducendo sei
motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 603 cod. proc. pen.,
conseguenti al rigetto della richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale,
finalizzata all’acquisizione del certificato del casellario giudiziale del collaboratore
di giustizia Pierluigi Terrazzano – formulata dalla difesa di Calamita nelle udienze
del 13/06/2016 e del 24/06/2016 – che si riteneva indispensabile per valutare la
credibilità soggettiva e l’attendibilità intrinseca del narrato del testimone in
questione.
Si deduceva, in particolare, che l’assenza delle verifiche istruttorie richieste
dalla difesa di Calamita, pur indispensabili sulla scorta delle allegazioni difensive,
rendeva incongruo il giudizio espresso dalla Corte territoriale catanzarese sulla
portata probatoria del contributo dichiarativo fornito dal collaborante Terrazzano,
imponendo la rivalutazione del profilo argomentativo censurato e l’acquisizione
del certificato del casellario giudiziale richiesto.
Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 63 cod. proc.
pen., conseguenti al mancato accoglimento della richiesta di declaratoria di
inutilizzabilità delle dichiarazioni della teste Koleva Gospodinova. Secondo la
difesa del ricorrente, tale declaratoria conseguiva al fatto che la deposizione resa
dalla testimone all’udienza del 12/11/2014, svoltasi davanti alla Corte di assise
di Catanzaro, possedeva una valenza auto-indiziante – relativamente al
favoreggiamento personale dell’imputato – che imponeva di procedere al suo
esame con l’assistenza di un difensore.
Si deduceva, in proposito, che la Corte di assise di appello di Catanzaro non
aveva tenuto conto del fatto che le dichiarazioni rese dalla teste Gospodinova
all’udienza del 12/11/2014 concretizzavano la commissione del reato di
favoreggiamento, essendo incontroverso che la testimone, per lungo tempo,
aveva celato l’identità dell’assassino del convivente, pur avendo assistito alle fasi
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4. Avverso la sentenza di appello l’imputato, a mezzo dell’avv. Salvatore

concitate della sua esecuzione. Ne consegue che il contenuto univocamente
auto-indiziante delle dichiarazioni testimoniali in questione – reso ulteriormente
evidente dal dato cronologico relativo alla notevole distanza di tempo tra il
verificarsi degli accadimenti criminosi e le prime indicazioni sulla persona di
Calamita quale autore dell’omicidio in contestazione – imponeva l’assunzione
della deposizione con le forme garantite previste dall’art. 63 cod. proc. pen., la
cui inosservanza rendeva inutilizzabile la testimonianza rilasciata davanti alla
Corte di assise di Catanzaro.

motivazione della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 192, cod. proc.
pen., in relazione al giudizio sulle dichiarazioni accusatorie della teste Koleva
Gospodinova, rispetto alle quali non erano stati acquisiti riscontri probatori
estrinseci idonei a confermarne la credibilità soggettiva e l’attendibilità,
intrinseca ed estrinseca, imposti dalla sua posizione di convivente della vittima e
dall’atteggiamento ambiguo assunto dalla propalante durante l’intero
procedimento.
Si deduceva che, nel caso in esame, la necessità di riscontri probatori
estrinseci alle propalazioni di Koleva Gospodinova si imponeva in conseguenza
dell’inattendibilità delle sue dichiarazioni, resa evidente dal fatto che, nel corso
delle indagini preliminari, era stata sentita dagli inquirenti per sette volte,
fornendo, in ciascuna di tali distinte occasioni processuali, una versione degli
accadimenti criminosi differente e non compatibile con gli altri segmenti del suo
narrato.
La conferma dell’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla teste
Gospodinova veniva evidenziata mediante accurati richiami testuali dei segmenti
del suo narrato, su cui ci si soffermava analiticamente nelle pagine 14-17 del
ricorso in esame, da cui emergeva l’assenza di un nucleo essenziale omogeneo
nel resoconto fornito dalla convivente della vittima.
Gli elementi di contraddittorietà del narrato della teste Gospodinova, in
particolare, riguardavano: il dato relativo al numero dei componenti del gruppo
di sicari che aveva eseguito l’omicidio, su cui le diverse versioni fornite dalla
testimone in questione non concordavano; le modalità con cui era stato esploso
il colpo di grazia all’indirizzo della vittima da parte dell’imputato; la forma
allungata della parte anteriore della pistola utilizzata da Calamita per uccidere
Salvatore Russo; i colloqui intercorsi tra la testimone oculare in esame e i
familiari della vittima nella fase iniziale delle indagini preliminari,
cronologicamente precedenti alla sua indicazione del ricorrente quale autore
dell’omicidio.

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Con il terzo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di

Con il quarto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al travisamento del dato
probatorio fornito dal teste Michelangelo Russo – uno dei fratelli della vittima in ordine al contenuto della captazione n. 104, sulla quale erano state formulate
specifiche censure con l’atto di appello, disattese dalla Corte territoriale
catanzarese, con un percorso argomentativo svincolato dalle emergenze
probatorie.
Si deduceva, in proposito, che la sentenza impugnata aveva travisato le

intrattenuto dallo stesso testimone con la sorella Francesca, non avendo mai
parlato con la congiunta della circostanza relativa al fatto che l’imputato e la
vittima fossero legati da rapporti di amicizia, avendo, al contrario, ribadito di non
essere a conoscenza di legami personali tra i due soggetti, peraltro smentiti dalle
risultanze processuali.
Con il quinto motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla ritenuta falsità dell’alibi
procurato dall’imputato, sul quale la Corte di assise di appello di Catanzaro si era
espressa in termini assertivi e svincolati dalle emergenze probatorie,
disattendendo irragionevolmente le deduzioni difensive, che non consentivano di
ritenere false le indicazioni giustificative fornite dal ricorrente, che aveva
affermato di trovarsi in compagnia della genitrice nell’orario in cui veniva
assassinato Salvatore Russo.
Secondo la difesa del ricorrente, le conclusioni alle quali erano giunti i
Giudici di merito, in ordine alla falsità dell’alibi fornito da Calamita all’autorità
giudiziaria, si fondava su un travisamento degli elementi probatori acquisiti,
rilevante sotto un duplice profilo.
Il travisamento delle emergenze probatorie censurato dalla difesa del
ricorrente, innanzitutto, riguardava l’interpretazione del contenuto
dell’intercettazione ambientale captata il 22/10/2012 tra Calamita e i suoi
familiari, durante la detenzione patita dall’imputato nel corso delle indagini
preliminari, che non consentiva di ritenere dimostrata la concertazione di un alibi
falso.
Il travisamento probatorio censurato dai difensori dell’imputato, inoltre,
riguardava la rilevanza probatoria della registrazione effettuata da una
telecamera installata nei pressi del luogo del delitto, che, alle ore 19.24 del
10/09/2012, riprendeva il passaggio di un’autovettura di tipologia analoga a
quella abitualmente utilizzata dall’imputato, a bordo della quale viaggiava un
individuo, che non poteva essere identificato per Raffaele Calamita.

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indicazioni fornite dal teste Russo, in ordine al contenuto del colloquio

Secondo la difesa del ricorrente, la conferma del travisamento probatorio
compiuto dai Giudici di merito si traeva ulteriormente dalla valenza attribuita alle
dichiarazioni rese dai testimoni Scalise, Martinello, Muzzupappa, Musolino,
Piccolo e Lonano, il cui narrato veniva interpretato in evidente contrasto con le
risultanze processuali, le quali, al contrario di quanto affermato nelle sottostanti
sentenze, non consentivano di ritenere l’imputato presente sul luogo del delitto
in concomitanza con l’assassinio di Russo.
Con il sesto motivo di ricorso si deducevano promiscuamente violazione di

che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che
desse adeguatamente conto della quantificazione del trattamento sanzionatorio
irrogato all’imputato e degli elementi probatori acquisiti nei suoi confronti in
relazione al porto e alla detenzione illegali di arma comune da sparo contestati al
capo B.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento della sentenza
impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato Raffaele Calamita deve
ritenersi infondato.

2. Deve ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano
violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in
riferimento all’art. 603 cod. proc. pen., conseguenti all’illegittimità del rigetto
della richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale per acquisire il
certificato del casellario giudiziale del collaboratore di giustizia Pierluigi
Terrazzano, formulata ex art. 603 cod. proc. pen. alle udienze del 13/06/2016 e
del 24/06/2016, ritenuto indispensabile dalla difesa dell’imputato per valutare la
credibilità soggettiva delle sue propalazioni.
Si evidenziava, in proposito, che le dichiarazioni rese dal collaborante
Terrazzano – secondo cui, durante un periodo di comune detenzione con
Calamita, l’imputato, colloquiando con il detenuto Michele Rispoli, aveva
ammesso di avere ucciso Salvatore Russo – risultavano sprovviste di credibilità
soggettiva. Infatti, sulle modalità con cui il propalante era venuto a conoscenza
di una tale ammissione di responsabilità, il collaboratore di giustizia aveva reso
versioni contrastanti e non conciliabili tra loro, che imponevano una verifica della
sua biografia giudiziaria.

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legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto

Deve, invero, rilevarsi che l’assunto difensivo da cui muove il ricorrente sulla
contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal collaborante Terrazzano risulta
smentito dalle risultanze processuali, atteso che il nucleo essenziale delle sue
propalazioni, relativo all’ammissione di responsabilità pronunciata da Calamita
durante un periodo di detenzione comune non è mai stato sconfessato dal
dichiarante in questione. Le oscillazioni dichiarative di Terrazzano, invero,
riguardano elementi marginali del suo narrato, relativi alla posizione della cella
nella quale si trovava detenuto il propalante, mentre ascoltava il colloquio tra

resoconto, peraltro convergente con la testimonianza di Koleva Gospodinova,
che identificava l’imputato quale autore dell’assassinio del convivente.
A tali considerazioni deve aggiungersi che il Giudice di appello catanzarese
affermava che l’assenza di elementi di incertezza in ordine all’identificazione
dell’imputato da parte di Koleva Gospodinova e la dinamica incontroversa degli
accadimenti criminosi non consentivano di rivalutare il compendio probatorio
acquisito nel giudizio di primo grado. Al contempo, non erano stati acquisiti
elementi processuali idonei ad affermare che il collaborante Pierluigi Terrazzano
avesse mentito sulle informazioni di cui disponeva in ordine alla vicenda
delittuosa oggetto di vaglio.
In questa cornice, non si può non rilevare che le dichiarazioni del
collaborante Terrazzano possiedono una valenza probatoria non decisiva rispetto
alla ricostruzione degli accadimenti criminosi in esame – su cui si registravano le
dichiarazioni rese da un testimone oculare presente al momento dell’uccisione
della vittima – rispetto alla quale il propalante si limitava semplicemente a
riferire di avere appreso che, durante un periodo di comune detenzione trascorso
con Calamita, questi, conversando, con il detenuto Michele Rispoli, aveva
ammesso di avere ucciso Salvatore Russo.
L’attendibilità delle dichiarazioni testimoniali, in ogni caso, risultava
avvalorata dalle univoche dichiarazioni della teste Gospodinova e dei familiari
della vittima, che consentivano di ricostruire la dinamica dell’assassinio in esame
e il contesto criminale nel quale Salvatore Russo veniva ucciso dall’imputato, che
risultano pienamente convergenti con il contenuto della deposizione di
Terrazzano, che, a prescindere dalla sua rilevanza marginale rispetto al nucleo
probatorio essenziale, risulta corroborata dal compendio probatorio
complessivamente considerato.
Occorre, pertanto, ribadire l’infondatezza della doglianza difensiva in esame,
dovendosi evidenziare ulteriormente che, secondo questa Corte, alla
rinnovazione dell’istruzione dibattimentale si può ricorrere «solo quando il
giudice ritenga “di non poter decidere allo stato degli atti”, sussistendo tale
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Calamita e Rispoli, che non valgono a inficiare l’attendibilità complessiva del suo

impossibilità unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti,
nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa
eliminare le eventuali incertezze ovvero sia di per sé oggettivamente idoneo ad
inficiare ogni altra risultanza» (Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv.
256228); condizioni, queste, che, attesa la marginalità del contributo
dichiarativo fornito dal collaborante Terrazzano appaiono insussistenti nel caso in
esame.
Nel caso in esame, dunque, non sussistevano le condizioni necessarie alla

primo, cod. proc. pen., atteso che, secondo quanto costantemente affermato da
questa Corte, tale strumento probatorio è attivabile solo quando il giudice
ritenga che le fonti di prove già acquisite siano incerte ovvero quando
l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che lo stesso possa eliminare
eventuali incertezze, inficiando al contempo ogni altra risultanza (Sez. 3, n.
35372 del 23/05/2007, Panozzo, Rv. 237410; Sez. 3, n. 21687 del 07/04/2004,
Modi, Rv. 228920).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di
ricorso.

3. Deve ritenersi infondato il secondo motivo di ricorso, con cui si
deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento
impugnato, in riferimento all’art. 63 cod. proc. pen., in relazione al mancato
accoglimento della richiesta di declaratoria di inutilizzabilità delle dichiarazioni
rese dalla teste Koleva Gospodinova.
Secondo la difesa del ricorrente, la declaratoria di inutilizzabilità invocata
conseguiva al fatto che la deposizione resa dalla teste Gospodinova all’udienza
del 12/11/2014, svoltasi davanti alla Corte di assise di Catanzaro, possedeva
una valenza auto-indiziante, della quale il Giudice di primo grado non aveva
tenuto conto, che imponeva di procedere al suo esame con l’assistenza di un
difensore.
Osserva, in proposito, il Collegio che l’assunto difensivo, secondo cui il
contenuto della testimonianza della convivente della vittima rendeva evidente la
falsità delle sue originarie dichiarazioni, appare smentito dalle risultanze
processuali, dalle quali emergeva che la ricostruzione degli accadimenti criminosi
fornita dalla teste Gospodinova era il frutto di una progressione dichiarativa, in
conseguenza della quale la versione fornita la sera del 10/09/2012 non veniva
contraddetta, ma integrata e circostanziata, pur rimanendo immutato il nucleo
essenziale delle propalazioni. Tale progressione dichiarativa appare
incontestabile, emergendo dai verbali delle sommarie informazioni rese nella
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rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello, ai sensi dell’art. 603, comma

prima fase delle indagini preliminari dalla teste in questione, che, all’udienza del
12/11/2014, venivano acquisiti al fascicolo del dibattimento, dopo l’esame della
stessa Gospodinova, che appariva – con le precisazioni di cui si è detto pienamente confermativo delle originarie dichiarazioni.
La teste Gospodinova, dunque, si limitava ad arricchire il suo iniziale
resoconto dichiarativo senza contraddirlo o smentirlo, precisando che,
nell’immediatezza dei fatti, aveva avuto paura di ritorsioni da parte di Raffaele
Calamita, cha aveva identificato come l’autore dell’omicidio del convivente,

avvalorata dalle dichiarazioni dei familiari della persona offesa. Sul punto,
appaiono pienamente condivisibili le considerazioni espresse dalla Corte
territoriale catanzarese, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 12 del
provvedimento in esame, laddove affermava che la progressione dichiarativa
della testimone conseguiva allo stato di prostrazione psicologica nella quale
versava e doveva ritenersi giustificata «dal timore di ritorsioni da parte di colui
che era stato dalla stessa riconosciuto come il killer che aveva ucciso Russo
Salvatore, esplodendogli contro i colpi di arma da fuoco e tale timore emerge
anche dalle dichiarazioni dei familiari del defunto […]»
Ne discende che la Corte territoriale catanzarese, sulla base di un percorso
argomentativo ineccepibile, riteneva corretta la decisione della Corte di assise di
Catanzaro di procedere all’esame della teste Koleva Gospodinova senza le
garanzie difensive previste dall’art. 63 cod. proc. pen., giustificando la sua
iniziale reticenza dal timore concreto di ritorsioni nei suoi confronti. Veniva
compiuto in tal modo un accertamento sulla posizione dichiarativa della
propalante che, risultando congruamente motivato, si sottrae al sindacato di
legittimità (Sez. 6, n. 20098 del 19/04/2016, Scalisi, Rv. 267129; Sez. 2, n.
51840 del 16/10/2013, Caterino, Rv. 258069).
Ricostruito in questi termini il contributo dichiarativo fornito da Koleva
Gospodinova all’accertamento dei fatti delittuosi, appare evidente che non
sussistevano i presupposti per applicare al caso in esame la disciplina dell’art. 63
cod. proc. pen., conformemente dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte,
secondo cui: «Le dichiarazioni “indizianti” di cui all’art. 63, comma primo, cod.
proc. pen. sono quelle rese da un soggetto sentito come testimone o persona
informata sui fatti che riveli circostanze da cui emerga una sua responsabilità
penale per fatti pregressi, non invece quelle attraverso le quali il medesimo
soggetto realizzi il fatto tipico di una determinata figura di reato quale il
favoreggiamento personale, la calunnia o la falsa testimonianza, in quanto la
predetta norma di garanzia è ispirata al principio “nemo tenetur se detegere”,
che salvaguarda la persona che abbia commesso un reato, e non quella che
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esplicitando una condizione di intimidazione e di soggezione psicologica

debba ancora commetterlo» (Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, Lo Presti, Rv.
264481).
3.1. A tali dirimenti considerazioni deve aggiungersi che, in tema di
valutazione della testimonianza, il sistema introdotto dal codice di rito vigente
separa nettamente la valutazione della testimonianza ai fini della decisione del
processo in cui è stata resa e la persecuzione penale del testimone che abbia
eventualmente deposto il falso, attribuendo al giudice il solo compito di
informare il pubblico ministero della notizia di reato, qualora ne ravvisi gli

consegue che la deposizione dibattimentale del testimone, pur se falsa, rimane
parte integrante del processo in cui è stata resa e costituisce prova utilizzabile e
valutabile in relazione al compendio probatorio legittimamente acquisito (Sez. 6,
n. 18065 del 23/11/2011, Accetta, Rv. 252531; Sez. 5, n. 19313 del
28/01/2013, Marino, Rv. 255635).
Né potrebbe essere diversamente, atteso che, come è stato puntualizzato
dalla giurisprudenza di legittimità, in base al principio di conservazione degli atti
e della connessa regola del tempus regit actum, le dichiarazioni del soggetto che
rivestiva soltanto lo status di persona informata sui fatti sono legittimamente
utilizzabili, a nulla rilevando in contrario la circostanza che il dichiarante abbia
successivamente assunto la condizione di indagato o di imputato (Sez. 2, n.
36284 del 09/07/2009, Pietrosanto, Rv. 245597; Sez. 2, n. 38621 del
09/10/2007, Di Fazio, Rv. 238222).
3.2. Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del secondo motivo
di ricorso.

4. Deve ritenersi infondato il terzo motivo di ricorso, con cui si deducevano
violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in
riferimento all’art. 192, cod. proc. pen., in relazione alla valutazione delle
dichiarazioni della teste Koleva Gospodinova, rispetto alle quali non erano stati
acquisiti riscontri probatori estrinseci idonei a confermarne la credibilità
soggettiva e l’attendibilità, intrinseca ed estrinseca, necessitati dalla sua
posizione di convivente della vittima e dall’atteggiamento ambiguo assunto
durante l’intero procedimento. Questa doglianza veniva proposta dalla difesa di
Calamita in stretta correlazione con quella posta a fondamento del secondo
motivo di ricorso, riguardando entrambe le censure l’inattendibilità del resoconto
dichiarativo fornito dalla teste Gospodinova.
Osserva preliminarmente il Collegio che la posizione dichiarativa di
testimone di Koleva Gospodinova impone di escludere la necessità che il suo
resoconto dichiarativo degli accadimenti criminosi debba essere corroborato da
12

estremi in sede di valutazione complessiva del materiale probatorio raccolto. Ne

riscontri probatori estrinseci idonei a confermarne la credibilità soggettiva e
l’attendibilità del narrato. Sul punto, ci si deve limitare a richiamare la
giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo la quale: «Le dichiarazioni
testimoniali, purché credibili e riferite a fatti specifici di diretta cognizione, non
necessitano, in vista dell’utilizzazione probatoria, di riscontri esterni perché, in
assenza di specifici e riconoscibili elementi idonei a giustificare il sospetto di
dichiarazioni consapevolmente false, il giudice deve presumere che il testimone
abbia correttamente riferito quanto a sua effettiva conoscenza e deve limitarsi a

risultanze probatorie» (Sez. 2, n. 16627 del 28/02/2007, Calderone, Rv.
236652; si veda in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 5944 del
15/04/1991, Piredda, Rv. 188018).
Si consideri, in proposito, che se è vero che la prova testimoniale, al pari di
ogni altra prova, deve essere sottoposta al vaglio critico del giudice, di cui
quest’ultimo deve dare valida contezza in sede di motivazione, è altrettanto vero
che il modo di atteggiarsi, in concreto, di siffatto vaglio non può che variare a
seconda del contenuto probatorio della testimonianza, determinato da una serie
di elementi idonei a garantire l’attendibilità del dichiarante. Ne consegue che,
quando, ci si trovi di fronte a testimoni della cui attendibilità non si ha valido
motivo di dubitare, il vaglio critico cui il giudice deve sottoporre le loro
dichiarazioni non può andare oltre la verifica della loro intrinseca credibilità, non
essendovi ragione alcuna di pretendere – come vi sarebbe, invece, nel caso di
testimonianze da considerare di per sé sospette – che si spinga fino al punto di
prospettare l’eventualità del mendacio.
Ferme restando tali considerazioni, non può non rilevarsi che, nel caso in
esame, la Corte territoriale catanzarese correlava correttamente le dichiarazioni
della convivente della vittima al compendio probatorio, complessivamente
considerato, i cui elementi consentivano di riscontrarne l’attendibilità, in termini
estrinseci rispetto al narrato oggetto di vaglio, con la conseguenza che, anche
sotto tale profilo, la doglianza in esame risulta smentita dalle risultanze
processuali.
Si consideri, innanzitutto, che il resoconto fornito dalla teste Gospodinova, in
ordine al clima di accesa conflittualità personale esistente tra Calamita e Russo e
alle ragioni che lo avevano determinato, veniva corroborato dalle dichiarazioni
rese dai familiari della persona offesa dal reato, i quali, fin dalla prima fase delle
indagini preliminari, avevano riferito che la convivente della vittima aveva detto
di avere riconosciuto l’assassino del loro congiunto, che conosceva
personalmente.

13

verificare la compatibilità tra il contenuto delle dichiarazioni testimoniali e le altre

Si consideri, inoltre, che le dichiarazioni testimoniali in questione venivano
ulteriormente corroborate dalle propalazioni del collaboratore di giustizia Pierluigi
Terrazzano, sulla cui portata probatoria ci si è riferiti nel paragrafo 2, cui si deve
rinviare, che riferiva di avere appreso che, durante un periodo di comune
detenzione, Calamita, conversando, con il detenuto Michele Rispoli, aveva
ammesso di avere ucciso Salvatore Russo, riscontrando ulteriormente il narrato
di Koleva Gospodinova.
Tali elementi probatori, sui quali la sentenza impugnata si soffermava in

espresso dalla Corte di assise di appello di Catanzaro in relazione alle
dichiarazioni di Koleva Gospodinova.
4.1. In questa cornice, deve darsi ulteriormente conto delle contraddizioni
riguardanti il narrato della teste Koleva Gospodinova, evidenziate dalla difesa di
Calamita nelle pagine 17-23 del ricorso in esame, riguardanti la fase esecutiva
dell’agguato in danno di Salvatore Russo e le modalità con cui la vittima veniva
assassinata.
Secondo la difesa del ricorrente, tali contraddizioni rendevano evidente la
falsità delle dichiarazioni rese dalla testimone e assumevano una peculiare
valenza probatoria, con specifico riferimento al numero dei colpi esplosi in danno
della vittima dai sicari giunti sul posto e ai caschi ritrovati sul luogo del delitto
nell’immediatezza dei fatti.
Deve anzitutto rilevarsi che sulla ricostruzione della fase esecutiva
dell’assassinio di Salvatore Russo e sui profili motivazionali censurati dalla difesa
di Raffaele Calamita – peraltro costituenti una mera riproposizione delle
doglianze proposte nel giudizio di secondo grado, alle quali si rispondeva
esaustivamente nelle pagine 19 e 20 della sentenza impugnata – il percorso
argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Catanzaro appare
ineccepibile e corroborato dalle risultanze processuali.
Occorre, invero, ribadire che le modalità progressive con cui la teste
Gospodinova rendeva le sue dichiarazioni sugli accadimenti criminosi, su cui ci si
è già soffermati nei paragrafi 3 e 3.1, cui si deve rinviare, impongono di inserire
il suo narrato in un ampio contesto probatorio, il cui nucleo essenziale è
costituito dall’individuazione certa del soggetto che aveva esploso i colpi mortali
all’indirizzo della vittima nella persona di Raffaele Calamita. Rispetto a tale dato
probatorio incontrovertibile il riferimento al numero dei colpi di pistola esplosi dai
sicari – e dallo stesso Calamita – veniva ritenuto dai Giudici di merito un profilo
valutativo non decisivo ai fini della formulazione del giudizio di responsabilità del
ricorrente.

14

termini ineccepibili, inducono a ritenere congruo il giudizio di attendibilità

Si è già detto, del resto, che la testimone, di volta in volta, introduceva
elementi di dettaglio della narrazione, arricchendola, senza contraddirla, di
particolari, relativi alle modalità di esplosione dei colpi da parte dei componenti
del gruppo di fuoco, agli spostamenti dei sicari sulla scena del delitto e al veicolo
con cui erano giunti sul posto. Si tratta, dunque, di dettagli disvelati
progressivamente dalla teste Gospodinova, che dovevano essere valutati non già
isolatamente – al contrario di quanto proposto dalla difesa del ricorrente nell’atto
di impugnazione in esame – ma alla luce del compendio dichiarativo

propalante, dopo le iniziali reticenze, veniva esaminata numerose volte,
ribadendo, senza esitazione, di avere riconosciuto Calamita come l’assassino del
convivente.
Sul punto, non si possono non condividere le conclusioni alle quali perveniva
la Corte territoriale catanzarese, che, nel passaggio motivazionale esplicitato a
pagina 19 della sentenza impugnata, evidenziava che, nel valutare positivamente
l’attendibilità del narrato della teste Gospodinova, non si poteva prescindere dal
dato probatorio, decisivo ai fini dell’affermazione della responsabilità penale di
Raffaele Calamita, costituito dalla «costanza della indicazione di Spillo come
autore del delitto a partire dal verbale di sommarie informazioni di 5.10.2012
[—]».
Né vale a smentire la ricostruzione degli accadimenti criminosi fornita dalla
teste Gospodinova il ritrovamento sul luogo del delitto di due caschi, che,
secondo la difesa di Raffaele Calamita, smentiva la circostanza riferita dalla
testimone secondo cui aveva riposto il suo casco all’interno della sella del
motoveicolo a bordo del quale era giunta sul luogo del delitto in compagnia della
vittima.
Invero, come evidenziato dalla Corte di assise di appello di Catanzaro, la
caduta a terra del veicolo in questione appare compatibile dinamicamente con la
fuoriuscita del casco provocata dal contraccolpo, che aveva determinato
l’apertura della sella dove era riposto il casco e il suo rotolamento a terra. Ne
consegue che è assolutamente plausibile che il casco della teste Gospodinova,
dopo la caduta del mezzo, fosse fuoriuscito dal posto in cui era stato conservato
dalla testimone e fosse stato spostato da uno dei soggetti presenti sulla scena
del delitto, volontariamente o involontariamente, fino ad arrivare nell’aiuola dove
veniva trovato e sequestrato dai carabinieri di Vibo Valentia, come attestato dal
fascicolo fotografico depositato agli atti, richiamato a pagina 20 della decisione
impugnata.
Tale ritrovamento, in ogni caso, non poteva essere valutato isolatamente,
ma doveva essere correlato alla ricostruzione processuale della sequenza
15

complessivo, per inquadrare il quale occorre anche tenere presente che la

omicida compiuta dalla Corte territoriale catanzarese, rispetto alla quale, come
evidenziato a pagina 20 della decisione in esame, è «facilmente immaginabile la
concitazione dei momenti del tentativo di soccorso di una persona ferita con colpi
di arma da fuoco […]».
Occorre, pertanto, ribadire la necessità di una lettura unitaria e omogenea
del compendio probatorio costituito dalle dichiarazioni rese dalla teste Koleva
Gospodinova, compiendo un’operazione di ermeneutica processuale di segno
esattamente inverso a quella – tendente alla valutazione atomistica e frazionata

Queste considerazioni impongono di ritenere attendibile il narrato della teste
Koleva Gospodinova e compatibile con le emergenze probatorie la ricostruzione
degli accadimenti criminosi compiuta dalla Corte di assise di appello di
Catanzaro.
4.2. Le ragioni che si sono esposte impongono di ritenere infondato il terzo
motivo di ricorso.

5. Deve ritenersi infondato il quarto motivo di ricorso, con cui si deducevano
violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato,
conseguenti al travisamento del dato probatorio ricollegabile alla deposizione
resa dal teste Michelangelo Russo in ordine al contenuto della captazione n. 104,
sul quale erano state formulate specifiche censure con l’atto di appello, disattese
dalla Corte territoriale catanzarese. Tali censure, in particolare, erano state
formulate nel giudizio di secondo grado ed erano state esplicitate a pagina 10
dell’atto di impugnazione in discorso, così come richiamato delle pagine 23 e 24
del ricorso per cassazione oggetto di vaglio.
Osserva, in proposito, il Collegio che, sul contenuto della captazione in
questione, riguardante un colloquio intrattenuto tra il predetto Michelangelo
Russo e la sorella Francesca, germani della vittima, nel corso del quale i due
congiunti discutevano del movente dell’assassinio della persona offesa, la Corte
territoriale catanzarese si soffermava in termini esenti da discrasie motivazionali,
evidenziando che, dal contenuto di tale intercettazione non era evincibile, né
direttamente né indirettamente, l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da Koleva
Gospod i nova .
Infatti, i fratelli Russo, nel corso della captazione in questione, non
affrontavano il tema dell’attendibilità delle dichiarazioni della convivente della
vittima, con la conseguenza che, da tale intercettazione non era desumibile alcun
riferimento al contenuto nella deposizione della testimone oculare. Sul punto,
appare indispensabile richiamate il passaggio motivazionale della sentenza
impugnata, censurato dalla difesa di Calamita, esplicitato nelle pagine 15 e 16,
16

delle sue propalazioni – prospettata dalla difesa del ricorrente.

nel quale si affermava: «L’intercettazione n. 104, per come riportata nell’atto di
appello non attesta alcuna contaminazione della teste poiché da alcun elemento
è dato desumere che i conversanti (Russo Michelangelo e Francesca) stessero
parlando della teste o dell’imputato (l’amico citato nella conversazione) e di
eventuali influenze sulla stessa».
Ricostruito in questi termini il passaggio motivazionale controverso, nessuna
discrasia argomentativa è ravvisabile nell’interpretazione dell’intercettazione n.
104, rispetto alla quale le censure difensive appaiono smentite dalle risultanze

16/10/2014, escludeva di avere parlato con la sorella dei rapporti esistenti tra
l’imputato e la vittima, con la conseguenza che il teste non confermava
l’interpretazione della captazione fornita dalla difesa di Calamita, nei termini
correttamente esplicitati a pagina 15 della sentenza impugnata.
5.1. A tali considerazioni deve aggiungersi che non è nemmeno possibile
reinterpretare la captazione sopra richiamata nella direzione invocata dalla difesa
del ricorrente, atteso che, attraverso tale censura, si propone, in termini
contrastanti con le emergenze probatorie, correttamente vagliate dalla Corte di
assise di appello di Catanzaro, un’operazione di ermeneutica processuale non
consentita in sede di legittimità (Sez. 2, n. 35181 del 22/05/2013, Vecchio, Rv.
257784; Sez. 6, n. 11794 dell’11/02/2013, Melfi, Rv. 254439).
Tali considerazioni assumono una specifica valenza con riferimento alla
lettura del contenuto della conversazione n. 104, rispetto alla quale è stato
tratteggiato nel ricorso in esame, un problema di interpretazione delle frasi e del
linguaggio usato dai fratelli Russo, che costituisce una questione esclusivamente
fattuale, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, che si sottrae al
giudizio di legittimità se e nella misura in cui le valutazioni effettuate dai giudici
di merito risultano logiche e coerenti in rapporto alle massime di esperienza
utilizzate per l’interpretazione di tali captazioni. Sul punto, allo scopo di
circoscrivere con maggiore puntualità gli ambiti di intervento del giudice di
legittimità in relazione all’operazione di ermeneutica processuale compiuta dai
Giudici di merito catanzaresi sui risultati dell’intercettazione censurata, si ritiene
utile richiamare il seguente principio di diritto: «In tema di valutazione della
prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice
di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia
connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di
ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non
lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione» (Sez. 6,
n. 29530 del 03/05/2006, Rispoli, Rv. 235088; si veda, in senso sostanzialmente
conforme, anche Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv, 268414).
17

processuali. Lo stesso Michelangelo Russo, del resto, sentito all’udienza del

Questa posizione ermeneutica, in tempi recenti, è stata ulteriormente
ribadita dalle Sezioni unite, che, nel solco della giurisprudenza di legittimità che
si è richiamata, hanno affermato il seguente principio di diritto: «In tema di
intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio
adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato,
costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la
quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si
sottrae al sindacato di legittimità» (Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar,

Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del quarto motivo di
ricorso.

6. Deve ritenersi infondato il quinto motivo di ricorso, con cui si deducevano
violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, in
riferimento alla ritenuta falsità dell’alibi fornito dall’imputato, sul quale la Corte di
assise di appello di Catanzaro si era espressa in termini assertivi e svincolati
dalle emergenze probatorie, disattendendo irragionevolmente le deduzioni
difensive, che non consentivano di ritenere l’alibi fornito dal ricorrente connotato
da falsità.
Deve anzitutto evidenziarsi che l’assenza di elementi di incertezza in ordine
all’identificazione dell’imputato quale autore dell’omicidio in esame, per le ragioni
che si sono esposte nei paragrafi 3, 3.1, 4 e 4.1, cui si deve rinviare, rende
destituita di fondamento la censura relativa all’alibi fornito dal ricorrente, che si
pone in termini incompatibili con le dichiarazioni rese dalla teste Gospodinova,
sulla cui attendibilità non occorre soffermarsi ulteriormente.
A queste considerazioni deve aggiungersi che nessuno dei soggetti che
avrebbe dovuto vedere il ricorrente nelle fasi precedenti e concomitanti
all’assassinio di Salvatore Russo ha confermato di averlo incontrato o visto, con
la conseguenza che la ricostruzione degli spostamenti fornita dall’imputato non
appare supportata dalle emergenze probatorie, che, rispetto alla ricostruzione
alternativa fornita dal ricorrente, assumono una valenza neutra, inidonea a
corroborare la veridicità dell’alibi.
A fronte di tali incontrovertibili dati probatori, deve rilevarsi che, secondo i
Giudici di merito, la falsità dell’alibi fornito dall’imputato, secondo cui la sera
dell’omicidio si trovava in compagnia della propria madre, appare smentito dalla
circostanza che, in epoca concomitante agli accadimenti criminosi, una
telecamera installata nei pressi del luogo del delitto – alle ore 19.24 del
10/09/2012 – riprendeva un’autovettura compatibile con quella in uso
all’imputato, a bordo della quale viaggiava un solo individuo.
18

Rv. 263715).

La falsità dell’alibi fornita da Calamita, al contempo, si riteneva corroborata
dalla conversazione ambientale intercettata il 22/10/2012, richiamata a pagina
24 della sentenza impugnata, durante il periodo di detenzione dell’imputato, nel
corso della quale il ricorrente discuteva con i propri familiari dell’alibi fornito agli
inquirenti, in cui il ricorrente, rivolgendosi ai presenti, pronunciava la frase
«l’importante che sappiate che io ero con voi […]», ottenendo, di rimando, la
risposta della madre che gli diceva «non ti preoccupare, lo so io, lo so figlio che
eri con me, lo so […]».

(Sez. U, n. 22741 del 26/02/2015, Sebbar, cit.), per le ragioni espresse nel
paragrafo 5.1, cui si rinvia – non potevano spiegarsi se non con la volontà
dell’imputato di ribadire ai propri familiari l’accordo precedentemente assunto in
ordine alla versione dei fatti da fornire agli inquirenti, rendendo evidente che le
dichiarazioni di Calamita in ordine alla sua assenza dal luogo del delitto fossero
false e comunque smentite dalle emergenze probatorie.
Si trattava, quindi, di prendere in considerazione l’ipotesi alternativa
prospettata in termini meramente congetturali dalla difesa di Calamita e
contrapporla a quella correttamente vagliata dai Giudici di merito, in presenza di
elementi probatori che si orientavano univocamente in senso sfavorevole
all’imputato. Tuttavia, nel caso in esame, non era ragionevole attribuire alcun
valore processuale alla ricostruzione prospettata dalla difesa del ricorrente, in
presenza di fonti di prova, pienamente convergenti, che imponevano di escludere
non solo la verosimiglianza, ma addirittura la plausibilità di ogni ricostruzione
alternativa delle vicende criminose oggetto di vaglio.
In ogni caso, un tale percorso valutativo, oltre che illogico e
processualmente incongruo, si sarebbe posto in contrasto con la giurisprudenza
consolidata di questa Corte, secondo cui: «In tema di valutazione della prova, il
ricorso al criterio di verosimiglianza e alle massime d’esperienza conferisce al
dato preso in esame valore di prova se può escludersi plausibilmente ogni
spiegazione alternativa che invalidi l’ipotesi all’apparenza più verosimile,
ponendosi, in caso contrario, tale dato come mero indizio da valutare insieme
con gli altri elementi risultanti dagli atti» (Sez. 6, n. 5905 del 29/11/2011, dep.
2012, Brancucci, Rv. 252066; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche
Sez. 6, n. 15897 del 09/04/2009, Massimino, Rv. 243528).
Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del quinto motivo di
ricorso.

7. Deve ritenersi infondato il sesto motivo di ricorso, con cui si deducevano
promiscuamente violazione di legge e viziò di motivazione del provvedimento
19

Queste espressioni – oltre a non essere reinterpretabili in sede di legittimità

impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di
un percorso argomentativo che desse adeguatamente conto della quantificazione
del trattamento sanzionatorio irrogato all’imputato e degli elementi probatori
acquisiti nei confronti di Calamita in relazione alle ipotesi di porto e detenzione
illegali di arma comune da sparo contestate al capo B.
Tali doglianze, di cui si deve dichiarare preliminarmente l’infondatezza,
devono essere esaminate separatamente.
7.1 Quanto alla censura difensiva relativa all’incongruità del percorso

quantificare la pena irrogata all’imputato, quantificata, all’esito del giudizio di
secondo grado, in anni sedici di reclusione, se ne deve rilevare l’infondatezza.
Osserva, in proposito, il Collegio che, nel caso di specie, il trattamento
sanzionatorio irrogato a Calamita risulta suffragato dalla ricostruzione compiuta
dalla Corte territoriale catanzarese, che si soffermava correttamente sulle
connotazioni, oggettive e soggettive, dei reati contestati al ricorrente ai capi A e
B, formulando un giudizio conforme alle emergenze probatorie ed escludendo,
sulla base di una valutazione dosimetrica ineccepibile, che fosse possibile
attenuare, sotto i profili invocati dalla difesa dall’imputato, la pena inflitta dal
Giudice di primo grado.
Queste conclusioni discendevano da una verifica giurisdizionale, immune da
censure motivazionali, che teneva conto della gravità delle vicende sottoposte
alla cognizione del Giudice di appello e delle conseguenze letali di tali
comportamenti illeciti, nel valutare i quali occorreva considerare ulteriormente
l’articolata sequenza criminosa attraverso la quale l’uccisione di Salvatore Russo
si concretizzava.
Ne discende che, tenendo conto della condizione soggettiva del ricorrente e
dell’elevato disvalore dei fatti delittuosi contestati, nella sottostante sentenza,
veniva formulato un giudizio dosimetrico conforme ai parametri previsti dall’art.
133 cod. pen., nel valutare il quale non si può non ribadire che – al contrario di
quanto dedotto dalla difesa dell’imputato – il trattamento sanzionatorio, già
attenuato rispetto al giudizio di primo grado, per effetto dell’esclusione
dell’aggravante di cui all’art. 577, comma primo, n. 3, cod. pen., risulta congruo
rispetto alla gravità dei delitti oggetto di contestazione, così come ascritti a
Calamita ai capi A e B.
Tali considerazioni impongono di ribadire l’infondatezza della doglianza in
esame.
7.2. Quanto alla residua doglianza, relativa al percorso argomentativo
seguito dalla Corte di assise di appello di Catanzaro, in ordine alla configurazione

20

argomentativo seguito dalla Corte di assise di appello di Catanzaro per

delle ipotesi di porto e detenzione illegali di arma comune da sparo, contestati a
Calamita al capo B, se ne deve rilevare l’infondatezza.
L’infondatezza della doglianza in esame discende dall’infondatezza del
secondo e del terzo motivo di ricorso, sui quali ci si è soffermati nei paragrafi 3,
3.1, 4 e 4.1, cui si deve rinviare ulteriormente, atteso che l’assenza di incertezze
probatorie in ordine all’identificazione dell’imputato quale autore dell’omicidio di
Salvatore Russo, conseguente al suo riconoscimento da parte della teste
Gospodinova, rende destituite di fondamento le censure relative alla

necessaria per la concretizzazione del comportamento criminoso contestato al
ricorrente al capo A.
Occorre, in ogni caso, ribadire che non sussistono dubbi in ordine alla
condotta delittuosa dell’imputato, così come prefigurata al capo B, che veniva
indicato da Koleva Gospodinova come il soggetto che aveva materialmente
esploso i colpi di pistola che avevano provocato la morte del suo convivente,
mediante la pistola che impugnava, in relazione alla quale si appuntano le
censure difensive in esame. Ne consegue che il riconoscimento della
responsabilità di Raffaele Calamita quale autore dell’omicidio di Salvatore Russo,
così come contestato al capo A, non possono che comportare il conseguente
riconoscimento della sua colpevolezza per il porto e la detenzione della pistola
utilizzata per eseguire tale assassinio, su cui si appuntano le censure formulate
dalla difesa di Calamita in relazione al sesto motivo di ricorso.
7.3. Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del sesto motivo di
ricorso.

8. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di Raffaele Calamita
deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
Consegue a tali statuizioni processuali la condanna del ricorrente a
rimborsare le spese sostenute per questo grado di giudizio dalle parti civili
costituite – Pasquale Russo, Maria Contarese, Antonella Russo, Francesca Russo,
Massimiliano Russo – che si liquidano complessivamente in 6.400,00 euro, oltre
spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge, disponendo, limitatamente alla
posizione di Massimiliano Russo, il pagamento in favore dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e a rimborsare le spese sostenute per questo grado di giudizio dalle
21

configurazione dell’ipotesi di reato di cui al capo B, costituente la condotta illecita

parti civili costituite – Pasquale Russo, Maria Contarese, Antonella Russo,
Francesca Russo, Massimiliano Russo – che si liquidano complessivamente in
6.400,00 euro, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., disponendo, limitatamente
alla posizione di Massimiliano Russo, il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso il 14/11/2017.

Il Presidente

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