Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 86 del 05/12/2013


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 86 Anno 2014
Presidente: CONTI GIOVANNI
Relatore: PETRUZZELLIS ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1. Eva Tessitore, nata a Trieste il 02/12/1965
2. Sandro Simonutti, nato a Trieste il 21/08/1963
avverso la sentenza del 15/01/2013 della Corte d’appello di Trieste,
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Anna Petruzzellis;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio
della sentenza impugnata;
udito l’avv. Pierumberto Stacare per i ricorrenti, che si è riportato ai motivi di
ricorso ed alla memoria prodotta;
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 15/01/2013, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di quella città del 19/02/2011, ha assolto
Tessitore e Simonutti dal reato di cui all’art. 348 cod.pen, commesso in danno
della parte lesa Diana Goat, rideterminando la pena per la residua imputazione
che individuava la parte lesa in Anna Sema, in mesi due di reclusione,
confermando nel resto la pronuncia di primo grado.
La vicenda riguarda la somministrazione di farmaci nei confronti degli
anziani residenti nella struttura di cui era responsabile la Tessitore, ed operatore
socio sanitario il Simonutti, avvenuta in assenza di prescrizione medica, e
malgrado l’assenza di abilitazione professionale negli odierni ricorrenti.

Data Udienza: 05/12/2013

2. La difesa degli imputati ha proposto ricorso con atti autonomi, ma dal
contenuto identico, eccependo difetto di motivazione sul punto decisivo della
controversia. Richiamate le condizioni di fatto, si osserva che il primo giudice
aveva disposto la trasmissione degli atti per l’esercizio dell’azione penale nei
confronti degli odierni ricorrenti con l’accusa di aver indotto in stato di incapacità
la parte lesa di questo procedimento, Sema, accusa dalla quale entrambi erano

identificato chi materialmente somministrava il farmaco che avrebbe prodotto
l’incapacità.
Si assume conseguentemente, ed in senso contrario, che l’accertamento
sull’effettiva riconducibilità ad uno dei ricorrenti dell’azione di somministrazione,
e sull’elemento psicologico del reato sia del tutto mancante nella pronuncia
impugnata, che individua l’azione come ascrivibile unitariamente ad entrambi,
senza giustificare tale conclusione, non riuscendo a dare contezza del
superamento del ragionevole dubbio, anche riguardo alla possibilità che uno dei
due abbia agito all’insaputa dell’altro.
In argomento si richiama la possibilità, tratteggiata in atto d’appello, che la
medicina fosse stata somministrata da terzi estranei alla struttura, ipotesi
rispetto alla quale nulla viene esposto per contrastare l’assunto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
2. Si deve rilevare che nella specie con unico motivo di ricorso si contesta la
completezza della motivazione riguardante un punto decisivo della controversia,
che viene individuato dai ricorrenti nella corretta individuazione del materiale
responsabile dell’azione.
Deve però osservarsi al riguardo che l’ampiezza della motivazione non può
che essere valutata alla luce delle contestazioni poste a base della decisione di
merito, per effetto della natura devolutiva dell’atto d’appello, che nella specie
contestava principalmente la verificazione del fatto, e solo in termini generici e
subordinati la corretta individuazione specifica del suo autore.
A fronte di tale impostazione difensiva risulta del tutto congrua la
valutazione operata dalla Corte di merito che, dopo aver dato conto dell’univoco
accertamento attinente alla somministrazione ripetuta di farmaci contenenti
benzodiazepine alla Sema, ricoverata presso la struttura ove operavano i
ricorrenti, ha altresì evidenziato i plurimi elementi che consentivano di
rapportate la condotta, di natura continuativa, in quanto aveva prodotto un
costante stato di torpore della donna, come tale avvertito dai suoi familiari, ai

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stati assolti con sentenza definitiva, nel presupposto che non fosse stato

medesimi. Questo perché entrambi sono stati indicati da tutti i dipendenti della
struttura come costantemente, ed alternativamente, presenti nella medesima, e
gli unici in possesso delle chiavi di accesso al ontenitore ove erano custoditi i
farmaci contenenti la sostanza indicata, che pe la loro funzione si occupavano in
via esclusiva della predis osizione della terapia personalizzata, che gli altri
operatori erano tenuti bama somministrare.

responsabilità di entrambi gl imputati in quanto la condizione paritaria nella
quale svolgevano la loro attività, e la permanenza nel tempo dell’azione illecita,
ricavabile dagli effetti della medesima, rendevano impossibile delimitare la
singola attività consumata da uno solo dei ricorrenti all’insaputa dell’altro, ipotesi
per la verità mai tratteggiata nella fase di merito, ove la difesa si è incentrata
sulla contestazione del fatto storico dell’intervenuta somministrazione e nel
possesso dell’abilitazione negli interessati, rimasta però priva di dimostrazione.
Irrilevante risulta l’allegazione relativa all’intervenuta assoluzione dei
ricorrenti dalla diversa imputazione di cui all’art. 613 cod. pen., pronuncia di cui
risulta documentato il passaggio in giudicato, in quanto, al di là del richiamo al
dubbio sull’individuazione del materiale somministratore della medicina, che in
quella sede può aver assunto autonoma rilevanza, ove non si sia provveduto alla
corposa istruttoria svolta sulle modalità di realizzazione dell’attività professionale
in questo procedimento, all’assoluzione si è giunti nel presupposto della mancata
dimostrazione dell’indotta condizione di incapacità della parte lesa, che realizza
l’elemento costitutivo di quell’imputazione, e sotto tale profilo nessuna influenza
può assumere sul diverso accertamento dei fatti oggetto del presente giudizio.
Analogamente infondato è il rilievo di mancanza di motivazione con riguardo
all’ipotesi della somministrazione della medicina non prescritta alla Sema a cura
di un terzo estraneo, trattandosi di ricostruzione che la stessa difesa non
adombra come fondata su alcuna delle prove acquisite e non considerate, ma
solo come astratta possibilità, che ben può dirsi superata dalle coerenti
argomentazioni contenute nelle due sentenze di merito, fondate sulle deposizioni
testimoniali e sugli accertamenti in ordine alle modalità di esercizio dell’attività
professionale da parte dei ricorrenti, oltre che della costanza nel tempo della
somministrazione, elementi che relegano, in assenza di individuazione di prove
di sostegno sul punto, al rango di mera ipotesi quella formulata dalla difesa
sull’intervento di un terzo, che pertanto non richiedeva una specifica
argomentazione confutativa.
3. Il rigetto del ricorso impone la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali, in applicazione dell’alt 616 cod. proc. pen.
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In tal senso risulta adeguatamente argomentata l’affermazione di

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 05/12/2013.

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