Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8592 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8592 Anno 2016
Presidente: BLAIOTTA ROCCO MARCO
Relatore: PEZZELLA VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GERVASONI IVAN LUIGI N. IL 11/04/1972
avverso la sentenza n. 1828/2015 CORTE APPELLO di MILANO, del
11/06/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.%
che ha concluso per
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Udito, p la parte civile, l’Avv
it i difensor Avv.

1er-0,9-2023

Data Udienza: 10/02/2016

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Milano, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente GERVASONI IVAN LUIGI, con sentenza del 11.6.2015, confermava la
sentenza del Tribunale di Monza, emessa in data 8.7.2014, con condanna la pagamento delle spese processuali e rifusione delle spese di difesa alla parte civile.
Il G.M. del Tribunale di Monza, aveva dichiarato Gervasoni Ivan Luigi responsabile del seguente reato:
a) del reato di cui agli artt. 113 e 590 commi 1, 2 e 3 c.p., in relazione agli

paratamente) e 122 D.Lvo 81/08 per Ascari, per avere, Gervasoni nella sua qualità di legale rappresentante della s.r.l. Impresa Costruzioni Edili Gervasoni (in
relazione al quale si è proceduto separatamente) ed Ascari Fulvio in qualità di
amministratore unico, della srl ditta Mir Industrielle (impresa sub appaltatrice),
cagionato al lavoratore Sina Qennal lesioni personali consistite in ” trauma cranico commotivo ed anacusia sinistra in esiti di trauma cranico commotivo”, per
colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro sopramenzionate, perché omettevano di adottare le misure necessarie per la sicurezza dei lavoratori. In particolare, presso il cantiere edile sito in Cavenago Brianza, via Manzoni 36, Gervasoni
ometteva di verificare le condizioni di sicurezza dei lavori affidati alla Mir Industrielle con particolare riferimento ai pericoli di caduta di persone nella realizzazione di lavori di carpenteria per la realizzazione dei solaio degli edifici residenziale ed Ascari ometteva di predisporre idonee opere provvisionali e precauzioni
atte ad eliminare i pericoli di caduta dall’ alto durante i lavori di carpenteria per
la predisposizione di solai, cosicché, mentre il predetto Sina Qqmal era intento
ad eseguire opere di carpenteria, perdeva l’equilibrio e precipitava da un’altezza
di circa 3 metri, procurandosi conseguentemente le gravissime lesioni personali,
sopra meglio specificate. Con le circostanze aggravanti della lesione gravissima
della perdita del senso dell’udito nonché della Violazione della norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro. In Cavenago Brianza in data 2.9.2008.
L’imputato veniva condannato, concessegli le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, alla pena di mesi 3 di reclusione, oltre
al pagamento delle spese processuali, con condanna al risarcimento del danno
alla parte civile da liquidarsi in separata sede, riconoscendo una provvisionale
immediatamente esecutiva di C 80.000,00, con condanna alla rifusione delle
spese processuali di parte civile, con il beneficio della sospensione condizionale
della pena subordinato al pagamento della provvisionale entro il termine di sei
mei dal passaggio in giudicato della sentenza.

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artt. 97 co.I D.Lvo 81/08 (per Gervasoni in relazione al quale si è proceduto se-

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo
dei propri difensori di fiducia, Gervasoni Ivan Luigi, che impugnava specificamente sia la sentenza che l’ordinanza della corte di appello del 11.6.2015, deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione del combinato disposto degli art. 157, comma 8 bis e 161
c.p.p. nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto perfezionata la notifica nei

di domicilio a norma dell’art. 161 c.p.p. (motivo unico di ricorso per la cassazione
dell’ordinanza).
Ci si duole che la corte di appello, all’udienza del 11.6.2015, abbia dichiarato
la contumacia dell’imputato assente, che non avrebbe ricevuto alcuna notificazione presso il domicilio dichiarato, ritenendo sufficiente la notifica al difensore
sul presupposto dell’art. 157, comma 8 bis, cod. proc. pen., ritendo la notifica efficace anche nei confronti dell’imputato. Il ricorrente deduce, pertanto, la nullità
della notificazione che non sarebbe mai stata sanata stante l’assenza del Gervasoni e, trattandosi di nullità d’ordine generale a regime intermedio, sarebbe rilevabile sino alla deliberazione della sentenza di cassazione a norma dell’art. 180
cod. proc. pen.
b. Manifesta illogicità della motivazione riuscente dal testo del provvedimento impugnato e inosservanza delle norme di cui agli artt. 2 e 97 del d.p.r. nr. 81
del 2008, nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto la responsabilità di Ivan
Gervasoni per l’inosservanza dei doveri derivanti dalla posizione di garanzia propria del datore di lavoro, nonostante egli non fosse, come dalla corte d’appello
medesima accertato, il datore di lavoro dell’infortunato, ma il titolare dell’impresa subcommittente (motivo unico di ricorso per la cassazione della sentenza).
La corte di appello avrebbe indebitamente sovrapposto i piani e i doveri derivanti dalle rispettive posizioni di garanzia del datore di lavoro e del titolare
dell’impresa subcommittente, nel cui cantiere operi l’imprenditore subappaltatore.
Nello specifico, il Gervasoni, riconosciuto titolare dell’impresa subcommittente, verrebbe condannato ritenendo la violazione degli obblighi gravanti sul datore
di lavoro.
Il ricorrente riporta la motivazione della sentenza impugnata, nella quale risulta accertata la qualifica del Gervasoni di titolare dell’impresa costruttrice, nel
cui cantiere lavorava la parte lesa alle dipendenze di altra società.
Si lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto che spettasse al Gervasoni, in veste di legale rappresentante della ditta appaltatrice, di direttore tec-

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confronti dell’imputato a norma dell’art. 157, comma 8 bis, nonostante l’elezione

nico e responsabile di cantiere, verificare la corretta adozione di ponteggi adeguati in relazione al rischio di caduta dall’alto.
La sentenza disattenderebbe -secondo la tesi prospettata in ricoros- il gravame dell’imputato fondato, sull’avvenuta predisposizione all’interno del cantiere
delle dotazioni necessarie per i ponteggi, disattendendo l’osservanza degli artt. 2
e 97 del D.Lgs. 81/2008. Dette norme prevedono che, nel caso le opere vengano
affidate ad una pluralità di imprese, vi è l’obbligo di verificare la congruenza dei
piani operativi di sicurezza delle imprese esecutrici rispetto al proprio prima della

l’esecuzione.
Si sostiene che tale obbligo venne certamente osservato e si evidenzia che
la stessa corte di appello riconoscerebbe la mancata osservanza del piano da
parte dell’impresa subappaltatrice
La responsabilità rimarrebbe, dunque, in capo al datore di lavoro subappaltatore, mentre l’appaltatore rimaneva titolare unicamente dei poteri direttivi generali.
Nel caso in questione sarebbe stato accertato che l’infortunio avvenne per
l’inosservanza della disciplina dettata in materia di prevenzione nel compimento
di opere di carpenteria. Tale circostanza sarebbe accertata, così come quella relativa al fatto che i lavori di carpenteria fossero stati affidati in subappalto.
Il Gervasoni sarebbe stato tenuto soltanto a verificare che i lavori potessero
svolgersi in condizioni di sicurezza, per essere il cantiere dotato di quanto necessario per la realizzazione di impalcature e parapetti, ma non può essere tenuto
ad accertarsi che gli impalcati fossero effettivamente realizzati, in quanto ciò non
atterrebbe alla verifica delle condizioni di sicurezza delle lavorazioni, ma alla
concreta modalità del loro compimento.
Nell’esercizio dei poteri direttivi generali rientrerebbe la verifica delle condizioni del cantiere, in modo che sia consentita la sicurezza delle lavorazioni, ma
non corrisponderebbe all’esercizio di poteri direttivi generali il controllo delle concrete modalità di esecuzione dei lavori subappaltati.
Nel caso di specie sarebbe stato accertato che all’interno del cantiere sussistessero i mezzi per poter lavorare i sicurezza. La sentenza impugnata avrebbe
ascritto al Gervasoni una responsabilità gravante unicamente sul datore di lavoro
subappaltatore.
Inoltre, l’impugnata sentenza, oltre ad essere gravata da vizio di legge, sarebbe anche illogicamente motivata, in quanto dopo avere ravvisato la responsabilità del Gervasoni nella violazione dell’art. 97 D.Lgs. 81/2008 nella qualità di
titolare dell’impresa subcommittente, descriverebbe poi, condotte che rilevano
unicamente in riferimento a colui che rivesta la qualifica di datore di lavoro.
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trasmissione dei suddetti piani operativi di sicurezza al coordinatore per

La sentenza impugnata darebbe rilievo, ai fini della responsabilità del Gervasoni, alle modalità con cui quali avvenne l’incidente, su cui nessun rimprovero
può muoversi al subcomnnittente. Spetta, infatti, al datore di lavoro la vigilanza
sulle modalità delle lavorazioni, non sarebbe il subconnittente a doversi ingerire
nella concreta esecuzione delle lavorazioni subappaltate.
La giurisprudenza di legittimità – si evidenzia- riconosce una responsabilità
del subcommittente solo allorquando si verifichi una concreta ingerenza nella la-

Nel caso concreto non vi sarebbe stata, tuttavia, alcuna ingerenza nei lavori
di carpenteria, in relazioni ai quali si rinnproverebbe l’assenza dell’imputato.
Pertanto, l’impugnata sentenza risulterebbe illogica, in quanto, proprio per
effetto della circostanza che le opere di carpenteria fossero state totalmente subappaltate, la responsabilità dell’omesso utilizzo delle necessarie strutture di sicurezza non potrebbe mai ricadere su altri rispetto al datore di lavoro. Inoltre, la
sentenza sarebbe illogica perché ravvisa la responsabilità dell’imputato nella duplice veste di datore di lavoro e responsabile di cantiere, dopo aver riconosciuto
che lo stesso rivestiva la qualità di legale rappresentante della società appaltante, di direttore tecnico e di responsabile di cantiere.
Il ricorrente rileva, infatti che l’imputato non era datore di lavoro della parte
lesa, né assumerebbe rilevanza la qualifica di responsabile del cantiere avendo
subappaltato le opere di carpenteria. Inoltre, se anche dovesse ritenersi ravvisabile una responsabilità come responsabile di cantiere, la stessa sarebbe cessata
perché, essendo assente, la stessa spettava al Giavedoni, che assunse la funzione di responsabile del cantiere.
Il ricorrente riporta integralmente il motivo di gravame fondato sulla presenza, al momento dell’infortunio, di Guglielmo Giavedoni come responsabile di cantiere e sulle responsabilità gravanti su diversi soggetti. Su detto motivo nulla
avrebbe rilevato la corte dì appello.
Inoltre anche il giudice di primo grado avrebbe riconosciuto in capo al Giavedoni la qualità di responsabile di cantiere, mentre la corte di appello afferma la
responsabilità del Gervasoni in qualità di responsabile del cantiere.
Sarebbe evidente, quindi, l’illogicità della sentenza che ravvisa la responsabilità come responsabile di cantiere al Gervasoni, assente al momento del sinistro.

Chiede, pertanto, la cassazione della ordinanza e della sentenza impugnate
con i provvedimenti conseguenti secondo legge.

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vorazioni subalpppaltate.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra illustrati sono tutti infondati e, pertanto, il proposto ricorso
va rigettato.

2. Infondato è l’error in procedendo dedotto sub a.
Pur consapevole dell’esistenza di qualche pronuncia di segno contrario ((vedasi sez. 6, n. 8150 del 29.2.2012, Romero, rv. 262925) il Collegio ritiene di

ne, anche di recente, di precisare che la notificazione all’imputato del decreto di
citazione in appello, eseguita ai sensi dell’art. 157, comma ottavo bis, cod. proc.
pen. presso il difensore (che in quel caso era di ufficio, mentre in quello che ci
occupa era di fiducia) determina, se l’interessato non “rappresenta” con elementi
idonei la mancata conoscenza dell’atto, una nullità a regime intermedio che è
sanata se non tempestivamente eccepita nel corso del giudizio d’appello (così
sez. 6, n. 9723 del 17.1.2013, Serafino, rv. 254693, fattispecie in cui la Corte ha
escluso “deficit” di conoscenza dell’atto da parte dell’imputato per avere
il difensore d’ufficio dapprima svolto la sua attività nel corso di tutto il giudizio
d’appello senza mai eccepire alcunché e poi proposto ricorso per cassazione limitandosi a rilevare l’irrituale notificazione senza, tuttavia, lamentare l’ignoranza
del suo assistito). E, ancora, più d(,recente, è stato ribadito che la nullità conseguente alla notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo
studio del difensore di fiducia anziché presso il domicilio dichiarato è di ordine
generale a regime intermedio in quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, in considerazione del rapporto fiduciario che lo lega al difensore (sez. 4, n.
40066 del 17.9.2015, Bellucci, rv. 264505).
Peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte, già nel 2004, ebbero modo di precisare che la notificazione della citazione dell’imputato non effettuata presso il

aderire a quell’orientamento di questa Corte di legittimità che ha avuto occasio-

domicilio eletto e nemmeno a mani proprie, non integrasse necessariamente una
ipotesi di “omissione” della notificazione ex art. 179 cod. proc. pen., ma desse
luogo, di regola, ad una nullità di ordine generale a norma dell’art. 178 lett. c)
cod. proc. pen., soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184 comma primo,
alle sanatorie generali di cui all’art. 183 e alle regole di deducibilità di cui all’art.
182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 stesso codice, sempre
che non apparisse in astratto o risultasse in concreto inidonea a determinare la
conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, nel qual caso integra, invece, la nullità assoluta ed insanabile di cui all’art. 179 comma primo cod. proc.
[

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pen., rilevabile dal giudice di ufficio in ogni stato e grado del processo (cosi Sez.
Un. n. 119 del 27.10.2004 dep. il 7.1.2005, Palumbo, rv. 229540).
Le stesse SSUU Palumbo ebbero a precisare che l’imputato che intenda eccepire la nullità assoluta della citazione o della sua notificazione, non risultante
dagli atti, non può limitarsi a denunciare la inosservanza della relativa norma
processuale, ma deve rappresentare al giudice di non avere avuto cognizione
dell’atto e indicare gli specifici elementi che consentano l’esercizio dei poteri officiosi di accertamento da parte del giudice.

ha ritenuto di accedere in ragione del tipo di doglianza proposta- il decreto di citazione per il giudizio di appello venne notificato a mezzo posta elettronica certificata all’Avv. Marco Zambelli sia in proprio che, ai sensi dell’art. 157 co.8 bis,
per l’imputato, che pure effettivamente aveva dichiarato altro domicilio.
Tuttavia all’udienza dell’11.6.2015 in grado di appello era presente l’avv.
Marco Zambelli, difensore -va ribadito- di fiducia, che ha svolto le proprie difese
ed ha concluso, senza nulla eccepire sul punto.

3. Infondati sono anche gli altri motivi di ricorso, con i quali, pur rubricandoli come vizio motivazionale o, alternativamente, come violazione di legge, il
ricorrente sollecita, di fatto, a questa Corte una rivalutazione del compendio probatorio evidentemente non consentitale.
L’analisi del percorso motivazionale del provvedimento impugnato mostra
come la Corte milanese si sia confrontata in maniera congrua ed argomentata
con i motivi di gravame sottopostile senza incorrere, come si avrà modo di evidenziare, in alcuna violazione di legge, ma anzi facendo buon governo dei principi di diritto più volte affermati da questa Corte di legittimità.
Quanto ai dedotti vizi motivazionali, va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della
decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, n. 12110 del 19.3.2009
n. 12110 e n. 23528 del 6.6.2006).
Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione
per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità
al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti
le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che,
anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
7

Nel caso in esame, il 24.5.2015, come risulta dagli atti -cui questa Corte

decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni
del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20.6.2007; Sez. Unite n. 24 del
24.11.1999, Spina, rv. 214794).
Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall’art.
606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito,
ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente

della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (sez. 2, n. 21644 del
13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542).
Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non
c’è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a
verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche
alla luce del vigente testo dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. come
modificato dalla I. 20.2.2006 n. 46.
Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione
dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
Com’è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la
sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da
“altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame,
non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice
della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto.

4. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa

Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato
si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva.
I giudici del gravame di merito con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, confutato le argomentazioni, oggi riproposte, secondo cui nel
caso che ci occupa il ruolo di garante sarebbe stato rivestito esclusivamente dal
geometra Giavedoni, espressamente delegato dall’odierno ricorrente, dovendosi
attribuirsi prevalente rilevanza alla situazione di fatto.
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significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà

L’assunto è stato ritenuto privo di fondamento, sul rilievo, in primis, che,
dalla documentazione in atti, tra cui i verbali di riunione del coordinamento della
sicurezza del 27 agosto 2009, risulta in termini inequivocabili che all’interno del
cantiere erano presenti tre imprese: 1. L’impresa Costruzioni Edili Gervasoni
s.r.l. (società appaltatrice); la MB cantieri Bonaiti (subappaltatrice) e la MIR Industrielle s.r.1. (subappaltatrice per i lavori di carpenteria). La committente
dell’opera generale era la Edil Bloque s.r.I..
Gervasoni rivestiva non solo la qualifica di legale rappresentante della so-

di cantiere (come i giudici del gravame del merito ricordano desumersi anche dal
verbale di coordinamento sicurezza del 27 agosto 2008 (agli atti).
Coerentemente, dunque, la Corte milanese ha ritenuto che l’onere di verificare la corretta adozione di ponteggi adeguati, in relazione al rischio di caduta
dall’alto, gravasse in prima luogo nei confronti del Gervasoni, nella sua duplice
veste di datore di lavoro e responsabile di cantiere, in conformità alla legge ed al
Piano di sicurezza e coordinamento, che era stato predisposto il 14 marzo 2008,
con specifico riferimento ai lavori di carpenteria.
Corretta, peraltro, è l’affermazione che si rinviene nella sentenza impugnata per cui le svolgimento di fatto delle funzioni di responsabile di cantiere da
parte del geometra Giavedoni, al di là della idoneità della prova sul pulito, in ogni
caso non potesse valere ad escludere la responsabilità concorrente del datore di
lavoro, direttore tecnico ed a sua volta responsabile, in base ad una specifico
conferimento di poteri e funzioni.

5. Il provvedimento impugnato fa buon governo del richiamato principio
affermato da questa Corte secondo cui, se è vero che la posizione di garanzia si
estende ai preposti senza necessità di un’apposita delega da parte del datore di
lavoro, è altrettanto vero che, in tema di infortuni sul lavoro, qualora vi siano più
titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo
di tutela impostogli dalla legge fin quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia, per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale
posizione (così questa sez. 4, n. 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253850, in una
fattispecie, analoga a quella che ci occupa, in cui la Corte ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro per il reato di lesioni colpose nonostante fosse stata
dedotta l’esistenza di un preposto di fatto).
In questa prospettiva, è stato condivisibilmente ritenuto dai giudici di appello che le contestazioni sul conferimento di delega da parte del datore di lavoro
all’imputato, al di là dell’ampiezza e del tenore della stessa, non valessero a scal9

cietà appaltante, ma anche quelyfia di direttore tecnico di cantiere e responsabile

fire l’impianto accusatorio fondato sull’inquadramento di Gervasoni come legale
rappresentante della società appaltatrice dei lavori in corso e direttore tecnico di
cantiere e come tale destinatario iure proprio, dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di fatto al geometra Giavedoni.
I giudici del gravame del merito ricordano i contenuti dell’art. 97 D.Ivo
81/2008 e ne deducono la responsabilità dell’imputato, evidenziando, peraltro,
come l’incidente non fosse derivato dall’inadeguato funzionamento di una attrez-

struttura fondamentale, quale doveva essere considerata l’impalcatura per i lavori in quota.
Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede
una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto
sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto.

6. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10 febbraio 2016
IlC
sigliere este sore
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zatura in origine correttamente installata, bensì dalla carenza originaria di una

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