Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8583 del 27/01/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 8583 Anno 2016
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: TANGA ANTONIO LEONARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
GUARDA Natascia nata il 22/01/1977

avverso la sentenza n.1603/15 del 27/02/2015 della Corte di Appello di Milano.

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonio Leonardo Tanga;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Massimo Galli, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore (d’Ufficio), avv. Pietro Asta, del Foro di Roma, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

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Data Udienza: 27/01/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n.1603/15 del 27/02/2015, la Corte di Appello di Milano,
in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Busto Arsizio
n.1408/14 in data 29/09/2014 nei confronti di GUARDA Natascia, qualificato il
fatto ex att. 624, 625, n. 2, c.p. e riconosciute le circostanze attenuanti

all’appellante in mesi 8 di reclusione ed € 200,00 di multa, confermando nel
resto l’impugnata sentenza.

2. Ricorre per cassazione, personalmente, Guarda Natascia, eccependo:
A) carenza di motivazione, ovvero ricorso ad un apparato motivazionale
puramente apparente, in relazione alle doglianze difensive enunciate nell’atto
d’appello con riferimento all’ordinanza reiettiva di istanza volta all’effettuazione
di perizia antropometrica emessa dal Tribunale Monocratico di Busto Arsizio
all’udienza del 16/06/2014 ed alla connessa richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale ex art.603 c.p.p.. Deduce che una perizia
antropometrica volta a verificare l’eventuale corrispondenza tra le fattezze
fisiche dell’imputata con quelle del soggetto immortalato dal sistema di
videosorveglianza si appalesava come dirimente strumento probatorio.
B) violazione, inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 624, 625
e 640 c.p., e carenza, illogicità e/o contraddittorietà della motivazione, con
riferimento alla ritenuta ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie di
furto aggravato ai sensi degli artt. 624 e 625, n. 2) -seconda ipotesi-, c.p.,
anziché dell’elemento oggettivo del reato di truffa ex art. 640 c.p..
C) violazione e/o erronea applicazione degli artt. 625, n. 2), c.p., 517,
521, 522, 597 e 604 c.p.p., nonché mancanza, illogicità e/o contraddittorietà
della motivazione con riferimento al ritenuta configurabilità, in sentenza, della
circostanza aggravante di cui all’art. 625, n. 2), c.p. in assenza di specifica
contestazione in merito nelle forme consentite dalla legge.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va integralmente rigettato, riproponendo,
sostanzialmente, le stesse censure di merito valutate dal giudice dell’appello.

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generiche equivalenti all’aggravante ritenuta, rideterminava la pena inflitta

2. La ricorrente ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di
appello per rigettare analoghi motivi di gravame.
2.1. La Corte territoriale ha, in vero, fornito puntuale spiegazione del
ragionamento posto a base del rigetto di tutti i motivi d’impugnazione
procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di
diritto.

3.

Nel caso che occupa, le doglianze già proposte attengono

dei confini del controllo di legittimità sulla motivazione in fatto può dirsi ormai
consolidato il principio giurisprudenziale, ripetuto in plurime sentenze delle
Sezioni unite penali, per il quale la Corte di cassazione ha il compito di
controllare il ragionamento probatorio e la giustificazione della decisione del
giudice di merito, non il contenuto della medesima, essendo essa giudice non del
risultato probatorio, ma del relativo procedimento e della logicità del discorso
argomentativo e rimanendo preclusa al giudice di legittimità la pura e semplice
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti.

4. Quanto alla manifesta illogicità della motivazione, è consolidata in
giurisprudenza la massima secondo cui la Corte di cassazione non deve stabilire
se la decisione di merito propone effettivamente la migliore possibile
ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi
a verificare se questa giustificazione è compatibile con il senso comune e con i
limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento.

5. In ordine alla doglianza sub A), vale replicare che, come
correttamente affermato dal giudice dell’appello, la rinnovazione del
dibattimento in grado di appello, che deve vincere la presunzione di completezza
dell’indagine probatoria dibattimentale in primo grado, è provvedimento di
carattere eccezionale giustificato dall’assoluta necessità dell’assunzione della
nuova prova al fine della decisione. Nel caso che occupa l’ulteriore elemento di
prova rappresentato dalla richiesta perizia antropometrica (presentata, per altro,
solo in occasione delle conclusioni e non con i motivi d’appello), è stato
inappuntabilmente giudicato superfluo ed ininfluente a fronte del riconoscimento
effettuato dalla persona offesa in sede di ricognizione personale (predisposta con
le modalità richieste dalla stesa difesa), preceduta anche da un conforme
riconoscimento fotografico.

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esclusivamente al fatto. Giova, qui, rammentare che, in ordine alla definizione

6. Quanto alla doglianza sub B), vale rammentare che l’elemento
differenziale tra il furto aggravato dal mezzo fraudolento e la truffa va ravvisato
nell’impossessamento mediante sottrazione invito domino, che caratterizza il
primo reato e manca nel secondo, nel quale, invece, il trasferimento del
possesso avviene con il consenso del soggetto passivo, pur viziato da errore per
effetto degli artifici e raggiri posti in essere dall’agente. In altri termini, il
discrimine si basa sulle modalità con le quali il soggetto agente consegue il
profitto del reato, essendo evidente che nella truffa il profitto è conseguito dal

disposizione in suo favore con artifici o raggiri, mentre nel furto il mezzo
fraudolento è utilizzato dal soggetto agente allo scopo di preparare o facilitare
l’azione furtiva, ossia l’impossessamento della cosa sottratta al soggetto passivo
(ex multis sez. 5, n.10211 del 15/02/2007). Nel caso di specie l’imputata si è
presentata come nipote di altra titolare di rivendita tabacchi, fingendo di voler
acquistare di una serie di ricariche telefoniche, nel frattempo esaurite presso
l’esercizio della congiunta; creando confusione anche attraverso la presenza di
un bambino in tenera età e mettendo fretta alla commessa, la donna si è poi
impossessata repentinamente delle tessere predisposte sul banco, mentre era in
redazione la fattura, per poi darsi alla fuga. Appare evidente che le false
dichiarazioni e la “confusione” creata si risolvono proprio nell’aggravante dell’uso
del mezzo fraudolento.
6.1. Nel reato di furto, l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento
delinea una condotta, posta in essere nel corso dell’azione delittuosa dotata di
marcata efficienza offensiva e caratterizzata da insidiosità, astuzia, scaltrezza,
idonea, quindi, a sorprendere la contraria volontà del detentore e a vanificare le
misure che questi ha apprestato a difesa dei beni di cui ha la disponibilità. (S.U.
n. 40354 del 30/09/2013). In sostanza, nella truffa il profitto è conseguito dal
soggetto agente determinando il soggetto passivo a compiere un atto di
disposizione con artifici o raggiri. Nel furto, invece, il mezzo fraudolento è
utilizzato dal soggetto agente allo scopo di preparare o facilitare l’azione furtiva
propria, ossia l’impossessamento della cosa sottratta al soggetto passivo: ciò che
si è realizzato, con le dette modalità, nella fattispecie concreta in esame.
6.2. Del resto la stessa ricorrente ha espressamente richiesto la
sussunzione della fattispecie concreta de qua in quella astrattamente prevista
dall’art.640 c.p. la quale contiene proprio gli elementi costitutivi della aggravante
ritenuta sussistente dal giudice.

7. Quanto alla doglianza sub C), giova rammentare che, a norma
dell’art.521 c.p.p. “nella sentenza il giudice può dare al fatto una definizione

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soggetto agente determinando il soggetto passivo a compiere un atto di

giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, purché’ il reato non
ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione del tribunale in
composizione collegiale anziché monocratica”. Ne consegue che può considerarsi
una lesione della corrispondenza tra accusa e sentenza solo una trasformazione
radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si
riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’effettiva
incertezza sull’oggetto dell’imputazione con evidente pregiudizio del diritto di
difesa (S.U., 22 ottobre 1996, Di Francesco).

imputazione di furto ex art .624-bis c.p. nella più tenue ipotesi di furto aggravato
dall’uso del mezzo fraudolento e il contenuto essenziale della seconda
imputazione, compresa l’aggravante, deve ritenersi ricompreso, di fatto, nella
più ampia previsione dell’originaria contestazione. Né può dirsi pregiudicato il
diritto di difesa posto che lo stesso difensore ebbe a richiedere la derubricazione
con l’atto di appello e, inoltre, l’aggravante in parola è stata ritenuta equivalente
alle concesse attenuanti generiche, portando così ad una favorevole e cospicua
riduzione della pena (da anni 1 di reclusione ed C 500,00 di multa a mesi 8 di
reclusione ed C 200,00 di multa).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 27/01/2016

7.1. Nel caso che occupa il giudice dell’appello ha derubricato l’originaria

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