Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8576 del 20/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8576 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da: .
BACCI CLAUDIO N. IL 23/06/1964
avverso la sentenza n. 2292/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
04/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

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2 1 FEB 2014
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Data Udienza: 20/12/2013

OSSERVA

del Tribunale di Lucca, sez. dist. di Viareggio, emessa il 24.9.2010, con la quale Bocci
Claudio era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche, alla pena (sospesa e non menzione) di mesi 1 di arresto ed euro 12.000,00
di ammenda per i reati di cui all’art.44 comma 1 lett.c) DPR 380/2001 (capo a) e 181
D.L.vo n.42/2004 (capo b), unificati sotto il vincolo della continuazione.
Ricorre per cassazione Bocci Claudio, a mezzo dei difensori, denunciando la violazione
di legge in relazione all’art.3 lett.e.6 DPR 380/2001 ed il vizio di motivazione in
ordine alla natura pertinenziale del manufatto; la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in relazione alla riconducibilità dell’opera ad un restauro/ristrutturazione
ed infine la violazione di legge in ordine all’onere probatorio quanto all’esistenza di
vincoli paesaggistici.
2) Il ricorso è manifestamente infondato.
2.1) Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, “la nozione di pertinenza
urbanistica, diversamente da quella dettata dall’art.817 del codice civile, ha
peculiarità sue proprie, inerendo essa ad un’opera- che abbia comunque una propria
individualità fisica ed una propria conformazione strutturale- preordinata ad
un’esigenza oggettiva dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente
inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non
valutabile in termini di cubatura o dotata di un volume minimo tale da non consentire,
in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale una destinazione
autonome e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede” (vedi tra le molteplici
decisioni, Cass..sez.3, 9.12.2004, Bufano). La strumentalità rispetto all’immobile
principale deve essere in ogni caso oggettiva, e non può desumersi, a differenza di
quanto consente la nozione civilistica di pertinenza, esclusivamente dalla destinazione
soggettivamente data dal proprietario o dal possessore. Inoltre “a seguito
dell’entrata in vigore del DPR 6 giugno 2001 n.380 che ha modificato ed abrogato, dal
30 giugno 2003, la precedente normativa dettata dall’art.7 D.L.23 gennaio 1982 n.9,
conv.in L.25 marzo 1982 n.94, deve ritenersi che non ogni pertinenza è esente da
permesso di costruire, ma esclusivamente quelle di scarsa rilevanza, non solo sotto il
profilo quantitativo (ovvero quelle con volumetria non superiore al quinto di quella
dell’edificio principale), ma anche sotto quello qualitativo ( e cioè sempre che norme
tecniche degli strumenti urbanistici non le considerino comunque “interventi di nuova
costruzione, tenuto conto della zonizzazione e del loro impatto ambientale e
paesaggistico), come ricavabile dalla previsione dell’art.3 comma primo lett.e.6) DPR
n.380 del 2001” (Cass.sez.3 n.6109 dell 8.1.2008- Berretti).
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, avendo accertato
che l’opera, di dimensioni elevate (secondo l’imputazione mt.20 X 10 con altezza in
gronda di m.6,50) e di forte impatto territoriale e paesaggistico, costituiva un vero e

1) Con sentenza del 4.10.2012 la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza

-Pulvo’J,t,

proprio “volume industriale” che non poteva farsi rientrare nella nozione di
pertinenza.
2.2.) Quanto alla natura dell’intervento eseguito, la Corte territoriale, con
accertamento in fatto adeguatamente argomentato ed immune da vizi, come tale non
sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che era stato realizzato un organismo
edilizio completamente diverso da quello preesistente ( “con vistose difformità
dimensionali”).
Ed è pacifico, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che sono realizzabili con
denuncia di inizio attività gli interventi di ristrutturazione edilizia di portata minore,
ovvero che comportano una semplice modifica dell’ordine in cui sono disposte le
diverse parti dell’immobile, e con conservazione della consistenza urbanistica iniziale,
classificabili diversamente dagli interventi di ristrutturazione edilizia descritti
dall’art.10 comma 1 lett.c) DPR n.380/01, che portano ad un organismo in tutto o in
parte diverso dal precedente con aumento delle unità immobiliari, o modifiche del
volume, prospetti e superfici, e per i quali è necessario il preventivo permesso di
costruire (cfr.ex multis Cass.pen.sez. 3 23.1.2007 n.1893).
2.3) Infine, in relazione al reato di cui all’art.181 D.L.vo 42/2004, la Corte di merito
non ha certo invertito l’onere della prova, avendo desunto l’esistenza del vincolo
paesaggistico dalla testimonianza del verbalizzante.
2.4) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che
pare congruo determinare in euro 1.000,00 ai sensi dell’art.616 c.p.p.
Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude ogni possibilità di far
valere e rilevare d’ufficio, ai sensi dell’art.129 cod.proc.pen., l’estinzione del reato
per prescrizione, maturata dopo l’emissione della sentenza impugnata
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti
decisioni, ha enunciato il principio che l’intervenuta formazione del giudicato
sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché
contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con eccezione
della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3), precluda ogni
possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia
di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al
giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia,
derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle
cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo
altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti per essersi
già formato il giudicato sostanziale”.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.000,00.
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