Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8516 del 04/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8516 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
IAZZOLINO ANNUNCIATO N. IL 19/10/1967
avverso la sentenza n. 674/2010 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 04/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 04/12/2013

Motivi della decisione
Iazzolino Annunciato ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Catanzaro in data 4.04.2013, con la quale, in parziale
riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Cosenza il 19.11.2009,
in ordine al reato di furto aggravato, è stata concessa la sospensione condizionale
della pena.
Con unico motivo la parte deduce violazione di legge e vizio motivazionale,
in riferimento alla affermazione di penale responsabilità dell’imputato. L’esponente

credito alle dichiarazioni rese dalla parte offesa Allevato, anziché a quanto riferito
da altri testi ovvero dall’imputato. Osserva, inoltre, che le accuse provenienti
dall’Allevato risultano generiche.
Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.
Deve rilevarsi che l’esponente propone censure non consentite nel giudizio
di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come
pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181).
Tanto rilevato, deve, in particolare, osservarsi che la Corte regolatrice ha da
tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che riguardano la

ritiene che la Corte di Appello non abbia chiarito le ragioni per le quali ha dato

selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo si
perviene considerando che, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di
cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione,
dovendo limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso
comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 5, Sentenza n.

1004 del

30/11/1999, dep. 31/01/2000, Rv. 215745; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2436 del

Come già sopra si è considerato, secondo la comune interpretazione
giurisprudenziale, l’art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione
una diversa “lettura” dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove,
perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della
motivazione in rapporto ai dati processuali. Deve, altresì, osservarsi che questa
interpretazione non risulta superata in ragione delle modifiche apportate all’art.
606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò
in quanto la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del
merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori, quale conseguenza dei
limiti posti all’ambito di cognizione della Corte di Cassazione.
Ebbene, deve allora in questa sede ribadirsi l’insegnamento espresso dalla
giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che
nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è
inserita; che occorre necessariamente procedere ad una valutazione complessiva di
tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve
stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso
sostituirsi sulla base della lettura necessariamente parziale suggeritagli dal ricorso
per cassazione (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, dep. 17/05/2006,
Rv. 233464).
Applicando i richiamati principi al caso di specie, deve osservarsi che il
complessivo apprezzamento del compendio probatorio effettuato dal Tribunale e
confermato dalla Corte territoriale non risulta censurabile in questa sede di
legittimità. I giudici del merito hanno infatti chiarito che le dichiarazioni rese dalla
parte offesa erano genuine e puntuali. Ed hanno quindi considerato: che risultava
accertato che Iazzolino si era impossessato, dopo averli tagliati, agendo in concorso
con altri, dei pini di grosse dimensioni che si trovavano all’interno del terreno di
Francesco Allevato; che il bosco di proprietà dell’Allevato risultava delimitato da
recinzione metallica e paletti; e che la predetta recinzione era stata divelta proprio
per consentire l’accesso del mezzo utilizzato per il trasporto dei tronchi.

21/12/1993, dep. 25/02/1994, Rv. 196955).

Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 4 dicembre 2013.

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