Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 850 del 11/12/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 850 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IMPERIALI LUCIANO

Data Udienza: 11/12/2015

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

IDRIZI SEAT, nato a Roma il 1+7/1991

avverso la sentenza N. 55/2014 della CORTE di APPELLO di SALERNO del 22/5/2014;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIANO IMPERIALI;

Udito il Procuratore Generale, in persona del dott. Giovanni Di Leo,
che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza;

Udito il difensore Avv. Antonio Turco, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso,

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 16/10/2013 all’esito di giudizio abbreviato il Tribunale di Salerno
dichiarava IDRIZI Seat colpevole dei reati di cui agli artt. 628 commi 1 e 3 n. 1 cod. pen. e
582-585 cod. pen., così come in quella sede contestatigli, unificati dalla continuazione e, con le
attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante ed alla recidiva, lo condannava alla
pena di anni due e mesi due di reclusione ed euro 800,00 di multa. La richiesta di rito
abbreviato semplice, peraltro, era stata accolta dopo il rigetto di una prima richiesta di

psichiatrica sulla persona dell’imputato.
2. La Corte di appello di Salerno, con sentenza in data 22/5/2014, confermava la sentenza
di primo grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato
sollevando i seguenti motivi di impugnazione:
a) con il primo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606
co. 1 lett. b) e d) cod. proc. pen., per l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge
penale in relazione alla mancata assunzione di una prova decisiva “quando la parte ne ha fatto
richiesta anche nel corso dell’istruzione dibattimentale, limitatamente ai casi previsti dall’art.
495 co. 2 cod. proc. pen”, con riferimento alla parte della sentenza relativa al rigetto della
richiesta dì integrazione probatoria avente ad oggetto una perizia psichiatrica finalizzata ad
accertare la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto;
b) con il secondo motivo si lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 co.
1 lett. b) e c) cod. proc. pen, per l’inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale,
imponendosi ad avviso del ricorrente la necessità di disporre anche in grado di appello la
rinnovazione parziale del dibattimento per verificare l’imputabilità dell’imputato;
c) con il terzo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606 co.
1 lett. e) cod. proc. pen, per contraddittorietà ed illogicità della motivazione e la nullità della
sentenza per omessa motivazione ai sensi dell’art. 546 c.p.p. lett. e) e d) cod. proc. pen, con
particolare riferimento alla consumazione del reato di rapina aggravata, che sì assume
meramente tentata, ed alla valutazione dell’elemento di prova costituito dal rinvenimento dei
telefoni cellulari oggetto del reato nel vano portaoggetti dell’autovettura.
d) con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 606
comma 1 lett. e) cod. proc. pen, per contraddittorietà ed illogicità della motivazione e la nullità
della sentenza per omessa motivazione ai sensi dell’art. 546 lett. e) cod. proc. pen.,
sostenendosi che dalla motivazione della sentenza impugnata non si comprendono le ragioni
per cui non sono state ritenute attekbili le contrapposte deduzioni difensive;
e) con il quinto motivo si deduce la violazione e l’erronea applicazione della legge ai sensi
dell’art. 606 co. 1 lett. e) cod. proc. pen. in relazione alla determinazione della pena in
violazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sostenendosi che il giudice di appello avrebbe
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definizione del processo con il rito abbreviato, subordinata all’espletamento di perizia

dovuto procedere ad un nuovo e diverso giudizio di prevalenza o equivalenza delle
circostanze.
Il ricorrente, pertanto, chiede in via principale l’annullamento della sentenza impugnata,
ed in subordine l’annullamento con rinvio al giudice di appello, perché provveda
all’espletamento della perizia psichiatrica.

4. Il ricorso non può trovare accoglimento per essere inammissibili i motivi proposti.
4.1 II primo motivo di impugnazione è inammissibile, in quanto il ricorrente si duole del
rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, pur dopo aver
richiesto la celebrazione del rito abbreviato allo stato degli atti.
Secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, condiviso dal Collegio, è invece
preclusa all’imputato che, dopo il rigetto della richiesta di rito abbreviato condizionato, abbia
optato per il rito abbreviato “secco”, la possibilità di contestazione successiva della legittimità
del provvedimento di rigetto (sez. 1, n. 37244 del 13/11/2013 Rv. 260532; sez. 3, n. 27183
del 5/9/2009, Rv. 248477).
Tale uniforme giurisprudenza, a partire dalla sentenza delle sezioni unite n. 44711 del
27.10.2004, Rv. 229176, ha evidenziato come l’effetto del rigetto della richiesta di giudizio
abbreviato subordinata dall’imputato all’assunzione di prove integrative, quando deliberato
sull’erroneo presupposto che si tratti di prove non necessarie ai fini della decisione, sia quello
dì inficiare la legalità del procedimento di quantificazione della pena da infliggere, qualora si
pervenga in esito al dibattimento ad una sentenza di condanna. Ne consegue che il giudice
dibattimentale il quale abbia respinto “in limine litis” la richiesta di accesso al rito abbreviato
“rinnovata” dopo il precedente rigetto del giudice per le indagini preliminari ovvero proposta
per la prima volta – in caso di giudizio direttissimo o per citazione diretta – deve applicare
anche d’ufficio la riduzione di un terzo prevista dall’art. 442 c.p.p., se riconosca (pure alla luce
dell’istruttoria espletata) che quel rito si sarebbe dovuto invece celebrare. Chiarivano, peraltro,
le sezioni unite che poteva parlarsi “di violazione dei criteri legali di quantificazione della pena
solo quando la preclusione del rito fosse dipesa dall’erronea deliberazione del giudice e non
dall’inerzia del soggetto cui la legge rimette in via esclusiva la possibilità di attivare il
procedimento speciale, cosicché, nel caso in cui l’imputato non rinnova “in limine litis” una
richiesta già respinta dal giudice preliminare, non può farsi più questione della eventuale
erroneità del provvedimento reiettivo”.
A tale mancato rinnovo della richiesta deve inevitabilmente equipararsi la “opzione” per il
rito abbreviato secco, con rinuncia quindi a quello condizionato, in quanto con tale scelta
“l’imputato rìnunzia definitivamente al diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite
agli atti o richieste come condizione a cui subordinare il giudizio allo stato degli atti ai sensi
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CONSIDERATO IN DIRITTO

dell’art. 438 c.p.p., comma 5. In presenza di tale scelta, pertanto, non può più l’imputato
lamentare l’illegittimo rigetto della richiesta di integrazione probatoria” (Cass. sez. 3 n. 12853
del 13/2/2003; sez. 3 n. 27183 del 5/6/2009, Rv. 248477).
4.2. Del pari inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, strettamente
connesso al precedente, con il quale si contesta l’omessa rinnovazione parziale del
dibattimento anche in grado di appello, per verificare con un accertamento peritale
l’imputabilità dell’imputato
È pacifico, invero, che la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ha carattere

ai finì della decisione. Tanto vale a maggior ragione nel processo celebrato con il rito
abbreviato, in quanto con esso, come dinanzi ricordato, l’imputato rinunzia definitivamente al
diritto di assumere prove diverse da quelle già acquisite agli atti. Conseguentemente, i poteri
del giudice di assumere gli elementi necessari ai fini della decisione (art. 411 c.p.p., comma 5)
e di disporre in appello la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (art. 603 c.p.p., comma
3) sono poteri officiosi, che prescindono dall’iniziativa dell’imputato, non presuppongono una
facoltà processuale di quest’ultimo e vanno esercitati solo quando emerga un’assoluta esigenza
probatoria, sicché “deve ritenersi possibile la richiesta di rinnovazione in appello dell’istruttoria
dibattimentale da parte dell’imputato che abbia subordinato la richiesta di accedere al rito
abbreviato ad una specifica integrazione probatoria, mentre chi abbia richiesto il rito
abbreviato alla stato degli atti può solo sollecitare il giudice dì appello all’esercizio del potere di
ufficio dì cui all’art. 603 c.p.p., comma 3” (Così Cass. sez. 3 n. 27183 del 5/6/2009 cit.; conf.
anche Cass. sez. 3 n. 15296 del 2/3/2004; Cass. sez. 4 n. 15573 del 20/12/2005).
Nel caso di specie, pertanto, giacché Idrizi Seat, come si è visto, ha
comunque optato per il rito abbreviato “secco”, la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale con espletamento della perizia psichiatrica deve essere intesa come mero
sollecito all’esercizio dei poteri officiosi previsti dall’art. 603 c.p.p., legittimamente disatteso
dalla corte territoriale, che con motivazione in fatto congrua e priva di contraddizioni logiche ha
esplicitamente ribadito la non necessità dell’integrazione probatoria richiesta, sulla base della
già “acclarata e inequivoca capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del
fatto”.
Del resto, quell’assoluta necessità dell’assunzione della nuova prova ai fini della decisione,
che sola avrebbe potuto giustificare una rinnovazione del dibattimento in appello, non può
certo essere riconosciuta con riferimento ad un mezzo di prova, quale la perizia, che per la
sua stessa natura non può mai essere considerata decisiva, secondo l’insegnamento di questa
giurisprudenza di legittimità, che indica come “prova decisiva”, ai sensi dell’art. 606 c.p.p.,
lett. d), solo quella prova che, confrontata con le argomentazioni contenute nella motivazione,
si riveli tale da dimostrare che, ove esperita, avrebbe sicuramente determinato una diversa
pronuncia (Cass. Sez. 2, n. 16354 del 28/4/2006, Rv. 234752; Cass. Sez. 6, n. 14916
25/3/2010, Rv. 246667), ovvero quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la
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eccezionale e deve essere giustificata dall’assoluta necessità dell’assunzione della nuova prova

sentenza intaccandone la struttura portante (Cass., Sez. 3, n. 27581 del 15/07/2010, Rv.
248105). Con riguardo al procedimento peritale, peraltro, questa stessa corte di legittimità ha
già statuito il principio, consolidatosi nel tempo, in forza del quale la perizia non può farsi
rientrare nel concetto di prova decisiva, giacché la sua disposizione, da parte del giudice, in
quanto legata alla manifestazione di un giudizio di fatto, ove assistito da adeguata
motivazione, è insindacabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. d) (v. Cass. Sez. 4, n. 7444 del
17/01/2013 Rv. 255152 ; Cass. sez. 6, n. 43526 del 03/10/2012 Rv. 253707; Cass. Sez. 4, n.
14130 del 22/1/2007, Rv. 236191; Cass. sez. 4. sentenza n. 4981 del 05/12/2003, Rv.

4.3. Manifestamente infondato, poi, deve ritenersi il terzo motivo di impugnazione, con il
quale viene dedotta la nullità della sentenza per contraddittorietà ed illogicità della motivazione
e la nullità della sentenza per omessa motivazione, con particolare riferimento alla
consumazione del reato di rapina aggravata, che si assume meramente tentata, ed alla
valutazione dell’elemento di prova costituito dal rinvenimento dei telefoni cellulari oggetto del
reato nel vano portaoggetti dell’autovettura. La sentenza impugnata, infatti, con adeguato
percorso argonnentativo ricostruisce la dinamica dei fatti oggetto del procedimento, sulla base
delle dichiarazioni della persona offesa, alle quali è stata riconosciuta piena attendibilità
intrinseca, e sono stati anche evidenziati, senza omissioni né contraddizione alcuna, gli
elementi di riscontro che tali dichiarazioni hanno ricevuto nel rinvenimento, nell’autovettura del
ricorrente, del coltello con lama ancora sporca di sangue, che aveva provocato ferite da taglio
sia all’aggredita che all’aggressore nella colluttazione tra i due, ed altresì dei telefoni cellulari di
proprietà della persona offesa, provento del delitto contestato, sicché nessuna lacuna
motivazionale si riscontra della ricostruzione dell’episodio criminoso fatta propria dalla Corte
territoriale e nella conseguente qualificazione del fatto come delitto consumato, in coerenza
con la contestazione, e non già come delitto tentato, secondo la richiesta del ricorrente. Nel
caso in esame il ricorrente propone, peraltro in via ipotetica, una ricostruzione alternativa a
quella operata dai giudici di merito ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia
ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett.
e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento argomentativo del giudice,
deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella
ritenuta in sentenza. (cfr. Cass. Sez. 1 sent. n. 13528 del 11/11/1998 Rv 212054).
4.4. Inammissibile deve essere ritenuto anche il quarto motivo di impugnazione, con il
quale si lamentano genericamente non esplicitate contraddittorietà ed illogicità della
motivazione e si contesta altresì che dalla motivazione della sentenza impugnata non si
comprenderebbero le ragioni per cui non sono state ritenute attenibilì le deduzioni difensive,
anch’esse non meglio specificate, in contrasto con la ricostruzione dei fatti operata in sentenza.
Requisito imprescindibile dei motivi di impugnazione è, invece, la loro specificità,
consistente nella precisa e determinata indicazione dei punti di fatto e delle questioni di diritto
da sottoporre al giudice del gravame, sicché la mancanza di tali requisiti rende l’atto di
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229665; Cass. Sez. 5, n. 12027 del 6/4/1999, Rv. 214873).

impugnazione inidoneo ad introdurre il nuovo grado di giudizio ed a produrre effetti diversi
dalla dichiarazione di inammissibilità. (Cass. Sez. 5 n. 2896 del 9/12/1998. Rv 212610).
Conseguentemente, anche in relazione a tale motivo di impugnazione il ricorso è inammissibile
per violazione dell’art. 591 lettera c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod .proc. pen., perché
le doglianze sono prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento
impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di
impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici.
4.5. Palesemente inammissibile, infine, è anche il quinto motivo di impugnazione, con il

violazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p., sostenendosi essere la pena inflitta al ricorrente
“sproporzionata al caso in esame” e che il giudice di appello avrebbe dovuto riconoscere
l’attenuante del danno di lieve entità ed anche procedere ad un nuovo e diverso giudizio di
prevalenza o equivalenza delle circostanze. Si tratta di motivo inammissibile perché, sotto il
profilo della violazione della legge penale, nel caso di specie l’art. 133 cod. pen., tenta di
sottoporre a questa Corte un non consentito giudizio di merito: come riconosciuto dalle sezioni
unite di questa Corte (sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Rv. 245931), invero, le statuizioni
relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione
discrezionale tipica del giudizio di cognizione, sfuggono al sindacato di legittimità legittimità
qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (cfr. anche, per tutte, Cass.
sez. 3 n. 26908 del 22/04/2004, Rv 229298) e siano sorrette da sufficiente meitivazione (cfr.
Cass. sez. 1 n. 5697 del 28/01/2003, Rv 223442), tale dovendo considerarsi l’aver ritenuto la
soluzione della equivalenza come la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in
concreto (cfr. Cass. sez. 4 n. 25532 del 23/05/2007, Rv 236992). In tal senso, a giustificare la
condivisione della soluzione della equivalenza delle circostanze operata dal primo giudice deve
ritenersi sufficiente, come nel caso in esame, l’esplicito riferimento ad una valutazione
complessiva dell’episodio criminoso e del comportamento gravemente sopraffattorio
dell’imputato in danno della vittima, che si traduce in sostanza in un giudizio di non
meritevolezza di un trattamento sanzionatorio più mite. Inammissibile, infine, è anche la
doglianza in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno di lieve entità, in
alcun modo argomentata, difettando anche in questo caso il requisito della specificità dei
motivi, che impone al ricorrente non soltanto l’onere di dedurre censure su uno o più punti
determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono a
base delle sue lagnanze, sicché la mancata indicazione dei motivi per cui dovrebbe essere
considerato di lieve entità il danno conseguente alla privazione di due telefoni cellulari
comporta la violazione dell’art. 581 comma 1 lett. c) cod. proc. pen.
5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod.
proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha proposto al pagamento delle spese del
procedimento, nonché al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che,

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quale si contesta la determinazione della pena operata dai giudici di merito, per l’asserita

alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo
profili di colpa, si stima equo determinare in C 1.000,00 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di C 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Il Cons liere estensore

Il Presidente

Così deciso nella camera di consiglio dell’Il dicembre 2015

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