Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8495 del 04/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8495 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DAVI’ ROBERTO N. IL 24/09/1973
avverso la sentenza n. 3046/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
04/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 04/12/2013

Motivi della decisione
Davì Roberto ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Corte di Appello di Milano in data 4.07.2012, con la quale, in parziale riforma della
sentenza di condanna resa dal G.i.p. presso il Tribunale di Pavia il 4.11.2011, in
riferimento alle contestate violazioni dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, concesse le
attenuanti generiche, è stata rideterminata la pena originariamente inflitta.
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge, in riferimento

all’episodio di cui al capo 3, sub a), della rubrica, l’esponente osserva di avere
messo in contatto terzi soggetti, per affari riguardanti la compravendita di
automobili; e rileva di non aver mai partecipato ad alcuna fase della compravendita
dello stupefacente. In relazione ai fatti di cui al capo 3, sub lett. d) ed e), la parte
considera poi che i giudici di merito si sono basati unicamente sul contenuto della
intercettazione ambientale del 10.03.2012.
In via subordinata, la parte contesta poi il mancato riconoscimento della
fattispecie attenuata di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990.
In data 2.12.2013 la parte ha depositato memoria.
Il ricorso è inammissibile.
Posto che non sono suscettibili di considerazione nel giudizio di legittimità,
nella specie camerale, le memorie e le produzioni difensive intempestivamente
presentate – come nel caso di specie – per inosservanza del termine dilatorio di cui
all’art. 611 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8960 del 07/02/2012,
dep. 07/03/2012, Rv. 252215), si osserva che il ricorrente prospetta censure non
consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la
valutazione del fatto, come pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili
del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito
una congrua e adeguata motivazione, immune da incongruenze di ordine logico.
Come è noto la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto,
pressocchè costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma
dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore
tale da risultare percepibile ictu °culi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza

alla affermazione di penale responsabilità dell’imputato. Con particolare riguardo

che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, la

evidenziando che l’intervento del Davì non poteva ritenersi limitato ad un momento
successivo alla consumazione del reato; e che Davì aveva presentato Halilovic a
Perre e Grillo, proprio in riferimento ad affari relativi agli stupefacenti.
La Corte di Appello di Milano ha poi considerato, in riferimento alle
imputazioni sub lett. d) ed e), che il tenore della conversazione captata il
10.3.2010, nel corso della quale Davì chiariva di avere ricevuto “roba bella”,
risultava certamente indicativo del fatto che i colloquianti stessero facendo
riferimento a cessioni di cocaina. E il Collegio ha pure rilevato che il contesto in cui
la conversazione era avvenuta risultava indicativo del fatto che i colloquianti si
riferissero a quantitativi di droga.
Del pari manifestamente infondata risulta la doglianza, dedotta in via
subordinata, relativa al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art.
73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. Al riguardo, la Corte di Appello ha osservato che
il quantitativo di stupefacente trattato e le ingenti somme di denaro investite
inducevano ad escludere il carattere episodico della condotta criminosa. Orbene, la
predetta valutazione si colloca, del tutto coerentemente, nell’alveo tracciato dalla
giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiarito che in tema di sostanze
stupefacenti, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del
fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli
elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e
circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato
(quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa):
dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando
anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene
giuridico protetto sia di “lieve entità” (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4948 del
22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649).
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

Corte di Appello ha effettuato un coerente vaglio del compendio probatorio,

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, in data 4 dicembre 2013.

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