Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8467 del 04/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8467 Anno 2014
Presidente: D’ISA CLAUDIO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GABAS MORENO N. IL 21/08/1973
avverso la sentenza n. 384/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
03/04/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 04/12/2013

Motivi della decisione
Gabas Moreno ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Corte di Appello di Trieste in data 3.04.2012, con la quale – in riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Udine, sezione distaccata di Palmanova il
10.03.2009 – è stata affermata la penale responsabilità del Gabas in ordine al reato
di furto aggravato.
La parte deduce il vizio motivazionale, osservando che la Corte territoriale
ha effettuato una riconsiderazione degli elementi indiziari diametralmente opposta

consentano di fondare una sentenza di condanna. Al riguardo, rileva che la
presenza su di una lattina, rinvenuta su di un tavolo dell’esercizio pubblico teatro
del furto, di una campione di DNA riferibile al Gabas, non consenta di ritenere che
Gabas sia l’autore del furto perpetrato all’interno del bar. L’esponente osserva,
inoltre, che il dato per la comparazione del DNA è stato ricavato da un reperto che
già era nella disponibilità dei Carabinieri del RIS; e rileva che gli stessi militari
avevano richiesto l’espletamento di perizia, volta al prelievo di un campione
biologico di confronto, da acquisire secondo le modalità di rito, relativamente alla
persone di Gabas Moreno.
Il ricorso è inammissibile.
Si osserva che l’esponente propone censure non consentite nel giudizio di
legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come
pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla
esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata
motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza
che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono

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a quella che era stata svolta dal primo giudice. E ritiene che gli indizi raccolti non

consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, nel
caso di specie, la Corte di Appello ha espressamente considerato, sviluppando un
percorso logico argomentativo che non presenta aporie di ordine logico rilevabili in
sede di legittimità, che il gestore del bar aveva inequivocamente chiarito che la

furto, era stata certamente consumata da uno degli autori del furto, atteso che il
bar era stato rassettato, al momento della chiusura. Oltre a ciò, il Collegio ha
osservato che il genotipo impiegato per la comparazione, effettuata dai militari del
R.I.S., era utilizzabile in giudizio, trattandosi di dati acquisiti in precedenti indagini
e conservati in apposite banche dati. A quest’ultimo riguardo, preme rilevare che la
valutazione effettuata dalla Corte territoriale si colloca nell’alveo dell’orientamento
interpretativo espresso dalla giurisprudenza di legittimità. La Corte regolatrice ha
infatti chiarito che è utilizzabile, in mancanza di un divieto di legge, l’accertamento
sulla identità dell’indagato compiuto mediante ricorso ai dati relativi al codice
genetico contenuti in un archivio informatico predisposto dalla Polizia giudiziaria
(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4430 del 05/12/2006, dep. 05/02/2007, Rv. 235969).
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 4 dicembre 2013.

bevanda contenuta nella latina che era stata rinvenuta sul tavolo, all’indomani del

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