Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8457 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8457 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SCIORILLI PIETRO N. IL 12/10/1972
avverso la sentenza n. 105/2010 TRIB.SEZ.DIST. di ATESSA, del
01/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;

Data Udienza: 12/11/2013

1

Ritenuto in fatto e in diritto.

Con sentenza del giorno 1.2.2013 il Tribunale di Lanciano, sez.
distaccata di Atessa, condannava SCIORILLI Pietro per il reato di cui all’art.
660 cod.pen alla pena di euro 300 di ammenda, per avere arrecato molestia
e disturbo a FALASCA Elisabetta, a mezzo del telefono. Veniva accertato che
detta attività era partita dall’utenza intestata all’imputato, si era estesa per
lungo tempo, il che portava ad escludere che l’utenza fosse stata

petulante aveva interferito nella vita privata della persona offesa ed aveva
quindi integrato l’ipotesi di reato contestata.

Avverso detta sentenza, ha proposto ricorso per cassazione il
prevenuto pel tramite del suo difensore, per dedurre: a) erronea applicazione
dell’art. 660 cod.pen. e difetto di motivazione, non potendo l’affermazione di
colpevolezza essere basata sul semplice fatto che le telefonate partirono
dall’utenza dell’imputato; b) violazione di norme processuali ( artt. 191 e
526 cod.proc.pen.) poiché la sorella della persona offesa, che aveva
riconosciuto la voce dell’imputato, non fu mai escussa a dibattimento; c)
inosservanza della legge penale in ordine alla ritenuta configurabilità del
reato continuato .

Il ricorso è manifestamente infondato, posto che

la corte ha

adeguatamente motivato, ancorando la decisione alle evidenze disponibili
rappresentate dal fatto che le telefonate partirono tutte dall’utenza intestata
all’imputato; il riferimento alle dichiarazioni della sorella della persona offesa
non fu che un “corollario”, cosicchè dette propalazioni non costituirono la
base fondante dell’impianto accusatorio e nell’economia della valutazione sono
state del tutto trascurate. Quanto alla contestata ritenuta continuazione va
fatto rilevare che il giudice a quo non ebbe a considerare il reato continuato ,
atteso che la pena fu stabilita in euro 350 di ammenda, diminuita a 300 euro
per effetto delle circostanze attenuanti generiche.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto il
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in
mancanza elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità, al versamento a favore della cassa delle ammende di
sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro mille, ai sensi dell’
art. 616 c.p.p.

momentaneamente usata da terzi. Veniva ritenuto che detto comportamento

p.q.m.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa della
ammende.

Così deciso in Roma, 12 Novembre 2013.

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