Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8456 del 12/11/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 8456 Anno 2014
Presidente: CASSANO MARGHERITA
Relatore: CAPRIOGLIO PIERA MARIA SEVERINA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FASOLINO EMILIO N. IL 19/12/1966
avverso la sentenza n. 326/2010 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
17/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERA MARIA
SEVERINA CAPRIOGLIO;

I

Data Udienza: 12/11/2013

Ritenuto in fatto e in diritto

Con sentenza resa il giorno 17.7.2012, la corte d’appello di Trieste
confermava la sentenza del Tribunale di Gorizia, del 13.5.2008 che aveva
condannato alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione FASOLINO Emilio, per
i reati di cui agli artt. 423-425 n. 2, 61 n. 2, 367, 635 cod.pen.; la corte ribadiva
che a carico dell’imputato, ritenuto autore dell’incendio della sua pizzeria al fine di

piattaforma accusatoria fondata a)sulle dichiarazioni di due testimoni a cui
l’imputato aveva confidato di essere l’autore del reato, b) sull’esito della perizia
condotta dai vigili del fuoco, -quanto al fatto che il fuoco si sviluppò all’interno del
locale cottura e che era da escludersi che la dinamica fosse stata casuale- ed infine
c) sull’esito di intercettazioni telefoniche ed ambientali che portavano ad escludere
che l’imputato fosse preoccupato per azioni estorsive a suo danno e che quindi
portavano ad escludere la tesi da lui sostenuta.

Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
personalmente, deducendo vizio di motivazione, ritenuta mancante e
manifestamente illogica, quanto alla risposta motivazione sul punto della richiesta
rinnovazione parziale del dibattimento: il fatto che la difesa abbia rinunciato a fare
sentire in dibattimento un proprio consulente non poteva essere assunta come
rinuncia a muovere osservazioni critiche alla consulente del Pm. Non sarebbero
state chiarite le cause della deflagrazione e sarebbe stata esclusa l’ipotesi della
causalità dello scoppio, sulla base di una mera accettazione acritica di quanto
sostenuto dal CT del Pm.

E’ stata depositata memoria in data 6.11.2013, con cui la difesa ha
insistito sull’ammissibilità del ricorso. In primo luogo viene ricordato che le
sentenze di merito si sono basate sulle risultanze delle perizia dei vigili del Fuoco ,
laddove il CT dell’imputato non fu mai inspiegabilmente sentito nel corso
dell’istruttoria dibattimentale. E’ stato quindi allegato un elaborato tecnico a
dimostrazione della non esaustività degli accertamenti condotti. Infine viene
contestata la qualificazione del reato che avrebbe dovuto ricadere sotto la
previsione dell’art. 424 e non 423 cod.pen. ; vien fatto poi di rilevare che
l’imputato era solo gestore della pizzeria, poiché proprietario ne era il fratello del
Fasolino, cosicchè a quest’ultimo sarebbe dovuto andare l’eventuale risarcimento
del danno , profilo questo che sarebbe stato del tutto sottovalutato dai giudici di
merito.

2

ottenere il risarcimento ad opera dell’assicurazione, concorreva una solida

Il ricorso è basato su motivi manifestamente infondati; i giudici a quibus
hanno adeguatamente argomentato sulla sussistenza di prove di colpevolezza
dell’imputato, dando conto degli elementi raccolti, correttamente valutati secondo
un percorso logico argomentativo privo di mende logiche o giuridiche. Dal punto di
vista della causa dell’incendio verificatosi all’interno della pizzeria dell’imputato,
sono state condivisive le argomentazioni tecniche sviluppate dal consulente
nominato ex art. 360 cod.proc.pen., sol perché basate su accertamenti rigorosi e

pressione era da collocare all’interno del locale cottura delle pizze, posto che la
mancanza di traccia di cratere sul pavimento portava a ritenere la deflagrazione in
ambiente confinato di una miscela di gas e/o vapori infiammabili; poiché mancava
la presenza di una bombola e non furono accertate perdite di gas, veniva ritenuto
che la componente gassosa andasse ricondotta all’acetilene -unico idrocarburo a
non lasciare traccia nella combustione- introdotto nel circuito del banco frigo,
atteso che il collegamento filettato del circuito di refrigerazione presentava nelle
parti in rame un residuo di colore bruno, lasciato dall’acetilene. Il discorso
giustificativo sul punto è stato completo e corretto, avendo i giudici del merito
adeguatamente spiegato le ragioni per cui andavano condivise ( e non recepite
acriticamente) le conclusioni tecniche acquisite, tra l’altro assolutamente
compatibili con le altre evidenze disponibili. Pertanto correttamente è stato
ritenuto che non sussistessero spazi per il rinnovamento dell’istruttoria, che
secondo lo schema dell’art. 603 cod.proc.pen., può essere disposto solo in caso
di assoluta necessità , ovvero se il giudice ritenga di non poter decidere allo stato
degli atti.
A diversa valutazione non può certamente giungere questa corte a cui non è
consentito offrire una alternativa ricostruzione dei fatti meno che meno in forza
dell’elaborato che inopinatamente è stato allegato e che non può costituire
compendio esaminabile in sede di legittimità.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di
elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della
cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro
mille, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.

3

riscontri di carattere scientifico: infatti veniva scritto che l’origine dell’onda di

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di euro mille in favore della cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, 12 Novembre 2013.

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