Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8442 del 04/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8442 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: FUMO MAURIZIO

Data Udienza: 04/12/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GULLO FRANCESCO N. IL 08/12/1941
TRIPOLI FILIPPO N. IL 29/12/1980
avverso l’ordinanza n. 220/2013 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
25/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MAURIZIO FUMO;
lette/sentit

t

udito il PG in persona del sost. proc. gen. dott. G. Izzo, che ha concluso chiedendo rigettarsi il
ricorso,
uditi i difensori, avv. G. Serafino per Gullo e avv. M. R. Cicero per entrambi gli indagati, i quali
difensori hanno illustrato il ricorso e ne hanno chiesto raccoglimento.

1. Gullo Francesco e Tripoli Filippo, tramite i comuni difensori, ricorrono avverso le
separate ordinanza in epigrafe riportate, con le quali il tribunale del riesame di Messina ha
rigettato la richiesta di riesame avanzata nell’interesse dei predetti in riferimento al
provvedimento che ne ha disposto gli arresti domiciliari, in quanto indagati per i delitti di cui
agli artt. 416, 81-479 cp, 87 DPR 570/1960.
1.1. In ipotesi di accusa, Gullo e Tripoli avrebbero fatto parte, insieme con altri, di una
associazione criminale che, attraverso falsi trasferimenti di residenza, avrebbe alterato la
composizione del corpo elettorale nel comune di Patti, in vista delle elezioni municipali del
2011 relative al predetto comune. Nella competizione elettorale in questione erano candidati il
Tripoli, la figlia del Gullo e altre persone variamente legate agli appartenenti alla ipotizzata
associazione per delinquere.
1.2. Il Gullo, in particolare, in quanto vicesindaco uscente e uomo politico di rilievo in
quella circoscrizione elettorale, avrebbe, secondo quanto si legge nel ricordato provvedimento,
gestito le fila della “operazione” e determinato, direttamente o indirettamente, gli ufficiali
comunali incaricati degli accertamenti a redigere atti pubblici ideologicamente falsi (i modelli
APR/4), nei quali si affermava che un certo numero di persone si erano trasferite in Patti dai
comuni viciniori.
1.3. Era stato, in realtà, accertato, sia che queste persone non avevano mai lasciato la
residenza originaria, sia che quella che figurava come la nuova residenza, non li aveva mai
ospitati (si trattava infatti o di complessi turistici, destinati a rimanere inabitati durante
l’inverno, ovvero di immobili già destinati ad uso diverso da quello abitativo, ovvero ancora di
immobili in condizioni di non abitabilità).
2. Con unico atto di ricorso in favore del Gullo e del Tripoli, si deducono tre censure: a)
violazione di legge e carenze della motivazione in relazione agli artt. 268 comma primo e 271
cpp, b) violazione di legge e carenze dell’apparato motivazionale in relazione ai gravi indizi di
colpevolezza in ordine ai reati contestati, c) violazione di legge e motivazione mancante e
illogica in relazione all’art. 274 cpp.
3. Con la prima censura, si rileva la inesistenza dei verbali relativi alle operazioni di
intercettazione. Detti verbali furono regolarmente richiesti dai difensori all’ufficio del Pubblico
ministero, il quale pose a disposizione il materiale relativo alle operazioni di intercettazione. È
stato così possibile accertare che non esistono verbali cartacei che diano atto dell’inizio, dello
svolgimento e della chiusura delle predette operazioni, ma che tali annotazioni sono contenute
su di un file redatto con il sistema word. Si tratta dunque di uno scritto informatico che non
risponde ai requisiti di cui agli artt. 136 e 268 cpp, 89 disp. att. cpp, in quanto vi è incertezza
assoluta in ordine alle persone intervenute, ai compilatori del verbale stesso e in quanto manca
la sottoscrizione del pubblico ufficiale che l’ha redatto. Va inoltre notato che i predetti
documenti sono modificabili in qualsiasi momento, perché, come premesso, redatti in il
sistema word e non in pdf. È evidente che, ai sensi degli articoli del codice di procedura sopra
ricordati, il verbale in questione deve necessariamente avere consistenza cartacea. Ne
consegue che, essendo il documento in questione presente unicamente nella memoria di un
computer (esso non è stato mai stampato e sottoscritto) ed essendo peraltro privo di firma,
esso è modificabile in qualsiasi momento; lo scritto informatico, dunque, non può considerarsi
un verbale a tutti gli effetti. Ne consegue ulteriormente la inesistenza del predetto verbale e dunque- l’assoluta inutilizzabilità delle eseguite intercettazioni.

RITENUTO IN FATTO

4. Con la seconda censura, si fa presente che, pur ammesso che i falsi ideologici siano
stati commessi, non vi è alcun elemento in base al quale il Gullo possa essere ritenuto
responsabile degli stessi. Secondo quanto si legge nel provvedimento impugnato, Gullo
sarebbe stato il determinatore o il sollecitatore di tali operazioni, ma donde siano stati tratti gli1
.

2

5. Con la terza censura, si assume che non sussiste alcuna esigenza cautelare, atteso
che la formulazione dell’ipotesi associativa è “chiusa” e risalente a oltre due anni addietro, che
i reati di falso e di voto di scambio sarebbero stati realizzati nel periodo della competizione
elettorale che è ormai esaurita (appunto, da due anni). Non vi è dunque alcun pericolo di
recidiva. Si osserva inoltre che la richiesta di misura cautelare è del giugno 2012 e che il GIP
ha provveduto a ben nove mesi di distanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La prima censura non è fondata.
1.1. Nella nostra legislazione penale sostanziale il concetto di documento informatico si
è affermato progressivamente. Infatti, con la legge 23 dicembre 1993 n. 547 (“Modificazioni e
integrazioni alle norme del codice penale e del codice di procedura penale in tema di

elementi per una tale affermazione in realtà non viene chiarito. Le conversazioni intercettate
non riguardano, in genere, questo ricorrente; quando poi lo riguardano, non ne è dimostrano il
coinvolgimento nelle illecite condotte, che si ipotizzano a carico di altri. Le procedure di
trasferimento, per quanto è dato comprendere, facevano capo al vicecomandante dei vigili
urbani Lembo Carmelo.
4.1. Nessuno dei colloquianti ha mai affermato -direttamente o indirettamente,
apertamente o allusivamente- di aver commesso falsi per conto del Gullo, ne è emerso che il
predetto abbia chiesto ad alcuno di spostare la propria residenza in Patti. Si è invero accertato
che il nucleo familiare della figlia del ricorrente si trasferì nel predetto comune, ma, da un lato,
va notato che Gullo Maria Tindara partecipò alla competizione elettorale (e dunque aveva un
interesse diretto ad acquisire voti), dall’altro, che il trasferimento fu reale, perché la figlia del
ricorrente, il marito e i loro figli (minorenni quindi non votanti) si trasferirono effettivamente in
Patti, in un immobile di proprietà di Gullo Francesco.
4.2. Quanto agli elettori Libro Vincenzo e Prinzi Felice, effettivamente risulta che gli
stessi trasferirono la loro residenza in Patti, in altro immobile di proprietà del Gullo, ma non è
stata fornita la prova che il ricorrente fosse a conoscenza della falsa natura di tale
trasferimento, né tale conoscenza si può ritenere in re ipsa, in conseguenza del fatto che lo
stesso fosse il dominus dell’immobile.
4.3. Quanto al Tripoli, nei cui confronti sono stati individuati due soli episodi di
partecipazione, quale istigatore, alla compilazione di atti ideologicamente falsi, si osserva che i
trasferimenti da altri comuni al Comune di Patti riguardano la sorella, Tripoli Patrizia, e il padre
Tripoli Nino.
Ebbene la prima si trasferì da Montagnareale a Patti un anno prima delle elezioni per ragioni di
lavoro. Ritornò quindi ad abitare temporaneamente a Montagnareale, essendo rimasta incinta
e avendo necessità dell’appoggio della madre (i genitori di Tripoli Filippo e Tripoli Patrizia sono
separati). Tripoli Nino, proveniente da Montalbano, dove conviveva con una donna, aveva
trasferito la sua residenza a Patti, anche egli un anno prima delle elezioni (ottobre 2010), a
seguito della interruzione del predetto rapporto di convivenza. A tutt’oggi, Tripoli Nino abita in
Patti.
4.4. A carico di Tripoli Filippo vi è dunque solo il contenuto di alcune conversazioni
intercettate nelle quali si afferma che egli si sarebbe “portato tutti i parenti” a Patti. La realtà
oggettiva però è quella appena illustrata e, dunque, non si può interpretare il contenuto delle
predette conversazioni se non con la chiave della maldicenza e dell’invidia degli altri
concorrenti elettorali del Tripoli.
4.5. Va poi notato, con specifico riferimento ai reati elettorali, che ciascun candidato o
parente di candidato perseguiva interessi suoi personali e che quindi, evidentemente, non
poteva esservi accordo tra quelli che erano potenziali concorrenti.
4.6. Quanto al reato associativo, infine, è appena il caso di ricordare che esso
presuppone, oltre ad una comune finalità (cosa che, per quanto sopra illustrato, non
sussisteva), una predisposizione comune dei mezzi occorrenti per la realizzazione del
programma criminoso, la indeterminatezza di detto programma e il fatto che le azioni
antigiuridiche non siano programmaticamente circoscritte, ovvero meramente occasionali. Nel
caso in esame, a tutto voler concedere, l’accordo avrebbe avuto vigore unicamente in vista
della competizione elettorale e -dunque- non vi è alcun patto stabile e permanente.

supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria… ecc.”
1.2. Dunque: il documento aveva -all’epoca- ancora una consistenza corporale, si
identificava comunque con una res extensa , in quanto il Legislatore, evidentemente, riteneva
di non poter tutelare il contenuto, senza tutelare il contenitore, vale a dire, appunto, il
supporto materiale (floppy, pendrive, hard disk, nastro magnetico ecc.) che incorpora il
documento.
Successivamente, però, la legge 18 marzo 2008 n. 48, esecutiva della convenzione di
Budapest (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, sottoscritta a
Budapest il 23 novembre 2001), ha ‘amputato” detto articolo del secondo comma, con la
conseguenza che, coerentemente, il documento informatico non si identifica più -come una
volta- con il suo supporto, ma col dato in esso contenuto. Si tratta dunque di un documento
immateriale, che non si incorpora in un oggetto fisico (così come il pensiero non si incorpora
nell’apparato cerebrale che lo produce e lo “immagazzina”).
Il novum, per vero, era già stato introdotto (non limitatamente al settore penale) dal DPR 10
novembre 1997 n. 513 (“Regolamento contenete i criteri e le modalità per la formazione,
l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici, a norma
dell’art. 15, comma secondo, della legge 15 marzo 1997 n. 59”) e poi dal decreto legislativo 7
marzo 2005 n. 82, il c.d. codice dell’amministrazione digitale. Si parlava, per la precisione,
all’epoca, di rappresentazioni informatiche di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.
1.3. Il successivo “passo” (compiuto appunto con la legge 48/2008) è consistito -come
anticipato- nel ritenere il documento informatico, non una copia, una riproduzione, una
trasposizione virtuale di un documento materiale, ma un documento in sé.
Lo scopo della equiparazione è evidente: assicurare la certezza e la affidabilità dei dati
informatici relativi ai rapporti giuridici; proprio quella certezza ed affidabilità che i
cybercriminali intendono insidiare.
1.4. Con tale impostazione, poi, è stato coerente il coevo sviluppo della legislazione
penalistica in tema di reati informatici.
Così è stata introdotta l’ipotesi ex art. 495 bis cod.pen. (“Falsa dichiarazione o attestazione al
certificatore di firma elettronica sull’identità o su qualità personali proprie o di altri”), che mira
a tutelare la genuinità (sci/. la rispondenza al vero) delle dichiarazioni destinate ad essere
inserite in un documento elettronico. Per converso, nell’art. 640 quinquies, il problema è, per
così dire, affrontato, sia pure parzialmente, dall’opposto versante. Viene infatti presa in
considerazione la frode informatica, perpetrata proprio dal soggetto che presta servizi di
certificazione di firma elettronica. E ancora: può essere ricordato l’art. 615 quater cp, che
proibisce e punisce la detenzione e diffusione di codici di accesso (ovviamente immateriali,
trattandosi di semplici sequenze alfanumeriche) a sistemi informatici e telematici, ma anche
l’art. 617 sexies cp, che reprime la falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di
comunicazioni informatiche o telematiche e così via.
1.5. Si vuol significare che, tanto nei rapporti interpersonali, quanto nella sfera
giuridica, il processo di smaterializzazione del documento è in atto e progredisce rapidamente.
La stessa giurisprudenza penale di legittimità se ne è ben resa conto, atteso che, ad es., ha
ritenuto sussistenti le ipotesi di falsità in certificazioni con riferimento ai dati contenuti in
archivi informatici (ASN 199702616-RV 2071010; ASN 200132812-RV 219945; ASN
200331720-RV 226252; ASN 200411915-RV 228741; ASN 200510181-RV 231846; ASN
200511930-RV 231706; ASN 200545313-RV 232735; ASN 200935886-RV 244921), ed ha
addirittura ravvisato, facendo logica applicazione del “nuovo” concetto di documento, il delitto
di bancarotta semplice documentale nel caso di perdita, per comportamento negligente o

criminalità informatica”), sono state apportate significative modifiche ad alcune fattispecie
incriminatrici e ne sono state introdotte di nuove, tendenti ad estendere la tutela penale, non
solo ai sistemi e alle apparecchiature informatiche e telematiche, ma anche ai loro “prodotti”,
vale dire ai documenti elaborati con tali sistemi, presenti in essi e trasmessi attraverso di essi.
Basta fare riferimento agli artt. 392 e 420 cp. (prima della modifica del 2008), con l’estensione
del concetto di “cosa” e di “impianto di pubblica utilità”, rispettivamente al programma
informatico e ai sistemi informatici o telematici. Si deve ovviamente fare riferimento, anche e
principalmente, all’art. 491 bis, introdotto, appunto dalla legge 547/1993. Con esso, dopo aver
affermato che le falsità “previste nel presente capo” riguardano anche i documenti informatici,
il Legislatore chiarisce, nel comma secondo, che come tale si deve intendere “…qualunque

2

2. La seconda censura è fondata.
2.1. I provvedimenti impugnati, che certo non si distinguono per chiarezza espositiva e
per efficacia persuasiva, partono dal presupposto che Tripoli, in quanto direttamente candidato
e Gullo in quanto padre di una candidata e uomo politico di spicco nel comune di Patti, siano
persone che abbiano concorso moralmente alla redazione dei falsi atti di accertamento di
trasferimento di residenza (modelli APR/4).
In realtà è emerso, sulla base di quanto è possibile dedurre dalla lettura dei provvedimenti
impugnati, che il coordinatore di tale attività sarebbe stato il vicecomandante dei vigili urbani
Lembo Carmelo.
2.2. Per quel che riguarda il Gullo, il suo coinvolgimento deriverebbe dallo stretto
legame con il Lembo e dal fatto che, come evidenziato in talune conversazioni intercettate, una
volta divenuto chiaro che il risultato elettorale non era stato quello che Lembo (e anche Gullo)
auspicavano, i rapporti tra i due si ruppero.
Il fatto che Gullo avesse interesse a che venisse ampliata la base elettorale potenzialmente
favorevole alla figlia e ai candidati del suo schieramento (tra i quali il Tripoli) e il fatto che era,
fino ad un certo momento, persona vicina al Lembo e che, dopo il disastroso risultato
elettorale, i rapporti tra i due non furono più quelli di prima, sono, tuttavia, elementi in base ai
quali non è possibile affermare, nemmeno induttivamente, il coinvolgimento del Gullo nella
operazione di falsi trasferimenti di residenza.
Il fatto che Libro e Prinzi abbiano fittiziamente trasferito la loro residenza in un immobile di
proprietà del Gullo, come correttamente si osserva nell’atto di ricorso, è circostanza, di per sé,

imprudente, della memoria informatica del computer, contenente le annotazioni delle
indicazioni contabili (ASN 200935886-RV 244921).
1.6. Ora è indubbio che, se il Legislatore ha inteso tutelare addirittura con la sanzione
penale (che, come è noto, rappresenta la extrema ratio repressiva) il “documento informatico”,
ne ha certamente presupposto, non solo l’esistenza (esplicitata, d’altra parte -come si è dettodallo stesso testo dell’art. 491 bis cp), ma la sua “cittadinanza” nell’intero universo giuridico.
La sanzione penale, infatti, è meramente funzionale alla tutela di un bene/interesse dato per
preesistente, un bene/interesse che certamente essa non crea, ma si limita a proteggere.
1.7. Ebbene, applicando i medesimi principi in campo processuale (campo nel quale,
oltretutto, come è noto, l’analogia non è vietata), consegue inevitabilmente che deve essere
accettato il concetto di verbale informatico e dunque anche del verbale di cui all’art. 268 cpp.
Esso ben può contenere, a norma dell’art. 89 disp. att. cpp., l’indicazione degli estremi del
decreto che ha disposto l’intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione,
l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e cessazione della intercettazione, i nominativi degli
operatori. Si tratta di contenuto sostanzialmente conforme al dictum dell’art. 136 del codice di
rito, venendo a mancare solo la sottoscrizione di cui al seguente art. 137. Al proposito,
tuttavia, sì deve osservare, da un lato, che la mancanza di sottoscrizione del verbale non è
causa di nullità assoluta, ma relativa, e -certamente- non di inutilizzabilità (cfr. ASN
200111241-RV 218451; ASN 200815535-RV 239485), dall’altro (e risolutivamente), che la i
norma codicistica è precedente di circa un lustro rispetto alla innovativa disciplina della legge
547/93, dall’altro ancora, che esistono certamente sistemi meccanici che possono rendere
ragionevolmente certa la paternità di un documento informatico.
1.8. Quanto alla manipolabilità/alterabilità di detto documento, non è dubbio che la
redazione con la modalità pdf offra maggiori garanzie rispetto a quella con la modalità word, e
tuttavia non va ignorato che anche un documento cartaceo è, entro certi limiti, alterabile e
falsificabile e che, comunque, nel caso in esame, i ricorrenti non hanno sostenuto che il verbale
sia stato -in concreto- immutato, ma solo che -in astratto- avrebbe potuto esserlo.
Esistono, d’altra parte, accorgimenti tecnici che consentono di verificare se su di un documento
elettronico, redatto in una certa data, siano poi intervenute modifiche o sostituzioni. Certo:
anche tale tipo di controllo può essere vanificato dalla mano di un esperto hacker, ma ciò, si è
appena detto, vale per ogni tipo di documento.
1.9. Conclusivamente, si deve affermare che, tra le modalità di documentazione di cui
agli artt. 134 ss cpp, deve essere incluso anche il verbale redatto con modalità elettroniche e,
se appare certamente più funzionale e più sicuro procedere alla stampa (e alla sottoscrizione
“grafica”) del predetto verbale, non di meno esso deve ritenersi esistente e valido anche se sia
rimasto nella sola versione elettronica.

3. Conclusivamente, in accoglimento del secondo motivo di ricorso (rimanendo
assorbito il terzo), i provvedimenti impugnati vanno annullati con rinvio al tribunale di Messina
per nuovo esame, all’esito del quale, il giudicante, se dovesse nuovamente convincersi della
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non potrebbe non interrogarsi -dato il tempo
trascorso e la particolare contingenza nella quale, secondo la ipotesi di accusa, i reati furono
commessi- sulla permanenza delle esigenze cautelari a carico dei due indagati.
PQM
annulla le ordinanze del tribunale del riesame di Messina emesse in data 25 marzo 2013 nei
confronti di Gullo Francesco e Tripoli Filippo e rinvia per nuovo esame al medesimo tribunale.
Così deciso in Roma, camera di consiglio, in data 4.XII. 2013.-

neutra, se non si prova quantomeno la consapevolezza del grullo e la sua acquiescenza in
proposito.
2.3. Per quel che riguarda il Tripoli, sembra evidente -per quel che si desume dal
provvedimento- che vi sia discrasia tra le malevole voci sul suo conto evidenziate dalle
conversazioni intercettate e la obiettiva realtà dei fatti, se è vero che i fittizi trasferimenti si
sarebbero limitati a quelli della sorella e del padre del ricorrente. Si sostiene nell’atto di ricorso
che i trasferimenti, peraltro, non furono per nulla fittizi. In merito (vale a dire circa la reale
natura simulatoria di tali trasferimenti) il provvedimento impugnato non fornisce chiare ed
univoche indicazioni.
2.4. Tanto premesso, è evidente che se, allo stato, appare insufficiente, lacunosa e
contraddittoria la motivazione relativa al concorso di Gullo e Tripoli in tali condotte
falsificatorie, non può certo avere maggior consistenza l’ipotesi associativa. Ciò a prescindere
dalle non peregrine considerazione formulate nel ricorso circa l’esigenza, per la sussistenza del
delitto di cui all’articolo 416 cp, di una organizzazione stabile, con divisione di ruoli e compiti,
con un centro decisionale unico, con “organi esecutivi”, con un comune interesse da
perseguire. È nota la differenza tra l’ipotesi associativa e il concorso di persone nel reato, pur
quando le predette persone siano già legate da vincoli interpersonali di altra natura (cfr. ad
es., ASN 200921606-RV 244449).
Non si vuole -con ciò- significare che più persone aventi interessi concorrenti e non convergenti
non possano trovare un accordo e un punto di incontro (potrebbero certamente, nel caso in
esame, aver coltivato il programma di compiere o far compiere un certo numero di falsi,
ognuno nel suo interesse e con tacito accordo di non interferire con gli interessi degli altri), ma
si intende affermare che, perché tale accordo possa considerarsi “il collante” di un’associazione
criminosa, è necessario che esso sia programmatico, non limitato a un numero (sia pure
esteso) di casi, e sia portato ad attuazione attraverso una comune divisione del “lavoro”, con
reciproca consapevolezza.

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