Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8440 del 22/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8440 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
EMMANUELLO DAVIDE N. IL 14/09/1964
avverso l’ordinanza n. 5261/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 23/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. ff
«,…éc-4-w4C324 < Uditi difensor Avv.; / Data Udienza: 22/11/2013 t Propone ricorso per cassazione, Emmanuello Davide, avverso l'ordinanza in data 23 novembre 2012, con la quale il Tribunale di sorveglianza di Roma, a seguito di annullamento con rinvio disposto da questa Corte di Cassazione-sezione prima-con sentenza del 6 giugno 2012, ha rigettato il reclamo proposto contro il decreto del Ministero della giustizia in data 16 novembre 2010. Con tale decreto era stato prorogato, per anni due, il regime di sorveglianza particolare di cui all'articolo 41 bis dell'ordinamento penitenziario e il Ttribunale di sorveglianza di Roma, appositamente adito, aveva, con un primo provvedimento del 28 ottobre 2011, annullato quel decreto rilevando che non erano sopravvenuti elementi nuovi, idonei a far ritenere concreta la possibilità di contatti con la criminalità: ciò anche in relazione al fatto che i due precedenti provvedimenti ministeriali dello stesso tipo erano già stati annullati il 24 marzo 2003 e il 3 luglio 2008 , dal competente Tribunale di sorveglianza. La Cassazione aveva evidenziato come fosse affetta da violazione di legge la motivazione adottata dal Tribunale di sorveglianza, il quale aveva del tutto omesso di considerare che le valutazioni positive di cui ai due decreti citati erano state ampiamente superate dall'emissione, il 19 novembre 2008, di un nuovo decreto ministeriale, di ripetuta applicazione del regime particolare, decreto divenuto definitivo a seguito dell'esperimento, senza successo , dei mezzi di gravame. L'esistenza, ormai accertata, dei presupposti per l'emissione di tale decreto ministeriale comportava la necessità, per il giudice di sorveglianza, di valutare la domanda di proroga alla luce della novella legislativa intervenuta, secondo cui è sufficiente che risulti non essere venuta meno la capacità di mantenere contatti con le associazioni criminali: pretendendo, invece, la dimostrazione di elementi di novità, non previsti dalla normativa di settore, il giudice di sorveglianza era incorso in violazione di legge. In sede di rinvio, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto che, in particolare, i pareri della DDA di Caltanissetta e di Genova, dell' ottobre e novembre 2010, nonché il parere della Direzione nazionale antimafia, dello stesso periodo, evidenziavano la vitalità dell'organizzazione mafiosa e l'acquisizione di una posizione di preminenza, all'interno della stessa, da parte del ricorrente, tale da far ritenere presenti i requisiti per la proroga dello speciale regime carcerario. Deduce il ricorrente la violazione di legge, nella forma dell'apparenza della motivazione. La difesa aveva, infatti, assolto il compito, che su di essa incombeva, di dimostrare come non fosse rappresentabile la capacità del detenuto di riprendere i contatti con la realtà criminale mafiosa, in caso di revoca del regime detentivo differenziato. Aveva già dimostrato come il detenuto avesse più volte rinunciato a comparire nei processi a suo carico, durante i periodi di revoca del "41 bis", così dimostrando di non voler avere alcun contatto con gli ambienti del passato. La negazione di tale possibilità, ad opera del Tribunale di sorveglianza, viene denunciata, nel ricorso, come apodittica e quindi tale da integrare la motivazione apparente, tanto più che era stato anche dimostrato che il ricorrente, a differenza dei suoi fratelli pure sottoposti al regime dell'articolo 41 bis, non era stato neppure tratto a giudizio per rispondere di reati del genere che qui interessa, invece contestati, a quelli, come commessi in costanza di regime detentivo. In terzo luogo la difesa segnala la assoluta inconsistenza della motivazione del Tribunale di sorveglianza che ha escluso qualunque valenza significativa alla requisitoria del Procuratore 1 Fatto e diritto della Repubblica di Caltanissetta , citata dalla difesa perché indicativa della emarginazione della vecchia guardia mafiosa di cui l'odierno ricorrente era rappresentante. Il ricorso è inammissibile. Come già posto in evidenza anche dalla sentenza di annullamento di questa Corte, nella materia di competenza del giudice di sorveglianza è consentito il ricorso per cassazione soltanto per violazione di legge ai sensi dell'articolo 41 bis, comma due sexies, dell'Ordinamento penitenziario, come plasmato dall'art. 2 I. n. 279 di 2002 e di recente novellato dall'art. 2 comma 25 lett. h I. n. 94 del 2009: una fattispecie che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità anche Sezioni unite, e' ravvisabile nel caso di motivazione graficamente assente o apparente. Non è tuttavia questo il caso di specie, nel quale la motivazione resa dal Tribunale di sorveglianza non è certo ascrivibile ad alcuna delle dette categorie. In primo luogo è da osservare che il Tribunale di sorveglianza si è attenuto al principio di diritto posto dalla Corte di cassazione, con sentenza di annullamento con rinvio, principio secondo cui, ai fini del giudizio sulla proroga del particolare regime carcerario, il Tribunale avrebbe dovuto prendere le mosse - dal rilievo della adozione, col crisma della definitività, del decreto ministeriale di applicazione del regime stesso, in data 19 novembre 2008; - dal rilievo che lo stesso fosse basato sulla novità rappresentata dalla morte di Daniele Emmanuello, fratello del ricorrente, e dunque dalla capacità di tale evento di rafforzare la posizione di Davide quale soggetto apicale in seno all'organizzazione criminale; - infine dal rilievo che, per la proroga del regime, non fosse necessaria la prova di elementi di novità ma solo quella del non essere venute meno le capacità di mantenere contatti con le associazioni criminali. Quanto a tale ultimo punto, il Tribunale ha accreditato il contenuto di pareri degli organi competenti, concernenti il ruolo mantenuto dall'imputato dopo la morte del fratello e la vitalità della cosca mafiosa di riferimento nel territorio di Gela. Il Tribunale ha anche analizzato e disatteso la capacità dimostrativa delle evenienze addotte dalla difesa - essenzialmente tutte correlate a fatti della esperienza giudiziaria e penitenziaria del ricorrente - esercitando il potere discrezionale che gli compete nella analisi degli elementi probatori ed osservando che tutti i particolari di fatto segnalati e comprovati dalla difesa sono, a suo motivato parere, inidonei a vanificare in radice quella capacità di collegamento con l'organizzazione mafiosa, già dimostrata alla luce delle emergenze ricordate e connessa essenzialmente al ruolo apicale che risulta proprio del ricorrente in seno all'organizzazione. Ciò posto, è di tutta evidenza che la insoddisfazione della difesa a proposito della interpretazione data dal Tribunale agli elementi da essa addotti, è capace di sostanziare la denuncia di un vizio di insufficienza o manifesta illogicità della motivazione il quale, tuttavia, per le ragioni anticipate in premessa, non è deducibile nella materia de qua. Infatti, si tratta della rappresentazione di una possibile diversa interpretazione delle stesse emergenze, laddove il Tribunale si è perfettamente attenuto ai criteri posti dalla Cassazione e derivanti dall'novellato articolo 41 bis, secondo i quali, la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione criminale è deducibile anche dal profilo criminale e dalla posizione rivestita dal soggetto in seno all'associazione, in una con la perdurante operatività del sodalizio criminale e senza che il decorso del tempo possa costituire, di per sé, elemento sufficiente ad escludere la capacità di mantenere i detti collegamenti. 2 Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna del ricorrente al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000. PQM Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a versare alla cassa delle ammende la somma di euro 1000. Così deciso im Roma il 22 novembre 2013 il Cons. est.

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