Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8438 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8438 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAGANA’ DOMENICO N. IL 14/06/1971
avverso il decreto n. 82/2011 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 16/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere ott. GER
lette/sette le conclusioni del PG Dott. ;o41/4(14,2ir S A B,E
4OZE ;
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j’.
I

Uditi difensor Avv.;

4,0

7lì – 041

Data Udienza: 16/10/2013

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Reggio Calabria, con decreto del 16 novembre
2012, ha confermato il decreto del 26 ottobre 2010 del Tribunale di Reggio

appartenenza al clan mafioso denominato cosca Gioffrè nonché di detenzione e
trasporto abusivo di armi, la misura di prevenzione personale della sorveglianza
speciale per la durata di anni tre e dell’obbligo di soggiorno nel Comune di
residenza.
2. Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) la illogicità della motivazione in ordine all’affermata sussistenza, in
contrasto con le allegazioni defensionali, della pericolosità sociale;
b) una violazione di legge e in particolare dell’articolo 7 della legge
1423/56 in tema di revoca della misura di prevenzione.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria
scritta, ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei relativi motivi.
2.Giova premettere, in diritto e in generale, come il sindacato di
legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione, in coerenza con la natura
e la funzione del relativo procedimento, sia limitato alla violazione di legge (L. n.
1423 del 1956, articolo 4, comma 11) e non si estenda al controllo dell’iter
giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto mancante, nel qual
caso ci sarebbe, comunque, violazione di legge.
La riserva del ricorso in materia di prevenzione alla “violazione di legge”
non consente di dedurre il vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 606
cod.proc.pen., comma 1, lett. e), perché il motivo preveduto da tale norma si
riferisce all’articolo 192 cod.proc.pen., che disciplina la valutazione di prova del
fatto costitutivo di reato.
Come tale si tratta di motivo inconciliabile con il fine del procedimento
che, giurisdizionalizzato per affinità alla materia penale, ha ad oggetto quella
1

Calabria, che aveva disposto nei confronti di Laganà Domenico, indiziato di

amministrativa di prevenire un pericolo per se stesso, cioè presunto per
“elementi di fatto”.
Il controllo di motivazione del provvedimento, perciò qualificato decreto,
consiste solo nella verifica di rispondenza degli elementi esaminati ai parametri
legati che, imposti da ciascuna norma per l’applicazione della singola misura,
sono vincolanti a differenza dei liberi criteri valutativi, autorizzati dall’articolo 192

Pertanto o il decreto offre elementi e ne trae inferenza secondo parametri
prestabiliti o la sua motivazione è solo apparente.
Nel primo caso non è censurabile, perché il motivo sfocia inevitabilmente
in una alternativa di merito.
Di qui la riserva del ricorso (v. Cass. Sez. V 8 aprile 2010 n. 19598).
3. Nella specie con riferimento al primo motivo, il ricorrente, confuta,
nell’illustrazione delle doglianze, la motivazione del provvedimento impugnato,
nella chiara prospettiva di accreditare una diversa interpretazione delle
circostanze di fatto emerse e di togliere così valenza agli elementi posti a base
del giudizio di pericolosità sociale formulato e della misura di prevenzione
adottata.
Il decreto impugnato è sorretto, di converso, da un apparato
argomentativo corretto e correlato alle risultanze in atti, le quali sono state
apprezzate e valutate nel pieno rispetto di principi normativi esattamente
interpretati e applicati, sicché non è a parlarsi di motivazione mancante o
apparente.
È il caso di sottolineare che la limitazione del ricorso alla sola “violazione
di legge” sia stata riconosciuta dalla Corte Costituzionale non irragionevole (v.
Sent. n. 321/2004), data la peculiarità del procedimento di prevenzione sia sul
piano processuale che su quello sostanziale.
4. Con riferimento al secondo motivo, la giurisprudenza di questa Corte
dopo alcune oscillazioni, si è consolidata nell’affermare che il provvedimento di
prevenzione, deliberato ai sensi della L. n. 575 del 1965, articolo 2-ter, comma
3, sia suscettibile di revoca ex tunc, a norma della L. 27 dicembre 1956, n. 1423,
articolo 7, comma 2, allorché sia affetto da invalidità genetica e debba
conseguentemente essere rimosso per rendere effettivo il diritto,
costituzionalmente garantito, alla riparazione dell’errore giudiziario, non ostando
al relativo riconoscimento l’irreversibilità della situazione determinatasi.
Da ciò l’ulteriore evidente corollario che muovendosi tale istituto, di
elaborazione prettamente giurisprudenziale, nello stesso ambito del rimedio
2

per la prova del fatto costitutivo di reato.

straordinario della revisione del giudicato penale di condanna, non può costituire
nuova prova una diversa valutazione tecnico-scientifica di dati già valutati, che si
tradurrebbe in un apprezzamento critico di emergenze oggettive già conosciute e
delibate nel procedimento (v. Cass. Sez. Un. 19 dicembre 2006 n. 57; Cass. Sez.
I 14 maggio 2008 n. 21369; Cass. Sez. II 14 maggio 2009 n. 25577; Cass. Sez.
I 22 settembre 2010 n. 36224 e da ultimo Cass. Sez. H 13 gennaio 2102 n.

A fondamento di tale statuizione sta il rilievo secondo il quale deve
reputarsi come soluzione costituzionalmente imposta quella di configurare,
attraverso la revoca in funzione di revisione, un rimedio straordinario teso a
riparare un errore giudiziario.
In vista di questo fine, hanno, infatti, sottolineato le Sezioni Unite di
questa Corte nella innanzi richiamata pronuncia e pur tenendo conto delle
diversità che caratterizzano le misure di prevenzione personali da quelle reali,
sarebbe infatti inconferente parlare di eterogeneità degli interessi tutelati, dato
che anche la lesione del diritto di proprietà appare quale violazione di bene
costituzionalmente protetto, al pari dell’ingiustificata limitazione di libertà.
Con la conseguenza che nulla impedisce di ritenere accomunati il regime
di revoca delle misure di prevenzione personali a quello reale della confisca,
nell’identità dell’interesse a predisporre un mezzo per la riparazione
dell’ingiustizia.
E ciò facendo leva sull’altra premessa, parimenti coniata dalla
giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la revoca di cui alla L. n. 1423 del
1956, articolo 7, poteva svolgere una funzione “vicaria” rispetto alla non prevista
possibilità di revisione, proprio nel campo delle misure di prevenzione personali.
Dunque, un istituto chiaramente dettato (quale appunto quello delineato
dalla L. del 1956, art. 7) per adeguare la misura di prevenzione personale ai
mutamenti di “pericolosità” del prevenuto (alla possibilità di revoca è infatti
affiancata quella di modifica della misura) è stato “plasmato” dalla
giurisprudenza per annettervi la eccezionale portata di rimedio volto a
determinare la rimozione ex tunc della misura, sulla falsariga di una “revisione”
del relativo “giudicato”.
E da ciò si è tratto spunto per giustificarne l’ulteriore, sensibile
“passaggio” della identica estensione interpretativa anche nel campo delle
misure di prevenzione patrimoniali, sempre nella prospettiva di colmare un vuoto
normativo derivante dalla inesistenza di una impugnazione straordinaria
corrispondente a quella della revisione del giudicato, posto che, altrimenti,
3

4312).

sarebbe perdurata nel sistema una inaccettabile carenza di strumenti normativi
che dessero attuazione al disposto costituzionale (art. 24, u.c.), il quale impone
che la legge determini le condizioni e i modi per la riparazione degli errori
giudiziari.
Posto, quindi, che il ricorrente si è limitato a riproporre una semplice
lettura alternativa delle stesse emergenze già delibate in sede di prevenzione, ed

e del tutto esauriente replica, e poiché, dunque, risulta in ogni caso del tutto
carente la prospettazione di un novum, decisivo agli effetti della ammissibilità
della domanda di revoca, il ricorso ora proposto deve ritenersi inammissibile.
5. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile e il
ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di
denaro in favore della Cassa delle Ammende.
P.T.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore
della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 16 ottobre 2013.

a fronte delle quali, per di più, i Giudici della prevenzione hanno fornito adeguata

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