Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8433 del 20/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8433 Anno 2014
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORASTEFANO VINCENZO N. IL 02/06/1973
TUNNO MADDALENA N. IL 04/11/1951
avverso l’ordinanza n. 18/2011 CORTE APPELLO di CATANZARO,
del 13/07/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO BEVERE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/09/2013

FATTO E DIRITTO
Con decreto 13.7.2012, la corte di appello di Catanzaro ha revocato — a seguito di impugnazione di
Forastefano Vincenzo e della terza interessata Tunno Maddalena- il decreto 22.9.2010 applicativo
della misura di prevenzione della confisca, limitatamente ad alcuni beni ( due auto e due
motoveicoli ) e ne ha ordinato la restituzione al Forastefano.
La corte ha confermato la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di P.S. nei
confronti del Forastefano per la durata di tre anni, con obbligo di soggiorno nel comune di
residenza, nonché la misura di prevenzione della confisca di altri beni.
Nell’interesse di del Forastefano e della Turno è stato presentato ricorso con cui viene proposta la
doglianza di violazione di legge per omessa motivazione o motivazione apparente in tema di
attualità della pericolosità sociale del Forestafano ,con particolare riguardo a dati storici quali
a) il decorso di ben tre anni dalla data di applicazione della misura della custodia cautelare (
avvenuta a seguito di emissione di ordinanza coercitiva 2 luglio 2007) per il reato
associativo di tipo mafioso , ex art. 416 bis c.p., in relazione al clan Forastefano ,attivo ed
operante nella Piana del Sibari, per estorsione aggravata ex art. 7 L.203/1991,per usura,
reati commessi ,senza soluzione di continuità, dal 2003;
b) il rigoroso regime carcerario (ex art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario), presso l’istituto
carcerario di Milano-Opera, quindi in luogo distante dal territorio in cui è radicata
l’associazione mafiosa.
Quanto alla misura di prevenzione personale, nel ricorso è stata rilevata anche l’entità
sproporzionata della sua durata rispetto all’entità della pena detentiva inflittagli nel procedimento
in corso, con sentenza emessa a conclusione del primo grado di giudizio.
Nel ricorso è anche censurata la motivazione in ordine alla conferma della confisca dei beni mobili
ed immobili ,ritenuti senza adeguata giustificazione riferibili alla effettiva disponibilità del
Forastefano e comunque di valore non giustificato dalla situazione reddituale del ricorrente e della
sua famiglia.
I ricorsi non sono meritevoli di accoglimento.
In via di premessa, va ribadito che in sede di legittimità,a1 di là della formale qualifica della
doglianza proposta ,non è deducibile il vizio di motivazione del provvedimento impugnato , a meno
che questa non sia del tutto carente, o presenti difetti tali da renderla meramente apparente e in
realtà inesistente ossia priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità; ovvero
quando la motivazione stessa si ponga come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo
logico seguito dal giudice di merito, oppure, ancora, allorché le linee argomentative del
provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare
oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione della misura.
Nel caso in esame, tali carenze non sono assolutamente riscontrabili nel decreto della corte di
appello, che
– ha, con incensurabile precisione, ricostruito le vicende della vita del ricorrente, sino alla
fine della sua latitanza, conclusasi nella seconda metà del 2008,
– ha preso atto della attualità della sua pericolosità sociale , desunta dal tipo di reato
associativo contestato e dai persistenti legami con gli ambienti mafiosi del territorio,
manifestatisi particolarmente nel corso dell’ampia durata dello stato di latitanza.
Va, a questo punto, ribadito l’orientamento giurisprudenziale, secondo cui,ai fini dell’applicazione
di misure di prevenzione nei confronti di appartenenti ad associazioni di tipo mafioso, non è
necessaria alcuna particolare motivazione in punto di attuale pericolosità, una volta che
l’appartenenza risulti adeguatamente dimostrata e non sussistono elementi dai quali
ragionevolmente desumere che essa sia venuta meno per effetto del recesso personale, non essendo
in questo senso dirimente né il decorso del tempo né l’eventuale restrizione carceraria, in presenza
della quale, però, il giudice deve specificamente motivare sull’assenza di comportamenti indicativi
di un effettivo recesso.

Nel caso in esame ,la corte ha preso atto della mancata allegazione, da parte della difesa, di
qualsiasi elemento concreto da cui desumere che alla lunga detenzione siano seguiti indici di
risocializzazione o comunque elementi dimostrativi di un concreto recesso dal gruppo di
appartenenza. Il ricorrente si è limitato,invece, ad invocare la qualità di detenuto , ritenendola senza
alcuna giustificazione- idonea a svalutare le consistenti circostanze di fatto emergenti dalla sua
attività illecita, scandita dalla sua biografia giudiziaria e carceraria. Sotto quest’ultimo profilo, va
anche richiamata l’attuale situazione di detenuto sottoposto al regime differenziato ex art. 41 bis
o.p., che presuppone proprio l’attualità della pericolosità sociale del detenuto e la persistenza di
collegamenti con la criminalità organizzata.
Proprio l’accertata pericolosità attuale del Forastefano giustifica ampiamente la durata e
l’imposizione dell’obbligo di soggiorno nel luogo di residenza.
Quanto alle censure sul provvedimento della confisca, la corte di appello, con esame completo ed
approfondito dei dati contabili e catastali , ha rilevato che, nel periodo di riferimento del decreto
applicativo della misura patrimoniale, i beni mobili e i costi di costruzione e ristrutturazione
dell’immobile ,realizzato su terreno di proprietà della madre Tunno Maddalena,oltre ad essere
riconducibili all’effettiva disponibilità del Forastefano Vincenzo, non sono razionalmente correlati
all’effettiva situazione reddituale del predetto e del suo nucleo familiare.
Questa articolata ricostruzione di dati di fatto e la loro razionale valutazione rendono del tutto
insindacabile la decisione della corte di merito sulla conferma della confisca dei beni , alla luce
dell’ accertata appartenenza dello stesso alla suindicata associazione mafiosa, denominata clan
Forastefano.
Quanto al ricorso presentato nell’interesse della Tunno Maddalena, terza interessata va rilevata – al
di là della evidente assenza di argomenti critici, specificamente attinenti alla situazione patrimoniale
della ricorrente- la validità del principio interpretativo , secondo cui per i terzi interessati, non
coinvolti direttamente nel procedimento di cognizione, di esecuzione o di prevenzione e quindi
portatori di interessi meramente civilistici, deve trovare applicazione la regola ex art. 100 c.p.p.,
che prevede espressamente per soggetti in pari condizione(la parte civile, il responsabile civile e la
persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) la legittimazione a stare in giudizio solo con il
ministero di un difensore munito di procura speciale (Sez. 6, 17 settembre 2009, n. 46429, Pace ed
altri).
La posizione processuale del terzo interessato è, infatti, nettamente distinta sotto il profilo difensivo
da quella dell’indagato, del proposto e dell’imputato che, in quanto assoggettati all’azione penale e
alla misura di prevenzione , possono stare in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi
di un difensore che, oltre ad assisterli, li rappresenti ex lege e che è titolare di un diritto di
impugnazione nell’interesse del proprio assistito per il solo fatto di rivestire la qualità di difensore,
senza alcuna necessità di procura speciale, che è imposta solo per i casi di atti cd. personalissimi.
Non così per il terzo interessato, perché questi, al pari dei soggetti indicati dall’art. 100 c.p.p., è
portatore di interessi civilistici, per cui esso, oltre a non poter stare personalmente in giudizio, “ha
un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura speciale al
difensore”, come del resto avviene nel processo civile ai sensi dell’art. 83 c.p.c.. Nel caso di specie,
agli atti non risulta alcuna procura speciale rilasciata ai difensori , avvocati Nicola Rendace e
Roberto Le Pera.,che hanno sottoscritto il ricorso per cassazione.
I ricorsi vanno quindi dichiarati inammissibili con condanna di ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
PQM
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento ciascuno delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Gaetantno Zecca

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