Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8430 del 17/01/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8430 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

Data Udienza: 17/01/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CASTALDO GIUSEPPE N. IL 27/09/1969
CASTALDO VIRGINIO LUIGI N. IL 07/08/1969
CASTALDO FRANCO N. IL 17/12/1976
CASTALDO ROSARIO N. IL 01/01/1984
DE FILIPPIS PASQUALE N. IL 08/01/1952
GUERCIA SALVATORE N. IL 07/10/1969
MOSCATIELLO ANNA N. IL 13/01/1970
VACCARO GIOVANNI N. IL 30/11/1970
VALENTINO GIUSEPPE N. IL 09/06/1973
VOLPE AMALIA N. IL 29/08/1975
avverso la sentenza n. 8380/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
26/04/2012
visti gli atti, la sentenza e dricorso,
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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Ritenuto in fatto

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1. Con sentenza del 26/04/2012, la Corte d’appello di Napoli, per quanto ancora rileva ha
condannato alla pena ritenuta di giustizia: A) Giuseppe Castaldo, Amalia Volpe, Pasquale De
Filippis, Virginio Luigi Castaldo, Rosario Castaldo, Franco Castaldo, Salvatore Guercia,
Giuseppe Valentino, in relazione al reato di cui all’art. 416

bis cod. pen., assegnando a

Giuseppe Castaldo e a Virginio Luigi Castaldo il ruolo di vertice del clan omonimo (capo a);
B) Salvatore Guercia, in relazione ad un’estorsione consumata in danno di Guido Galdi (capo
b); C) Anna Moscatello e Giovanni Vaccaro, in relazione al delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n.

D.P.R. n. 309 del 1990 (capo n).
2. Sono stati proposti distinti ricorsi per cassazione nell’interesse di Giuseppe Castaldo e
Amalia Volpe, Pasquale De Filippis, Virginio Luigi Castaldo, Rosario Castaldo e Franco
Castaldo, Salvatore Guercia, Anna Moscatello, Giovanni Vaccaro e Giuseppe Valentino.
3. Il ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe Castaldo e Amalia Volpe a firma dell’aw.
Claudio Sgambato, si affida ai seguenti motivi.
3.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione degli artt. 192, 268 e
271 cod. proc. pen.
In particolare, si critica il fatto che siano state ritenute utilizzabili le intercettazioni ambientali
operate presso la sala ascolto del carcere di Poggioreale e di Secondigliano, nonostante che i
decreti del P.M. non motivassero, nel rispetto dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., in
ordine all’impossibilità di utilizzare gli impianti installati presso la Procura della Repubblica
nonché in ordine alle ragioni di eccezionale urgenza.
Sotto il primo profilo, si rileva che la possibilità di utilizzare microtrasmettitori su linea
telefonica ad alta sensibilità rende priva di fondamento la motivazione basata sulla necessità
di punti di ascolto vicino alla fonte intercettata.
Sotto il secondo profilo, si osserva che l’inesistenza di ragioni di urgenza è comprovata sia
dal fatto che tra la richiesta della P.G. di operare intercettazioni ambientali e l’inizio delle
operazioni era decorso quasi un mese, sia dal fatto che solo dopo oltre un anno erano state
richieste misure coercitive. Si aggiunge, infine, che le ragioni d’urgenza neppure potevano
essere rawisate nella necessità di identificare i colloquianti, dal momento che tale risultato
era conseguibile attraverso le riprese video — filmate e i registri dei colloqui.
3.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione
agli artt. 192, 238 e 238 bis cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale ritenuto provati
fatti la cui sussistenza risulta da sentenze non passate in giudicato.
3.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e inosservanza degli artt. 111 Cost.,
190 bis, 238 e 469 cod. proc. pen.
Al riguardo, si reitera l’eccezione di inutilizzabilità dei verbali di dibattimento relativo ad altro
procedimento, per essere gli stessi stati acquisiti in violazione dell’art. 468, comma 4 bis,
cod. proc. pen. Si aggiunge comunque che, sebbene il Tribunale avesse circoscritto,

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309 del 1990 (capo p); D) il medesimo Vaccaro, in relazione al delitto di cui di cui all’art. 73

nell’ordinanza letta all’udienza del 26/05/2009, l’utilizzabilità di tali verbali nei soli confronti
degli imputati i cui difensori avevano partecipato all’assunzione della prova, di fatto si era
tenuto conto di siffatte risultanze anche nei riguardi di soggetti estranei, quali proprio la
Volpe.
3.4. Con il quarto motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli arti. 192, 530,
533 cod. proc. pen. e 416 bis, cod. pen., deducendo il travisamento della prova e del fatto.
In particolare, si censura la sentenza impugnata per avere affermato la colpevolezza dei
ricorrenti, pur in assenza di una prova tranquillizzante in ordine alla sussistenza della
struttura organizzativa della contestata associazione nonché della forza intimidatrice del
vincolo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà.
Si rileva l’assenza di un’adeguata dimostrazione del dolo specifico richiesto dalla fattispecie
incriminatrice e del contributo causale fornito alla consorteria; si sottolinea che i ricorrenti
erano stati assolti da tutti i reati — fine loro contestati.
A tal riguardo, in ricorso si rileva: a) che il Castaldo, per quasi tutti i periodi interessati era
stato detenuto e aveva anche presentato alla Corte d’appello istanza per poter lavorare
presso un’impresa di Mantova; b) che anche dall’intercettazione ambientale del 10/05/2007
emergeva l’estraneità del Castaldo tanto ai reati fine, quanto all’ipotesi associativa; c) che
del pari era stato trascurato quanto emerso nel controesame di Giovanni Vaccaro, ossia che
quest’ultimo aveva appreso dalla Volpe che ella e il marito non “volevano sapere più niente e
che a comandare a Marigliano era un altro”; d) che il Castaldo aveva riportato un’unica
condanna come partecipante ad un’associazione criminale per fatti risalenti all’inizio degli
anni ’90 e che era stato assolto in secondo grado dalla contestazione relativa all’omicidio di
Antonio Calvanese; e) che anche le dichiarazioni degli ufficiali di P.G. sentiti in dibattimento
non avevano apportato elementi concreti a sostegno dell’esistenza di un clan capeggiato dal
Castaldo, il quale aveva avuto solo sporadiche e risalenti frequentazioni con qualcuno dei
coimputati, aveva lavorato dopo la scarcerazione, non era stato neanche menzionato da una
persona offesa di un episodio estorsivo (Guido Galdi); f) che, nelle intercettazioni ambientali,
il Castaldo e la moglie non parlano mai di estorsioni o di soldi da dividere, né il primo
fornisce istruzioni alla seconda o al cognato, in ordine a illeciti da compiere, come
comprovato dal fatto che la stessa P.G. non aveva avanzato richiesta di proroga delle
intercettazioni; g) che neppure le intercettazioni — generiche e prive di qualunque elemento
di riscontro – tra Virginio Luigi Castaldo e i suoi familiari erano in grado di superare la
situazione di incertezza derivante dai sopra ricordati elementi istruttori, anche alla luce dei
rapporti, non buoni, tra il ricorrente e Virginio Luigi Castaldo e del fatto che tali
conversazioni, proprio per il loro carattere non formale, potevano essere caratterizzate da
superficialità, disimpegno e disattenzione.
3.5. Con il quinto motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione dell’art. 62 bis cod.
pen., criticando il silenzio della sentenza impugnata sul mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche in favore della Volpe, nonostante la sua incensuratezza, il ruolo

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minimale che avrebbe ricoperto nell’associazione, il suo impegno familiare e lavorativo e il
continuo tentativo di allontanare il marito da Marigliano.
4. Il ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe Castaldo, Amalia Volpe e Pasquale De
Filippis, a firma dell’Avv. Bruno Spiezia, si affida ai seguenti motivi.
4.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali nonché inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale.
In particolare, si rileva: a) che le dichiarazioni etero — accusatorie emergenti dalle
conversazioni intercettate si traducono nel commento dei fatti in via familiare da parte di
soggetti, i quali non appaiono coinvolti in alcuna attività associativa, della quale non
riferiscono alcun elemento strutturale o organizzativo (quali gradi, funzioni, leggi interne,
criteri di autofinanziamento e di “mutuo soccorso”); b) che dagli elementi acquisiti non
emerge una struttura di vertice, tipica delle associazioni di cui all’art. 416 bis cod. pen., alla
quale possano fare riferimento tutte le articolazioni territoriali; c) che, pertanto, non
emergono dalla sentenza i tipici elementi costitutivi dell’associazione di tipo mafioso,
giacché, oltre alla mancata individuazione dei reati fine, risulta dalla sentenza impugnata una
struttura che vede, da un lato, Giuseppe Castaldo e la moglie, Amalia Volpe, e, dall’altro,
Virginio Luigi Castaldo, come soggetto autonomo, indipendente ed estraneo; d) che, in
definitiva, anche la cooptazione del De Filippis era meramente occasionale; e) che, in
definitiva, i tre ricorrenti non hanno fornito alcun apporto alla consorteria criminale; f) che
neppure emerge dalle captazioni la realizzazione da parte del cd. clan Castaldo di alcuno
degli scopi programmatici, contemplati dal comma terzo dell’art. 416 bis cod. pen.
Nelle successive articolazioni del ricorso, oltre a riproporre le considerazioni sopra riassunte

sub 3.4. cui si rinvia per comodità espositiva, si sottolinea: il carattere assolutamente
equivoco del contenuto delle intercettazioni delle conversazioni intercorse tra Giuseppe
Castaldo e la moglie e di quelle awenute tra Virginio Luigi Castaldo e i suoi familiari; si
ribadisce l’assenza degli elementi strutturali della fattispecie contestata; con riferimento
specifico alla posizione del De Filippis, si precisa che lo stesso è stato individuato sulla base
di dichiarazioni prive di alcuna attendibilità.
4.2. Con un secondo motivo si denunciano vizi motivazionali e violazione di legge, in
relazione al disposto aumento per la recidiva contestata, avente natura facoltativa.
In particolare, si sottolinea che la sentenza non illustra le ragioni della rilevanza dei
precedenti penali in relazione ai nuovi fatti oggetto del processo.
Con ulteriore articolazione del motivo, si lamenta: a) il mancato esame delle richieste
subordinate e fondate sugli artt. 81, 114, 116, 62 bis, 133, 88, 89, 90, cod. pen. e 196 cod.
proc. pen.; b) con specifico riferimento alla richiesta di concessione delle attenuanti
generiche, l’irrilevanza della gravità del fatto; c) l’omessa ponderazione dei parametri previsti
dall’art. 133 cod. pen.
5. Il ricorso proposto dall’Avv. Giovanni Bianco nell’interesse di Pasquale De Filippis è
affidato ai seguenti motivi.

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5.1. Con il primo motivo, si lamenta inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 192,
267, 268, 271 cod. proc. pen.
L’articolato motivo ribadisce, innanzi tutto, l’inutilizzabilità delle intercettazioni sotto vari
profili. Al riguardo, si rileva: che la motivazione dei decreti autorizzativi, ritenuta legittima dal
Tribunale del riesame in ragione dell’essere il Castaldo affiliato ai gruppi camorristici
dell’organizzazione vesuviana, era inadeguata, giacché valorizzava la personalità
dell’indagato, anziché la sussistenza dei gravi indizi di reato e l’indispensabilità delle
intercettazioni; che, in ogni caso, queste ultime erano state operate in palese violazione
dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen.
Nel merito, il ricorrente osserva: a) che le dichiarazioni del coimputato Vaccaro erano
assolutamente inidonee a sorreggere l’accusa; b) che le intercettazioni ambientali tra
Giuseppe Castaldo e la moglie erano irrilevanti o al più equivoche, quantomeno con
riferimento alla posizione del medesimo De Filippis — peraltro identificato sulla scorta di un
nomignolo appartenente a tutta la sua famiglia -, assolto dall’unico fatto estorsivo a lui
contestato; c) che le generiche affermazioni emergenti da siffatte intercettazioni erano
assolutamente prive di riscontro in altri elementi di supporto; d) che nessun teste aveva
potuto riferire di frequentazioni del De Filippis con altri associati, se si esclude il rapporto con
il Pianese, il quale, peraltro, non era chiamato a rispondere di alcun fatto estorsivo; e) che
pessimi erano i rapporti tra il ricorrente e Giuseppe Castaldo, al punto che il primo aveva
aggredito il secondo, presunto organizzatore e promotore del clan, costringendolo a ricorrere
alle cure ospedaliere.
5.2. Con il secondo motivo, richiamando le considerazioni appena riportate, si lamentano, in
primo luogo, vizi motivazionali della sentenza impugnata, dal momento che l’incertezza del
quadro probatorio non consentiva di raggiungere una certezza, al di là di ogni ragionevole
dubbio, in ordine alla responsabilità del ricorrente.
Con ulteriore articolazione, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione
al disposto aumento di pena per la contestata recidiva.
6. Il ricorso proposto nell’interesse di Virginio Luigi Castaldo si affida ai seguenti motivi.
6.1. Con un motivo non numerato, contenuto nella Breve premessa in fatto del ricorso, si
censura la mancata applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti del presente
procedimento e quelli giudicati dal Tribunale di Noia con sentenza del 10/07/2009, aventi ad
oggetto un estorsione aggravata dall’art. 7 I. n. 203 del 1991, in quanto commessa per
agevolare il clan Castaldo. Al riguardo, si osserva che erroneamente la Corte territoriale
aveva ritenuto non passata in giudicato la decisione della Corte d’Appello che aveva
confermato la sentenza del Tribunale di Noia.
6.2. Con il primo motivo del ricorso, si lamentano vizi motivazionali, criticando il mero
richiamo per relationem della sentenza impugnata alle argomentazioni del giudice di prime
cure, senza una valutazione critica dei motivi di impugnazione.

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6.3. Con il secondo motivo del ricorso si lamentano vizi motivazionali ed erronea applicazione
degli arti. 192 e 533 cod. proc. pen.
In particolare, si critica la decisione della Corte d’Appello, per avere ritenuto la sussistenza d
un organismo bicefalo, diretto fra l’altro anche dal ricorrente, alla stregua di intercettazioni, il
cui contenuto non era stato reputato sufficiente a fondare l’affermazione di responsabilità
per specifici fatti di reato e il cui tenore effettivo era stato oggetto di una lettura alternativa
da parte degli imputati.
Il ricorrente aggiunge che in primo grado, prima ancora del deposito della trascrizione del

lettura delle conversazioni, per poi richiedere agli stessi una personale interpretazione o
commento.
Inoltre, interpretando le intercettazioni non come mezzo di ricerca della prova, ma come
prova, la Corte territoriale aveva finito per trascurare la rilevanza delle indagini con esito
negativo e l’assenza di riscontri esterni che comprovassero quanto emergeva dalle
conversazioni, ad esempio, in ordine alla struttura organizzativa, alla stessa attuazione delle
indicazioni fornite dal ricorrente e all’effettivo verificarsi di fatti estorsivi. Anzi, i giudici di
merito neppure avevano ritenuto di ascoltare le vittime delle presunte estorsioni, in ragione
della ritenuta difficoltà di individuazione ovvero della convinzione di non poter contare sulla
loro collaborazione.
6.4. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli arti. 62 bis e 133
cod. pen., criticando l’assenza di giustificazioni concernenti il diniego delle circostanze
attenuanti generiche e la determinazione della pena, anche in vista del principio di
ragionevolezza e della finalità rieducativa della sanzione.
7. Il ricorso proposto nell’interesse di Franco Castaldo e Rosario Castaldo si affida ai seguenti
motivi.
7.1. I primi due motivi sono, in punto di diritto, sovrapponibili a quelli sopra esaminati sub
6.2. e 6.3. e, pertanto, per comodità espositiva, ad essi si rinvia, con la precisazione che,
con riferimento alla posizione di entrambi i ricorrenti, si aggiunge l’assenza di qualunque
dimostrazione in ordine all’effettiva attuazione delle indicazioni fornite dal fratello Virginio
Luigi.
7.2. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli arti. 62 bis e 133
cod. pen. Oltre a considerazioni sovrapponibili a quelle riassunte sub 6.4., a proposito del
ricorso proposto nell’interesse di Castaldo Virginio Luigi, si sottolinea l’incensuratezza di
entrambi gli imputati, impegnati, prima della vicenda processuale, nella loro attività
lavorativa.
8. Il ricorso proposto nell’interesse del Guercia si affida ai seguenti motivi.
8.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, criticando la sentenza impugnata
per avere affermato la responsabilità del ricorrente, senza procedere ad una compiuta
istruttoria (anche attraverso l’esame delle persone offese) e affidandosi ai commenti e alle

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contenuto delle intercettazioni, erano stati ascoltati dei testimoni, ai quali era stata data

considerazioni del maresciallo Naro, anche con riferimento al significato delle intercettazioni,
il cui contenuto era stato frammentato e decontestualizzato.
In definitiva, non era emersa una prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, della
partecipazione del ricorrente ad una associazione criminale, in quanto: a) la commissione di
un delitto con modalità mafiose, non implica necessariamente la partecipazione dell’autore
ad un sodalizio con tali caratteristiche; b) il Guercia era stato condannato per un episodio
estorsivo, ma la sentenza non era divenuta irrevocabile; c) le intercettazioni nelle quali si
sarebbe parlato, secondo la sentenza impugnata, del Quercia, non erano a lui univocamente

caso si parlava di lui; d) che anche la partecipazione all’estorsione in danno del Galdi non era
di per sé idonea a fondare la dimostrazione dell’appartenenza all’associazione.
Con un’ultima articolazione del motivo, dedicata a quest’ultimo episodio, rileva il ricorrente
che la valenza intimidatoria della richieste, non accompagnata da minacce manifeste, non
sussisteva, proprio per la provenienza da una persona, il ricorrente, legato al Galdi da un
risalente rapporto di conoscenza.
8.2 Con il secondo motivo si lamenta la mancanza o carenza della motivazione in ordine al
diniego delle circostanze attenuanti generiche.
9. Il ricorso proposto nell’interesse di Anna Moscatello è affidato ai seguenti motivi.
9.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali in ordine all’affermazione di
responsabilità della ricorrente, sottolineando: a) che le affermazioni contenute nelle
conversazioni intercettate e le dichiarazioni rese dal Vaccaro —oltretutto ritenute dal
Tribunale e dalla Corte territoriale inadeguate nella loro rilevanza probatoria eteroaccusatoria – non erano sostenute da alcun elemento di riscontro oggettivo; b) che, anzi,
dall’istruttoria dibattimentale erano emersi elementi del tutto contrastanti con l’ipotesi
accusatoria; c) che, infatti, non era mai stato effettuato a carico della ricorrente alcun
sequestro di sostanza stupefacente, né mai erano stati rinvenuti gli strumenti abitualmente
utilizzati nell’attività di spaccio; d) che, pertanto, non era stata acquisita alcuna prova certa
in ordine alla detenzione di cocaina e alla sua quantità e qualità né in ordine alla cessione
della stessa; e) che la dimostrazione della responsabilità della ricorrente non poteva essere
fondata sulle frequentazioni — peraltro indimostrate -della stessa e del marito con esponenti
della malavita locale.
9.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali nonché erronea applicazione
dell’art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto la valorizzazione, da parte della
Corte territoriale, al fine di escludere l’applicabilità di quest’ultima norma, dell’esistenza d
una pur rudimentale organizzazione, trascurava di considerare: a) che alla ricorrente era
contestata non la fattispecie associativa, ma il concorso nel reato; b) in ogni caso, che
l’esistenza di una stabile organizzazione non preclude l’operatività del quinto comma del cit.
art. 73; c) che anche l’affermato carattere non occasionale dell’attività rappresentava un
presupposto indìmostrato in quanto l’episodio contestato alla ricorrente è uno soltanto.

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riferibili, giacché si menzionavano più personaggi con il nome “Totore”, mentre solo in un

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9.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli art. 132 e 133 cod.

pen., criticando la mancata giustificazione del modo di esercizio del potere discrezionale in
tema di determinazione della pena e sottolineando che alla ricorrente era stata applicata la
stessa pena base utilizzata per il Vaccaro, ritenuto responsabile anche di altro reato.
10. Il ricorso proposto nell’interesse del Vaccaro si affida ai seguenti motivi.
10.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali in ordine all’affermazione di
responsabilità dell’imputato, sottolineando: a) che le affermazioni contenute nelle
conversazioni intercettate e le dichiarazioni rese dal Vaccaro —oltretutto ritenute dal

accusatoria e contraddittoriamente ritenute significative sul piano auto-accusatorio – non
erano sostenute da alcun elemento di riscontro oggettivo; b) che, anzi, dall’istruttoria
dibattimentale erano emersi elementi del tutto contrastanti con l’ipotesi accusatoria; c) che,
infatti, non era mai stato effettuato a carico del ricorrente alcun sequestro di sostanza
stupefacente, né mai erano stati rinvenuti gli strumenti abitualmente utilizzati nell’attività di
spaccio; d) che, pertanto, non era stata acquisita alcuna prova certa in ordine alla
detenzione di cocaina e alla sua quantità e qualità né in ordine alla cessione della stessa; e)
che la dimostrazione della responsabilità del ricorrente non poteva essere fondata sulle
frequentazioni — peraltro indimostrate -dello stesso con esponenti della malavita locale.
10.2. Il secondo motivo è sostanzialmente sovrapponibile a quello sopra riassunto sub 9.2.,
sicché può ad esso rinviarsi per comodità espositiva.
10.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli art. 62 bis cod.
pen. e dell’art. 8 I. n. 203 del 1991, criticando il mancato riconoscimento delle attenuanti
previste dalle norme menzionate.
Sotto il primo profilo, si denuncia l’assoluta assenza di argomentazioni; sotto il secondo
profilo, si rileva che il contributo collaborativo del Vaccaro si era sviluppato proprio in
relazione al reato dì cui all’art. 416 bis cod. pen., contestato a molti dei coimputati del
ricorrente e, inizialmente, anche a quest’ultimo.
11. Il ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe Valentino è affidato ad un unico motivo, con
il quale si lamentano vizi motivazionali, criticando il fatto che la responsabilità dell’imputato
per il reato associativo è stata ritenuta, pur in presenza dell’assoluzione dall’unico reato fine
contestato, sulla base del contenuto di intercettazioni, senza che mai emerso se i messaggi a
lui indirizzati siano mai giunti a destinazione e se mai egli vi abbia dato attuazione.

Considerato in diritto
1. Il ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe Castaldo e Amalia Volpe, a firma
dell’avv. Sgambato.
1.1. Il primo motivo è infondato.
Con riferimento alle censure articolate in relazione alla dedotta violazione dell’art. 268,
comma 3, cod. proc. pen., osserva la Corte quanto segue.

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Tribunale e dalla Corte territoriale inadeguate nella loro rilevanza probatoria etero-

La sentenza impugnata, al riguardo, ha rilevato correttamente che i decreti motivano circa la
sussistenza di problemi tecnici a svolgere le intercettazioni con traslazione in remoto dal
segnale e ha aggiunto che l’astratta possibilità tecnica di reperire materiale elettronico che
consenta una migliore trasmissione delle intercettazioni per via telefonica o radiomobile non
determina l’insorgere di un obbligo per gli inquirenti di procurarsi ogni volta il migliore
materiale in assoluto disponibile sul mercato. Ne deriva che l’indisponibilità di
apparecchiature particolarmente sofisticate rende evidente la necessità di salvaguardare le
ragioni di sicurezza evidenziate nel decreto del P.M., in relazione alla struttura all’interno
della quale dovevano essere svolte la captazioni, struttura che, considerate la
strumentazione disponibile, imponeva la tutela di ragioni di sicurezza che sarebbero state
compromesse da un allaccio con una sala d’ascolto all’esterno.
Ciò posto, le critiche del ricorrente rispetto a siffatto apparato motivazionale non colgono nel
segno, in quanto l’accertamento dell’insufficienza o dell’inidoneità degli impianti di
intercettazione esistenti presso la Procura della Repubblica è di competenza del pubblico
ministero e non richiede alcuna certificazione ulteriore, ove ne sia stato dato atto nel decreto
reso ai sensi dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 21644 del 13/02/2013,
Badagliacca, Rv. 255540).
Così come, va aggiunto il decreto del P.M. che autorizza l’uso di apparecchiature esterne
rispetto a quelle in dotazione negli uffici giudiziari è sufficientemente motivato con il
richiamo alla circostanza che la struttura carceraria rendeva impossibile, per fatto strutturale
dipendente da ragioni di sicurezza, l’allaccio ad una sala esterna (Sez. 1, n. 29188 del
29/03/2011, D’Iorio, Rv. 250754).
L’astratta possibilità di far ricorso ad altri strumenti di intercettazione non assume rilievo, in
quanto il presupposto assunto dall’art. 268, comma 3 del codice di rito è rappresentato
dall’inidoneità o insufficienza degli apparati in concreto a disposizione della Procura.
Quanto al requisito delle eccezionali ragioni d’urgenza, la Corte territoriale, premesso che
venivano in questione attività ascrivibili a soggetti considerati esponenti della criminalità
organizzata del nolano e tenuto conto della natura delle imputazioni, del clima di omertà
della collettività e delle persone offese, della necessità di predisporre immediate e successive
attività investigative e della necessità di registrare nell’immediatezza, subito dopo
l’esecuzione delle misure, i commenti dei destinatari, ha puntualmente sottolineato che
l’idoneità della motivazione dei decreti non può essere inficiata da circostanze emerse
successivamente, in quanto la sussistenza dei requisiti richiesti dal legislatore deve essere
verificata al momento dell’adozione del decreto, non potendosi prevedere né le eventuali
ragioni tecniche impeditive dell’immediata esecuzione delle operazioni, né, in base ad
emergenze investigative emerse a postenóri, lo sviluppo delle attività di indagini ulteriori o la
loro tempistica.
Siffatta motivazione si sottrae alle critiche sollevate, in quanto l’eccezionale urgenza deve
essere valutata con riferimento al momento dell’adozione del provvedimento del P.M. del

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quale rappresenta il presupposto, senza che, in senso contrario, depongano i necessari
tempi attuativi o le successive determinazioni investigative.
1.2. Inammissibile per genericità è il secondo motivo, a fronte della motivazione contenuta a
pag. 16 della sentenza impugnata (le sentenze non irrevocabili possono essere utilizzate
come documenti in altro procedimento solo per i fatti documentali rappresentati e non per la
ricostruzione dei fatti e dei ragionamenti probatori).
1.3. Infondato è il terzo motivo, in quanto l’inosservanza delle formalità prescritte dall’art.
468, comma 4 bis cod. proc. pen., per l’acquisizione di verbali di prove di altro

ordine generale, né di inutilizzabilità, derivando quest’ultima dalla violazione di un divieto di
acquisizione, che, quando non è esplicito, è ravvisabile soltanto in relazione alla natura o
all’oggetto della prova e non in relazione alle modalità della sua assunzione (Sez. 3, n. 35865
del 07/06/2011, Brotini, Rv. 250855).
Del tutto generica è poi la censura relativa all’utilizzazione di tali verbali in danno della Volpe,
la cui responsabilità riposa essenzialmente sul contenuto delle intercettazioni ambientali.
1.4. Infondato è altresì il quarto motivo.
Va, premesso, in linea generale, che, ai fini dell’affermazione di responsabilità di un soggetto
imputato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, non è necessario che egli
abbia personalmente posto in essere singole attività delittuose, essendo sufficiente la sua
aggregazione ad una organizzazione che abbia le caratteristiche di cui all’articolo 416

bis

cod. pen., in quanto in tal modo diventa organico alla stessa e si rende partecipe delle
iniziative criminose poste in essere dai suoi membri (Sez. 5, n. 1631 del 11/11/1999 – dep.
11/02/2000, Bonavota, Rv. 216264).
Ne discende, sul piano generale, l’irrilevanza dello specifico accertamento di reati — fine,
puntualmente determinati nelle loro componenti oggettive e soggettive.
Ciò posto, l’esistenza di una struttura organizzativa dell’associazione non postula affatto,
secondo quanto affermato in ricorso, l’esatta individuazione di covi, auto o armi (a tacer del
fatto, a proposito di queste ultime, che la sentenza impugnata ha dato ampiamente conto
della loro esistenza a pag. 34, valorizzando sia l’episodio degli spari nel quartiere di
Pontecitra ai danni degli esponenti del clan avverso, sia della conversazione tra Virginio Luigi
Castaldo e il fratello Rosario nel corso del colloquio del 21/06/2007, riportato a pag. 202
della sentenza di primo grado), dal momento che, ai fini della configurabilità del reato in
esame è necessaria e sufficiente un’organizzazione di uomini e di mezzi, non tipizzata dal
legislatore secondo modelli predeterminati, sennpreché, awalendosi della forza di
intimidazione e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, sia diretta al
perseguimento dei fini indicati nell’art. 416 bis cod. pen.
E, nella specie, la Corte territoriale ha puntualmente sottolineato la tipologia organizzativa
del clan in esame, caratterizzato dal ruolo apicale di Giuseppe Castaldo e di Virginio Luigi

9

procedimento, non è causa di nullità, non ricadendo in alcuna previsione, espressa o di

Castaldo, i quali, anche in condizione di detenzione, hanno continuato a svolgere attività
estorsive, attraverso gli ordini dati nel corso dei colloqui in carcere.
La sentenza impugnata, infatti, dopo avere ricostruito il ruolo di Giuseppe Castaldo,
condannato con sentenza definitiva n. 10/1998 del Tribunale di Noia, unitamente al sodale
Antonio Capasso, come componente del clan Alfieri, ha ricordato che, per effetto della
disarticolazione di quest’ultimo gruppo, era divenuto operante in Marigliano il clan
Mazzarella, la cui esistenza risulta accertata dalla sentenza del 24/07/2007 del G.u.p. del
Tribunale di Napoli.
L’inserimento del Castaldo nello specifico contesto criminale emerge, peraltro, anche dalla
sua condanna per violazione della normativa sulle armi, con sentenza divenuta irrevocabile
nel 2004.
La decapitazione del clan Mazzarella, seguita all’operazione Rosa del deserto aveva condotto,
successivamente, prima al tentativo del Castaldo di tentare un accordo con Ferdinando
Autore, esponente di quel gruppo, e poi, una volta che il medesimo Castaldo era stato
scarcerato, alla commissione, da parte di quest’ultimo, di una serie di episodi di
intimidazione (diffusamente descritti nelle pag. 42 e SS. della sentenza di primo grado e
richiamati in sintesi nella decisione della Corte territoriale), posti in essere sia in danno di
esponenti del clan Mazzarella, al fine di ottenerne l’allontanamento dal territorio, sia in
danno di imprenditori locali, ai quali le richieste estorsive erano formulate in termini diversi
che in precedenza, “dagli amici di Marigliano”.
In tale contesto si colloca l’estorsione in danno del Galdi e di Emilio Manna.
Proprio quest’ultimo ha descritto la successione dei gruppi che a lui si erano rivolti,
ricordando: a) che tra il 2000 e il 2002 gli era stato imposto il pagamento di una tangente da
parte di un soggetto noto come o’ commerciante — e identificato in Giuseppe Castaldo -; b)
che, dopo l’arresto del Castaldo, era stato sottoposto ad estorsione da esponenti del clan
Mazzarella; che, infine, dopo l’estate del 2006, si era ripresentato Peppe o’ commerciante, il
quale gli aveva detto che “a Marigliano c’erano di nuovo loro” e che a loro avrebbe dovuto
versare l’importo di euro 2.000,00 tre volte l’anno.
In tale contesto, logicamente ricostruito alla stregua delle risultanze documentali e
testimoniali, si inseriscono, per un verso, la deposizione del teste Naro, che ha riferito
dell’esistenza di denunce per fatti estorsivi contro ignoti da parte dei commercianti della
zona, caratterizzati in modo alternativo rispetto alle modalità esecutive del clan Mazzarella,
sia i risultati delle intercettazioni ambientali, dalle quali emerge una perdurante direzione
degli affari illeciti (si vedano, ad es., le conversazioni del 07/06/2007, del 21/06/2007, del
05/07/2007) e della ripartizione dei proventi di tali attività (si veda, a puro titolo
esemplificativo, le conversazioni del 10/05/2007, del 17/05/2007, del 24/05/2007, del
07/06/2007), operata dai detenuti Giuseppe Castaldo e Virginio Luigi Castaldo, attraverso i
contatti con i loro parenti durante i colloqui in carcere.

,

Il quadro di sintesi che ne scaturisce, accompagnato dalla palese e generalizzata tendenza
degli operatori economici della zona a non fornire elementi utili all’identificazione degli autori
delle condotte estorsive (sul punto, si vedano le considerazioni svolte dalla sentenza
impugnata a pag. 14), unito all’assoluta assenza di una verosimile spiegazione alternativa,
da parte degli imputati (non essendo emerso, ad es., lo svolgimento di altre attività cui
riferire la ripartizione del denaro del quale si parla nelle comunicazioni intercettate), rende
evidente l’esistenza di un’organizzazione criminale perfettamente inquadrabile nella
fattispecie di cui all’art. 416 b is cod. pen.

emersi nello svolgimento delle attività, tra Giuseppe Castaldo e Virginio Luigi Castaldo, in
quanto, a tacer del fatto che la crisi potrebbe dimostrare una scissione successiva, ma non
l’inesistenza dell’accordo pregresso, resta il dato che, nella conversazione del 21/06/2007,
Virginio Luigi Castaldo, lungi dal prospettare al fratello Rosario, che gli poneva il problema
del ruolo assunto da Pasquale De Filippis quale persona di riferimento di Giuseppe Castaldo,
una frattura, lo invita a confrontarsi col il De Filippis stesso, mostrando una dinamica di
superamento del conflitto, proprio nell’ottica dell’unitarietà dell’organizzazione.
Gli elementi valorizzati dai ricorrenti appaiono del tutto inidonei a scalfire la logicità
dell’apparato argonnentativo ricordato o a prospettare alternative ricostruzioni delle evidenze
probatorie, giacché: a) la detenzione del Castaldo, oltre a non essere stata ininterrotta, non
ha impedito affatto la gestione delle attività illecite, per il tramite della moglie Amalia Volpe e
del De Filippis (si vedano le conversazioni del 17/04/2007 del 28/06/2007), senza che, in
contrario, rilevi la sua richiesta di autorizzazione a svolgere attività lecite; b) che l’affermata
estraneità all’episodio estorsivo in danno del Manna è contrastata dalla puntuale deposizione
di quest’ultimo; c) che le dichiarazioni del Vaccaro (la cui scarsa attendibilità è stata
sottolineata dalla Corte territoriale: pag. 57 della sentenza impugnata), a proposito della
volontà del Castaldo e della Volpe di “non volerne sapere più niente”, oltre a dimostrare la
certa esistenza di attività pregresse (perché logicamente solo queste ultime
giustificherebbero l’intento di disinteressarsene per il futuro), è smentita dalle emergenze
delle intercettazioni ambientali (ed, anzi, è appena il caso di considerare che analoga
dichiarazione della Volpe, emergente nella conversazione del 17/04/2007, è stata
logicamente considerata dalla Corte territoriale come uno sfogo momentaneo, visto il ruolo
attivo della Volpe e del medesimo Castaldo, quale emerge dalle conversazioni successive,
che rivelano l’attivismo della Volpe nel recepire i proventi derivanti dagli illeciti e nel ripartirli,
talché ne resta confermato il consapevole apporto fornito all’attività associativa); d) che la
risalente condanna del Castaldo per la partecipazione al clan Alfieri ne dimostra lo storico
inserimento in un contesto delinquenziale, la cui permanenza è comprovata dagli ulteriori
elementi valorizzati dalla sentenza impugnata, sopra ricordati, mentre l’iniziale
coinvolgimento giudiziario del medesimo Castaldo nell’omicidio di Antonio Calvanese non ha
svolto alcun ruolo nel processo decisionale, giacché è la stessa Corte territoriale a ricordare

11

Né, del resto, l’esistenza dell’organizzazione è incrinata dai contrasti, ad un certo punto

l’assoluzione del ricorrente per tale episodio; e) che il quadro probatorio sopra menzionato
rende irrilevante uno specifico accertamento di ulteriori frequentazioni illecite da parte del
Castaldo, essendo evidente che la principale attività che lo vedeva impegnato era quella
criminale, così come il fatto che Guido Galdi, senza menzionare il Castaldo, abbia riferito di
avere ricevuto una richiesta estorsiva da parte di Salvatore Guercia, per conto degli” amici
di Marigliano” (e sull’intraneità del Guercia si dirà nell’esame della specifica posizione di
quest’ultimo); f) che, come ricordato dalla sentenza impugnata a pag. 20, il Castaldo è stato
posto agli arresti domiciliari dopo breve tempo, sicché la ridotta durata delle intercettazioni

elementi di illiceità nel contenuto delle conversazioni, giacché, sin dalla conversazione del
17/04/2007, emerge sia dal linguaggio criptico adoperato, sia dall’atteggiamento degli
interlocutori descritto in sentenza, sia, infine, dal riferimento a varie dazioni di denaro da
parte di terzi non identificati, che non si tratta di proventi di attività lecite, la cui esistenza e
idoneità a giustificare siffatte conversazioni non è mai emersa; g) che le conversazioni tra
Virginio Luigi Castaldo e i suoi familiari sono logicamente state ritenute tutt’altro che
superficiali e ciò sia in ragione della specificità del contenuto, sia dell’inverosimiglianza di
discussioni di carattere generale, in un contesto di crisi nei rapporti economici e della
conseguente necessità di disporre di notizie certe su quanto accadeva fuori dal carcere.
1.5. Il quinto motivo è infondato, giacché, alla stregua delle superiori considerazioni,
l’incensuratezza della Volpe e gli altri profili concernenti la sua personalità sopra ricordati,
sono stati ragionevolmente ritenuti recessivi dalla Corte territoriale, rispetto alla gravità delle
condotte in concreto enucleabile, dalla pervasività dell’azione del clan, dalla diffusione sul
territorio delle azioni guidate dal carcere, dalla spregiudicatezza dimostrata dai vari
componenti dell’associazione.
1.6. Una questione proposta dal difensore in sede di discussione orale ed involgente la
determinazione del trattamento sanzionatorio, nonostante la sua novità, va esaminata, in
quanto diretta a denunciare l’applicazione di pena illegale.
In particolare, ci si duole del fatto che la decisione di primo grado, confermata sul punto
dalla sentenza impugnata, ha determinato la pena nei confronti del Castaldo Giuseppe,
ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 416

bis cod. pen., con ruolo verticistico,

computando l’aumento obbligatorio, per la ritenuta recidiva di cui all’art. 99, comma quarto,
seconda ipotesi, cod. pen., sulla pena base prevista a carico di coloro che promuovono,
dirigono o organizzano l’associazione.
In definitiva, si chiede di fare applicazione dell’orientamento secondo cui la recidiva è
circostanza aggravante ad effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore a
un terzo, con la conseguenza che soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti
dello stesso tipo, alla regola dell’applicazione della pena prevista per la circostanza più grave,
e ciò pur quando l’aumento che ad essa segua sia obbligatorio, per avere il soggetto, già

12

che lo riguardano direttamente scaturisce solo da questo motivo e non dall’assenza di

:

recidivo per un qualunque reato, commesso uno dei delitti indicati all’art. 407, comma
e

secondo, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 20798 del 24/02/2011, Indelicato, Rv. 249664).
Tuttavia, osserva la Corte che l’art. 416 bis cit. non delinea nel secondo comma una
circostanza aggravante rispetto all’ipotesi della mera partecipazione di cui al primo comma,
ma due distinte fattispecie.
Questa Corte, con riferimento alla condotta del promotore dell’associazione finalizzata al
traffico illecito di sostanze stupefacenti, ha già ritenuto di individuare una figura autonoma di
reato e non una circostanza aggravante della partecipazione all’associazione medesima (Sez.

Con specifico riguardo all’art. 416 bis cod. pen., si è, del pari, puntualizzato che esso
prevede una pluralità di figure criminose di carattere alternativo e tutte dotate di una
intrinseca autonomia, le quali hanno in comune tra loro il solo riferimento ad una
associazione di tipo mafioso: il fatto di partecipare ad una associazione è ben diverso dalla
ipotesi di assumere un ruolo di tale preminenza da poter essere considerato come “capo”
ovvero come “promotore” o “organizzatore” (Sez. 5, n. 7961 del 09/01/1990, Rabito, Rv.
184537; Sez. 1, n. 29770 del 24/03/2009, Vernengo, Rv. 244459).
Tale soluzione appare condivisibile, in quanto le attività poste in essere da colui che
promuove, dirige o organizza l’associazione, lungi dal caratterizzarsi per la presenza di
elementi specializzanti, rispetto alla condotta di mera partecipazione, esprimono
un’alternatività che giustifica il diverso disvalore attribuito dal legislatore attraverso un
distinto trattamento sanzionatorio.
Ne discende l’infondatezza della censura sollevata.
2. Il ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe Castaldo, Amalia Volpe e
Pasquale De Filippis, a firma dell’Avv. Bruno Spiezia.
2.1. Il primo motivo è infondato.
Rinviando alle considerazioni svolte supra sub 1.4 per le censure sovrapponibili a quelle
contenute nel quarto motivo del ricorso a firma dell’Avv. Sgambato, va, in questa sede,
aggiunto che le critiche che investono la ricostruzione del contenuto delle intercettazioni
sono assolutamente generiche, in quanto si limitano a contestare le conclusioni raggiunte,
senza specificare perché gli elementi ricostruttivi valorizzati dalla Corte territoriale siano
illogici o apodittici.
Esse sono, pertanto, inidonee a scalfire la ricostruzione logicamente operata dalla Corte
territoriale. Al riguardo, va ribadito che l’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle
conversazioni costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito,
che si sottrae al sindacato di legittimità, se motivata in conformità ai criteri della logica e
delle massime di esperienza (Sez. 6, n. 11794 del 11/02/2013, Melfi, Rv. 254439).
Peraltro, è evidente che singole frasi decontestualizzate non possono inficiare la logicità della
complessiva analisi del contenuto delle conversazioni, che resta priva di una alternativa,
plausibile spiegazione.

13

1, n. 6312 del 27/01/2010, Mento, Rv. 246118).

Con riferimento specifico alla posizione di Pasquale De Filippis, escluso che la sua
cooptazione possa ricondursi ad una scelta meramente occasionale, visto il ruolo di referente
di Giuseppe Castaldo, che induce persino Virginio Luigi Castaldo alla prudenza nella citata
conversazione del 21/06/2007, a proposito dei contrasti interni insorti, al punto che ammette
di doverne parlare con “Peppe”, resta il fatto che alla sua identificazione si è giunti sia
perché il soprannome di “Capacotta” è stato a lui attribuito dalle deposizioni dei testi di P.G.,
sia perché tutte le volte che si parla di persone diverse con lo stesso nome, si specifica
sempre o il cognome o il diverso soprannome (pag. 55 della sentenza impugnata).

l’esistenza di dissidi interni, di rivalità o di aspirazioni a ruoli superiori, non incrina la logicità
del complessivo esame delle risultanze delle intercettazioni, che rivelano il superamento di
quei contrasti.
2.2. Il secondo motivo è, nel suo complesso, infondato.
Con riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche alla Volpe, si rinvia alle
considerazioni svolte supra sub 1.5.
Con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata
esclusione della recidiva in relazione alla posizione del Castaldo e del De Filippis, la Corte
territoriale ha ragionevolemente e rispettivamente valorizzato: a) con riferimento alle prime,
la gravità delle condotte enucleabile dalla pervasività dell’azione del clan, dalla diffusione sul
territorio delle azioni guidate dal carcere, dalla spregiudicatezza mostrata nonché, quanto
alla seconda, la progressione criminosa espressa dal Castaldo idonea rivelare uno stabile
stile di vita dedito alla commissione di gravi delitti; b) con riferimento alle prime, il ruolo
assunto dal De Filippis nel contesto associativo e la personalità violenta manifestata (al
riguardo si menziona anche l’ordine rivolto al figlio e al Pianese di picchiare una persona) e,
con riferimento alla seconda, la progressione delinquenziale espressa con l’adesione ad una
compagine criminosa.
La complessiva analisi della condotta serbata dai ricorrenti rende evidente, per un verso, la
presenza di un’adeguata motivazione della Corte territoriale e, per altro verso, l’assoluta
genericità della articolazione subordinata del secondo motivo, con riferimento alla
prospettata omessa valutazione dei parametri in tema di determinazione della pena.
Solo per completezza, si sottolinea come il riferimento agli artt. 88, 89, 90 cod. pen. appaia
sganciato da qualunque riferimento fattuale idoneo a sorreggerne l’applicazione.

3. Il ricorso proposto dall’Avv. Giovanni Bianco nell’interesse di Pasquale De
Filippis.
3.1. Il primo motivo è nel suo complesso infondato
Con riguardo all’inutilizzabilità delle intercettazioni, per avere il Tribunale del riesame
valorizzato l’affiliazione del Castaldo ai gruppi camorristici dell’organizzazione vesuviana, si
rileva che la critica è priva di specificità, giacché non è la motivazione resa in sede cautelare
a dover giustificare la legittimità delle intercettazione.

14

Infine, l’esistenza di contrasti tra il ricorrente e Giuseppe Castaldo, se possono rivelare

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 268, comma 3, cod. proc. pen., si rinvia alle
considerazioni svolte supra sub 1.1.
Con riferimento, poi, alle censure che investono direttamente gli elementi posti a sostegno
dell’affermazione di responsabilità del ricorrente, osserva la Corte: a) che le dichiarazioni del
coimputato Vaccaro non sono state valorizzate dalla sentenza impugnata per giungere alle
proprie conclusioni; b) che le ragioni che hanno logicamente condotto all’individuazione del
Pasquale Capacotta menzionato nelle intercettazioni nel ricorrente sono state ricordate supra
sub 2.1., laddove le critiche del ricorrente, nel valorizzare il fatto che il soprannome

cui tutti gli altri soggetti con il medesimo nome erano diversamente specificati dai
partecipanti alle conversazioni; c) che la responsabilità del De Filippis emerge non solo dalle
conversazioni tra Giuseppe Castaldo e la moglie, ma anche e soprattutto da quelle tra
Virginio Luigi Castaldo e il fratello Rosario; d) che i puntuali elementi tratti da tali
conversazioni rendono irrilevante il fatto che non siano risultate frequentazioni del De Filippis
con altri associati; e) che l’assoluzione da uno specifico reato fine non è elemento che, in sé
considerato, valga ad escludere la partecipazione alla fattispecie associativa, quante volte,
come nella specie, la decisione assolutoria sia stata motivata dalla sentenza di primo grado
non in ragione dell’estraneità dell’imputato alla compagine associativa, ma per la genericità
delle dichiarazioni emergenti dalle conversazioni del 21 e del 28/06/2007 e la conseguente
inidoneità delle stesse a ricondurre il fatto estorsivo al prevenuto; f) che l’esistenza di
contrasti tra il ricorrente e Giuseppe Castaldo non è incompatibile, per le ragioni ricordate
supra sub 2.1., con l’esistenza del vincolo associativo.
3.2. Le superiori considerazioni rendono evidente l’insussistenza dei vizi motivazionali,
lamentati con il secondo motivo in relazione alla affermazione di responsabilità.
Infondata è anche l’ulteriore articolazione, concernente il disposto aumento di pena per la
contestata recidiva. Trattandosi di motivo di contenuto sovrapponibile a quello di cui al
ricorso esaminato al punto 2 della presente motivazione, si rinvia, per comodità espositiva, a
quanto osservato specificamente nel punto 2.2. che precede.

4. Il ricorso proposto nell’interesse di Virginio Luigi Castaldo.
4.1. Con il primo motivo del ricorso, si lamentano vizi motivazionali, criticando il mero
richiamo per reladonem della sentenza impugnata alle argomentazioni del giudice di prime
cure, senza una valutazione critica dei motivi di impugnazione.
La censura è inammissibile per assoluta genericità.
La compiuta disamina dei profili fattuali concernenti la posizione del ricorrente da parte della
sentenza impugnata, anche attraverso il puntuale esame delle intercettazioni ambientali (per
es. da pag. 21 in poi) rende palese che non sussiste il vizio dell’omesso esame di doglianze
contenute nell’atto di appello, peraltro in relazione al primo motivo che si esamina neppure
specificate.
4.2. Infondato è, invece, il secondo motivo.

15

apparteneva all’intero nucleo dell’imputato, trascurano di considerare l’argomento secondo

Rinviando alle considerazioni svolte supra sub 1.4., con riferimento alle critiche che
attengono ai profili strutturali dell’associazione, va ribadito che l’esistenza di una pluralità di
figure apicali nell’organizzazione e anche l’esistenza di dissidi sotterranei non incide
sull’unitarietà dell’associazione quando non conduca, come nella specie, ad un venir meno
dell’accordo tra i partecipanti.
Così come deve ribadirsi che la mancata, puntuale individuazione dei destinatari di tutti gli
episodi estorsivi che emergono dalle intercettazioni non incrina la tenuta logica della
conclusione raggiunta dalla Corte territoriale in ordine all’esistenza del clan, dal momento

è altrimenti spiegabile né spiegata.
Non decisiva è poi la critica relativa al fatto che, ancora prima del deposito della trascrizione
del contenuto delle intercettazioni, erano stati ascoltati dei testimoni, ai quali era stata data
lettura delle conversazioni, per poi richiedere agli stessi una personale interpretazione o
commento, giacché la Corte territoriale ha reiteratamente attribuito alla propria valutazione
l’attività ricostruttiva del significato delle conversazioni, talché le uniche censure ammissibili
sono quelle dirette nei confronti del metodo esegetico adottato.
A questo riguardo, può solo confermarsi, a proposito della mancata verifica in ordine
all’effettiva attuazione delle direttive fornite dal ricorrente, che la tesi difensiva, che ipotizza
delle generiche ed astratte indicazioni, si scontra con il significato ricostruito dalla sentenza
impugnata attraverso la sequenza delle conversazioni, in ragione della specificità del
contenuto e dell’inverosimiglianza di discussioni di carattere generale, in un contesto di crisi
nei rapporti economici nel clan e della conseguente necessità di disporre di notizie certe su
quanto accadeva fuori dal carcere e di una certa attuazione degli ordini impartiti.
4.3. Con il terzo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione degli artt. 62 bis e 133
cod. pen., criticando l’assenza di giustificazioni concernenti il diniego delle circostanze
attenuanti generiche e la determinazione della pena, anche in vista del principio di
ragionevolezza e della finalità rieducativa della sanzione.
Sul punto, la motivazione della Corte territoriale, analoga a quella utilizzata per Giuseppe
Castaldo, in ragione del ruolo omogeneo ricoperto nell’associazione dai due imputati e dei
rilevanti e significativi precedenti penali, resiste alle generiche critiche contenute in ricorso,
per le stesse considerazioni sviluppate supra sub. 2.2.
4.4. Il primo, non numerato, motivo di ricorso contenuto nella Breve premessa in fatto del
ricorso, è fondato.
Sebbene dall’esame degli atti si desuma che la sentenza della Corte d’appello di Napoli del
29/10/2010, prodotta all’udienza del 23/03/2012, non reca l’attestazione dell’irrevocabilità, è
tuttavia vero che la copia allegata al ricorso per cassazione dimostra il passaggio in giudicato
della decisione con riferimento alla posizione del ricorrente.
Sul punto, pertanto, assolto dal Castaldo l’onere di indicazione degli estremi della sentenza
(v. il principio affermato da Sez. 5, n. 9180 del 29/01/2007, Aloisio, Rv. 236261), sussiste il

16

che la chiara matrice illecita degli episodi che emergono dalle conversazioni intercettate non

dovere di esaminare, già in sede di cognizione, la questione, muovendo dalla premessa
dell’irretrattabilità della precedente decisione.
4.5. Da ultimo, occorre ribadire che, attenendo raccoglimento del ricorso ad alcuni profili
relativi al trattamento sanzionatorio, il rinvio disposto rende comunque definitivo
l’accertamento della responsabilità, per il principio di formazione progressiva del giudicato,
che comporta l’inoperatività dell’istituto della prescrizione (al riguardo, v. Sez. 3, n. 15472
del 20/02/2004, Ragusa, Rv. 228499).
5. Il ricorso proposto nell’interesse di Franco Castaldo e Rosario Castaldo

proposto nell’interesse di Virginio Luigi Luigi e ne seguono la sorte, con l’ulteriore
precisazione, specificamente concernente il secondo motivo: a) che la responsabilità di
Rosario Castaldo è congruamente motivata in relazione alla costante presenza ai colloqui con
il fratello detenuto, alla piena consapevolezza mostrata in ordine alle dinamiche associative,
alla costante disponibilità manifestata a rendersi strumento della volontà del fratello; b) che
la responsabilità dell’altro fratello Franco Castaldo emerge in modo assolutamente
ragionevole dalle richieste che, per il tramite di Rosario, gli vengono rivolte da Virginio Luigi
(v. conversazione del 24/05/2007), senza che, in contrario, rilevi lo svolgimento di altra
attività di natura commerciale. Del resto, la chiara disponibilità dell’imputato risulta palese,
alla luce del fatto che, proprio nel momento di crisi generato dalla detenzione di Virginio
Luigi, quest’ultimo awerta di doversi rivolgere al fratello Franco (soprannominato Diclò),
come persona di sicura affidabilità, per proseguire nelle attività estorsive (nella medesima
conversazione appena citata, si v. la richiesta avente ad oggetto l’invio da parte di D/dò di tal
Gennaro “per vedere quante macchinette sono, se sono più di sedici i quindici si prende mille
euro”).
Proprio la criticità del momento organizzativo e il ruolo apicale di Virginio Luigi Castaldo
consente di attribuire a tali indicazioni, al di là di una verifica della susseguente condotta
dell’imputato, la chiara consapevolezza della disponibilità a collaborare del fratello.
5.2. Anche il terzo motivo è infondato.
Sia con riferimento alla pena, sia con riguardo all’invocata concessione delle circostanze
attenuanti generiche, occorre considerare che la Corte territoriale ha valorizzato, per come
sopra s’è rilevato, la gravità delle condotte e la spregiudicatezza manifestata, talché del tutto
ragionevolmente, nell’esercizio del potere discrezionale attribuito al giudice di merito, ha
proceduto alla determinazione del trattamento sanzionatorio e ha ritenuto recessiva la
condizione di incensuratezza.
6. Il ricorso proposto nell’interesse del Guercia.
6.1. Il primo motivo di ricorso è, nel suo complesso, infondato.
Con riferimento all’esistenza del clan Castaldo, le censure motivazionali non colgono nel
segno per le ragioni esposte supra sub 1.4.

17

5.1. I primi due motivi sono, in generale, sovrapponibili ai primi due motivi del ricorso

e

Quanto alla partecipazione del Guercia all’associazione, al di là dello specifico episodio
o

estorsivo realizzato in danno del Galdi, resta da considerare che il ricorrente risulta
destinatario di emolumenti economici da parte del gruppo (v. conversazione del 24/05/2007
e del 28/06/2007), oltre che di richieste da parte del Virginio Luigi Castaldo di attivarsi per
iniziative estorsive (v. conversazione del 10/05/2007, in cui il Castaldo chiede al fratello
Rosario di mandare Totore Guercia in determinati posti: “lo fai fare tre volte l’anno”).
Già soltanto nelle conversazioni appena ricordate il Guercia è indicata con nome e cognome,
ciò che consente di superare i dubbi prospettati in ricorso.

danno del Manna, giacché l’assenza di minacce manifeste non ha privato, secondo il
ragionevole convincimento espresso dalla Corte territoriale, la richiesta del suo carattere
intimidatorio, in ragione della puntualizzazione che essa proveniva dagli “amici di Marigliano”
e del fatto che era formulata da un soggetto, il Guercia, che aveva mostrato di conoscere
l’articolazione dell’attività della vittima e l’esistenza di un altro cantiere gestito da
quest’ultima.
Essa, dunque, sia per la sua specificità, sia per le modalità di attuazione non può certo
ritenersi inidonea a turbare la libertà morale del suo destinatario.
6.2 Infondato è anche il secondo motivo, in quanto del tutto ragionevolmente la Corte
territoriale ha confermato il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della
gravità delle condotte e della specifica dedizione alle attività estorsive, con particolare
riferimento al ruolo svolto nei confronti del Galdi, cui pure l’imputato era stato in passato
legato da rapporti di amicizia.
7. Il ricorso proposto nell’interesse di Anna Moscatello.
7.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Al riguardo, si rileva che la responsabilità della ricorrente non riposa sulle dichiarazioni
accusatorie del marito, Giovanni Vaccaro, ma sul contenuto delle conversazioni telefoniche
intercettate in data 07/11/2007, che muovono dalla richiesta, rivolta dal Vaccaro alla donna,
di recarsi presso un terzo per prelevare della cocaina (come si desume dal brano della
conversazione, riportato a pag. 264 della sentenza di primo grado), per nasconderla presso
un apparecchio situato sul balcone della loro vicina di casa.
Ora, secondo il costante orientamento di questa Corte, gli elementi raccolti nel corso delle
intercettazioni telefoniche possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza
dell’imputato e non richiedono il riscontro di altri elementi esterni (Sez. 6, n. 3882 del
04/11/2011 – dep. 31/01/2012, Annunziata, Rv. 251527).
Nella specie, peraltro, non di indizi si tratta, ma della prova storica di un fatto, desumibile
dalla piena consapevolezza da parte della donna della natura della sostanza e dall’assenza di
ogni esitazione nel dare attuazione alle indicazioni del marito.
L’assenza di sequestri di sostanza stupefacente, come pure il mancato rinvenimento di
strumenti abitualmente utilizzati nell’attività di spaccio o l’assenza di frequentazioni con altri

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Del tutto generica è, infine, l’ultima articolazione del motivo, dedicata all’episodio estorsivo in

t

soggetti impegnati nella stessa attività non esclude la possibilità di detenere sostanze a fini
di cessione (con riferimento al primo profilo, si veda Sez. 4, n. 48008 del 18/11/2009,
Palmerini, Rv. 245738: la prova dei reati di detenzione a fini di spaccio e di spaccio di
sostanza stupefacente non deriva soltanto dal sequestro o dal rinvenimento della sostanza,
potendo desumersi da altre risultanze probatorie).
D’altra parte, il reato di detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope a fini di
cessione a terzi è concretamente punibile pur quando non possa accertarsi se il principio
attivo contenuto nella sostanza superi la cosiddetta “soglia drogante” (Sez. 5, n. 3354 del
26/10/2010 – dep. 31/01/2011, Andolina, Rv. 249748).
7.2. Del pari infondato è il secondo motivo, dal momento che correttamente la Corte
territoriale ha sottolineato, alla luce della immediata disponibilità della donna, rivelatrice di
una pregressa esperienza, il carattere non episodico del fatto, espressivo di una sia pur
rudimentale organizzazione.
Al riguardo, va ribadito che l’ipotesi di cui all’art. 73, comma quinto, D.P.R. n. 309 del 1990
può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile
sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione
(mezzi, modalità, circostanze dell’azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici
previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di
incidenza sul giudizio (Sez. U, n, 35737 del 24/06/2010, dep. 05/10/2010, Rico, Rv.
247911).
7.3. Infondato è, infine, il terzo motivo, in quanto la Corte territoriale ha dato conto, nella
valutazione dell’episodio, dei criteri fondanti la determinazione della pena. L’identità della
pena base rispetto al Vaccaro non esprime, neppure indirettamente, alcuna illogicità, in
quanto la diversa posizione del secondo, si apprezza in relazione all’aumento di pena
applicato con riguardo all’altro episodio per il quale è stata ritenuta la sua responsabilità.
8. Il ricorso proposto nell’interesse del Vaccaro.
8.1. Il primo motivo di ricorso, sostanzialmente speculare al primo motivo del ricorso
proposto nell’interesse della Moscatello, è infondato per le medesime ragioni ricordate supra
sub 7.1., cui deve aggiungersi, in relazione al reato di cui al capo n), contestato al solo

Vaccaro, che la cessione di stupefacente al coimputato Pianese emerge in modo
inconfutabile dal tenore delle conversazioni del 18/09/2007.
8.2. Per le stesse ragioni sopra ricordate sub 7.2 è infondato il secondo motivo del ricorso.
8.3. Infondato è il terzo motivo.
Con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, le ragioni
del diniego vanno evidentemente colte nella valutazione del carattere non episodico dei fatti,
valorizzato, sia pure ad altri fini, dalla Corte territoriale.
Quanto all’invocata attenuante di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991, deve, da un lato,
sottolinearsi il rilievo di scarsa attendibilità delle dichiarazioni del Vaccaro, valorizzato dalla
sentenza impugnata, e dall’altro ribadirsi che l’attenuante in esame opera esclusivamente in

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quei processi nei quali l’attività di collaborazione con la giustizia venga effettivamente
esplicata, sicchè deve escludersene l’applicazione quando la dissociazione riguardi fatti
diversi da quelli in relazione ai quali l’attenuante s’invoca, ovvero quando il contributo
intervenga in presenza di un quadro probatorio che aveva già consentito l’individuazione dei
concorrenti nel reato (Sez. 5, n. 33373 del 25/06/2008, Russo, Rv. 240994).
9. Il ricorso proposto nell’interesse di Giuseppe Valentino
L’unico motivo del ricorso è infondato.
Al riguardo, va ribadito che in tema di associazione di stampo mafioso, la permanente

anche se di bassa manovalanza (tagli di alberi, incendi ecc.) ma pur sempre necessarie per il
perseguimento dei fini dell’organizzazione, indipendentemente dalla prova di una formale
iniziazione, rappresenta univoco sintomo di inserimento strutturale nel sodalizio e, quindi, di
vera e propria partecipazione, ad un livello pur minimale, al sodalizio delinquenziale, mentre
la “legalizzazione” con la qualifica di “uomo d’onore” costituisce uno stadio più evoluto nella
progressione carrieristica del mafioso nell’organigramma piramidale del sodalizio (Sez. 5, n.
6101 del 21/11/2003 – dep. 16/02/2004, Bruno, Rv. 228058).
Ora, le specifiche direttive rivolte al ricorrente da Virginio Luigi Castaldo, per il tramite del
fratello Rosario (v. conversazione del 28/06/2007), lungi dall’esprimere un’astratta
aspettativa di disponibilità da parte del capo clan, scaturiscono da una comprovata
intraneità, resa palese non solo dalle richieste economiche della moglie del ricorrente,
indirizzate alla Volpe (conversazione del 15/06/2007), ma anche dal concreto apporto fornito
in precedenza (v. conversazione del 17/05/2007 e del 02/06/2007), nel quadro delle attività
estorsive.
10. Conclusioni
In definitiva, viene accolto il solo motivo di ricorso proposto da Virginio Luigi Castaldo
limitatamente alla applicazione dell’istituto della continuazione con riferimento alla condanna
per estorsione di cui alla sentenza della Corte d’appello di Napoli del 29/10/2010, divenuta
definitiva, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, con rigetto dei restanti
motivi di ricorso.
Al rigetto degli altri ricorsi, consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascuno
dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Castaldo Virginio Luigi limitatamente alla
applicazione dell’istituto della continuazione con riferimento alla condanna per estorsione di
cui alla sentenza della Corte d’appello di Napoli del 29/10/2010, divenuta definitiva, con
rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso del Castaldo
Virginio Luigi, rigetta i ricorsi degli atri ricorrenti e condanna questi ultimi al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 17/01/2014

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“disponibilità” al servizio dell’organizzazione mafiosa a porre in essere attività delittuose,

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