Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8426 del 17/12/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8426 Anno 2014
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:
1. Rapicano Giulio, nato a Napoli, il 19/4/1963;
2. Franchini Ciro, nato a Napoli, il 14/6/1976;
3. Greco Giuseppe, nato a Noia, il 26/7/1951;
4. Vassallo Antonio, nato a Noia, il 25/2/1957;
5. Crocetta Raffaele, nato a Cicciano, il 6/8/1957;
6. Serpico Graziano, nato a San Vitaliano, il 21/9/1941;
7. Falco Felice, nato a Noia, il 6/1/1942;

avverso la sentenza del 12/12/2012 della Corte d’appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Angelo
Di Popolo, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio in relazione al Greco per i
capi A17), A18), A19) e A20) per prescrizione e con rinvio per la rideterminazione

Data Udienza: 17/12/2013

della pena; per il rigetto nel resto del ricorso del Greco e dei ricorsi del Franchini e del
Serpico; per l’inammissibilità degli altri ricorsi;
uditi per gli imputati l’avv. Giuseppe Guida e l’avv. Giuseppe Torneo che hanno
concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi proposti nell’interesse del Greco, del
Vassallo, del Rapicano e del Crocetta.

1.Con sentenza del 12 dicembre 2012 la Corte d’appello di Napoli confermava
parzialmente le condanne inflitte, tra gli altri, a Greco Giuseppe, Rapicano Giulio,
Franchini Ciro, Vassallo Antonio, Crocetta Raffaele, Serpico Graziano e Falco Felice, per
i reati di truffa aggravata, falso in atto pubblico e turbata libertà degli incanti loro
rispettivamente contestati.
1.1 In parziale riforma della pronunzia di primo grado la Corte territoriale, per quanto
qui di interesse: a) assolveva il Greco dal reato di cui al capo A75) e dichiarava non
doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato di cui al capo A19)
limitatamente al mandato del 23 luglio 2003, nonché, su appello del pubblico ministero,
determinava in maniera autonoma la pena per quelli di cui ai capi A71) e A73)
escludendo la continuazione, invece ritenuta dal giudice di prime cure, dei medesimi
con gli altri reati per cui l’imputato era stato condannato; b) assolveva anche il Vassallo
e il Crocetta dal citato reato di cui al capo A75) e revocava al primo la pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici; c) concedeva al Serpico, al Crocetta ed al Franchini
la sospensione condizionale della pena ed agli ultimi due anche il beneficio della non
menzione.
1.2 La vicenda per cui si procede riguarda una serie di frodi consumate nella gestione
delle pratiche dell’Ufficio Esecuzione Immobiliare del Tribunale di Noia dal Greco e da
alcuni suoi colleghi nella loro qualità di cancellieri del medesimo Tribunale. In
particolare una larga parte delle imputazioni – originariamente contestate in riferimento
ai reati di peculato e concussione, poi derubricati in quello di truffa aggravata all’esito
del giudizio di primo grado – concerne il c.d. “sistema Greco” e cioè il meccanismo
ordito dal suddetto imputato per appropriarsi di parte dei residui spese destinati ad
essere restituiti ai soggetti soccombenti nelle aste giudiziarie immobiliari per la
partecipazione alle quali avevano depositato cauzione. Nella prospettazione accolta dai
giudici del merito il Greco e i suoi complici si sarebbero in tal senso insinuati nella
procedura di restituzione delle suddette somme falsificando i relativi mandati di
pagamento al fine di riscuoterle abusivamente, per poi consegnarne ai beneficiari solo
una parte. Il provvedimento di condanna riguarda poi ulteriori frodi perpetrate dagli
imputati ai danni delle persone coinvolte nelle procedure di esecuzione immobiliare del

RITENUTO IN FATTO

Tribunale di Noia, nonché quelle perpetrate ai danni dell’amministrazione di
appartenenza dal Greco e dal suo collega Vassallo per coprire la loro assenza dal posto
di lavoro. Oggetto della sentenza impugnata è altresì il tentativo di corruzione
realizzato dagli imputati Serpico e Falco nei confronti del Greco, il quale peraltro in
riferimento allo stesso episodio è stato condannato per truffa, avendo ritenuto i giudici
di merito avesse raggirato i suoi corruttori in merito alla possibilità di intervenire
sull’adozione del provvedimento di aggiudicazione dell’asta relativa ad un immobile del
menzionato Falco che in realtà era stato già emesso. Infine un ulteriore gruppo di reati
riguarda una vicenda parallela emersa nel corso delle indagini e concernente la
sistematica alterazione del corretto svolgimento di alcune aste giudiziarie ricorrendo a
minacce o a vere proprie estorsioni da parte di altri imputati, diversi da quelli coinvolti
nei fatti menzionati in precedenza, attività in riferimento alla quale la Corte territoriale
ha confermato altresì la configurabilità del reato di associazione a delinquere contestato
al capo B1).

2. Avverso la sentenza ricorrono gli imputati.
2.1 II ricorso proposto a mezzo del proprio difensore dal Greco articola sette motivi.
Con il primo e il secondo deduce in relazione alle truffe di cui ai capi A2) e A6) – così
come riqualificate già nel primo grado di giudizio le originarie imputazioni,
rispettivamente, di corruzione e di concussione – l’errata applicazione della legge
penale, rilevando il difetto di uno degli elementi essenziali del reato configurato. Infatti
la dazione di danaro da parte delle presunte vittime delle frodi non sarebbe stata
condizionata dall’errore causato dagli altrettanto presunti artifizi realizzati dall’imputato
– di cui peraltro il ricorrente denuncia l’intrinseca inidoneità a provocare l’ipotizzato
errore -, ma sarebbe invece la conseguenza dell’autonoma determinazione delle stesse
vittime di perseguire il proprio disegno di influenzare illecitamente il corso della
procedura esecutiva cui erano rispettivamente interessate (tanto che, quantomento,
con riguardo ai fatti di cui al capo A2 il Falco ed il Serpico sono stati condannati per
tentata corruzione). Sotto altro profilo il ricorrente lamenta altresì, sempre con
riguardo ai reati di cui ai menzionati capi, l’inconfigurabilità della ritenuta aggravante di
cui all’art. 61 n. 9 c.p. e la conseguente improcedibilità degli stessi per l’originario
difetto di querela. Osserva in proposito il ricorso che la fattispecie aggravante in
questione ricorra soltanto qualora l’abuso di potere o la violazione dei doveri non
integrino già un elemento costitutivo del reato, come invece risulterebbe nel caso di
specie, dove la spendita della propria qualifica di cancelliere da parte del Greco sarebbe
elemento strutturale dell’artificio attraverso cui sono state realizzate le truffe
contestate, la cui consumazione peraltro non avrebbe richiesto né lo sviamento dei
poteri dell’imputato, né la violazione di alcuno specifico dovere da cui lo stesso era
gravato.

v

o

2.2 Sempre con il primo motivo il ricorrente eccepisce poi, in relazione alla condanna
per il reato di falso materiale in atto pubblico contestato al capo A3), l’inutilizzabilità ex
art. 63 e 64 c.p.p. delle dichiarazioni rese da Ciabatti Benito, il quale è stato assunto
come testimone pur essendo egli imputato del reato di cui al capo Al) e al quale nel
corso della deposizione sono state contestate ex art. 500 c.p.p. dichiarazioni
predibattimentali acquisite nella forma delle sommarie informazioni nonostante egli
fosse stato già raggiunto all’epoca da indizi di reità. Peraltro il ricorrente contesta
comunque l’attitudine delle suddette dichiarazioni a provare la falsità della firma di
Altomare Angelina apposta sul mandato di pagamento a lei destinato, in quanto si
tratterebbe di disconoscimento eteronomo effettuato in assenza di accertamenti tecnici
atti a dimostrare la natura apocrifa della firma suddetta. Non di meno il ricorrente
eccepisce l’inutilizzabilità anche della deposizione della stessa Altomare, in quanto alla
stessa non sarebbero stati rivolti gli avvisi ex art. 199 c.p.p. nonostante il figlio (il
Ciabatti per l’appunto) fosse imputato nel medesimo procedimento. Peraltro proprio le
dichiarazioni della donna – la quale avrebbe affermato di aver delegato il figlio ad
apporre per suo conto tutte le firme necessarie per gli adempimenti richiesti dalla
procedura esecutiva – evidenzierebbero l’inattendibilità della deposizione del Ciabatti,
in qualche modo costretto a disconoscere l’autenticità della sottoscrizione del mandato
al fine di non autoaccusarsi di aver falsamente apposto la firma della madre. Infine,
sempre con riguardo al reato di cui al capo A3), il ricorrente evidenzia la sostanziale
innocuità del falso contestato, atteso che proprio il Ciabatti avrebbe dichiarato di aver
ricevuto un residuo di spesa esattamente corrispondente a quello indicato sul mandato
di pagamento, talchè la falsificazione della firma dell’Altomare non sarebbe servita al
Greco per appropriarsi di alcuna somma.
2.3 Ancora con il primo motivo, ma questa volta con riguardo al reato di falso
ideologico in atto pubblico contestato al capo A5), viene dedotta l’errata applicazione
dell’art. 479 c.p., rilevandosi in tal senso come l’imputazione riguardasse la falsa
attestazione della data di deposito di una istanza di sollecitazione della definizione della
procedura esecutiva e dunque un atto non strettamente pertinenziale alla suddetta
procedura, non tipizzato normativamente e comunque inidoneo a costituire alcun
dovere in capo al giudice al quale era destinato (che infatti l’avrebbe ignorato).
Conseguentemente la contestata falsificazione sarebbe stata del tutto inoffensiva
determinando l’inconfigurabilità del reato per cui è intervenuta la condanna
dell’imputato.
2.4 Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta inoltre l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni della vittima della presunta truffa di cui al capo A6), La Marca Antonio, il
quale, avendo retribuito il potenziale concorrente nell’aggiudicazione dell’asta al fine di
estrometterlo dalla medesima, era quantomeno indagabile per il reato di cui all’art. 353
c.p. e dunque non avrebbe potuto deporre come testimone nel dibattimento di primo

w

d.

grado. Sotto altro profilo con il medesimo motivo viene altresì eccepito che la condotta
dell’imputato sarebbe stata comunque giustificata ai sensi dell’art. 50 c.p. dal consenso
dell’avente diritto, stante la spontaneità della contestata dazione di danaro e la sua
finalizzazione ad uno scopo illecito.
2.5 Con il terzo motivo, in relazione ai reati di cui ai capi A11) e Al2), viene eccepita
l’inutilizzabilità anche delle dichiarazioni di Casillo Rosa, che, in quanto imputata della
turbativa d’asta di cui al capo A10), a sua volta non avrebbe potuto essere sentita in
veste di testimone come invece avvenuto in violazione del primo comma dell’art. 197
c.p.p.
2.6 Con il quarto motivo viene innanzi tutto dedotta l’errata riconduzione al paradigma
normativo della truffa di tutti i fatti originariamente contestati come peculato e poi
riqualificati ai sensi dell’art. 640 c.p. dai giudici di prime cure. In tal senso il ricorrente
sottolinea come, secondo quanto accertato nei gradi di merito, lo schema delle frodi
imputate al Greco prevedeva immutabilmente la presentazione all’ufficio postale, ai fini
della riscossione dei residui di spesa, dei mandati di pagamenti con la dicitura “per
quietanza del cancelliere” accompagnata dall’apocrifa sottoscrizione dell’effettivo
beneficiario. In tal senso il soggetto asseritamente ingannato dall’imputato sarebbe
stato dunque il direttore dell’ufficio postale, il quale peraltro era ben consapevole di
come la restituzione delle somme menzionate non ammettesse, per volontà normativa,
equipollenti alla riscossione diretta da parte degli effettivi destinatari dei mandati,
talchè non può ritenersi che egli sia stato indotto in errore, né che quello posto in
essere nei suoi confronti sia qualificabile come artifizio. Non di meno la Corte
territoriale avrebbe altresì errato nel qualificare come truffa fatti in cui il soggetto
ingannato e quelli danneggiati erano rimasti distinti, senza che il primo vantasse alcun
potere di disporre in maniera autonoma del patrimonio dei secondi essendone mero
custode necessario. E sempre con riguardo ai medesimi fatti il ricorrente eccepisce
altresì l’insussistenza della invece ritenuta aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p., atteso
che, per le ragioni illustrate, alcun condizionamento dovuto alla strumentalizzazione
della qualifica soggettiva dell’imputato avrebbe patito l’autore delle disposizioni

v

patrimoniali.
2.7 Sempre con il quarto motivo il ricorrente ha poi svolto ulteriori e specifiche censure
in merito ai singoli capi della sentenza ad oggetto i fatti menzionati. Con riguardo ai
reati di cui ai capi A15) e A16) viene eccepita la scarsa verosimiglianza della
ricostruzione che vuole persona offesa della truffa il Pentella, invero persona dedita alla
partecipazione alle aste giudiziarie e che quindi non poteva ignorare le prassi
restitutorie instaurate nel Tribunale di Noia, dovendosi escludere conseguentemente
escludere che lo stesso sia stato vittima di qualsivoglia artificio. Quanto ai reati di cui ai
capi A17), A18), A21), A22), A52) e A53) il ricorrente lamenta che le persone offese
(Galloro, De Crecchio, Napolitano), non avrebbero disconosciuto la propria

3

A

sottoscrizione sui mandati di pagamento ovvero addirittura l’avrebbero espressamente
riconosciuta o, ancora, non avrebbero escluso che si trattasse di firme apposte da
coloro – per lo più familiari – cui avevano dato l’incarico di effettuare tutti gli
adempimenti relativi alle procedure esecutive cui erano interessate, con la conseguenza
che in tali casi difetterebbe la prova della falsificazione dei mandati e quindi anche delle
truffe, quantomeno in conseguenza della mancata escussione, laddove indicati, dei
soggetti delegati dagli interessati alla riscossione. In relazione ai reati di cui ai capi

Franco), avrebbero dichiarato di aver ricevuto la somma dovuta in restituzione per
intero, il che escluderebbe la configurabilità in tali ipotesi del reato di truffa, ma altresì
di quello di cui all’art. 479 c.p., attesa l’evidente inoffensività dell’eventuale falso
contestato come strumentale alla consumazione della frode. Considerazioni analoghe
vengono svolte con riguardo ai reati di cui ai capi A50) e A51) rilevandosi il difetto del
danno per l’intervenuta restituzione integrale della somma oggetto del mandato di
pagamento, mentre in riferimento al reato di cui al capo A63) mancherebbe la stessa
prova dell’illecito trattenimento di una parte del residuo di spesa, non avendo la
persona offesa saputo precisare l’entità della somma originariamente versata, né di
quella ricevuta in restituzione. Quanto invece ai reati di cui ai capi A27), A28), A29),
A30), A31), A33), A34), A39), A40), A60) si sottolinea come le persone offese avessero
incaricato della riscossione l’avv. Crocetta o l’avv. Di Palma, i quali deve dunque
presumersi abbiano incassato le somme per intero, difettando per di più la prova che il
Greco abbia trattenuto o ricevuto in tali occasioni del danaro. In relazione ai reati di cui
ai capi A42) e A43) il ricorrente osserva come l’imputazione sconti l’originario errore
compiuto nell’identificazione dell’avente diritto alla restituzione delle somme di cui si
presume l’illecito impossessamento, atteso che questi non sarebbe la Romanelli come
contestato – e cioè il debitore sottoposto ad esecuzione -, bensì i soggetti interessati
alla procedura ed effettivi beneficiari dei mandati. Quanto ai reati di cui ai capi A44),
A45), A56), A57), A58) e A59) il ricorrente si limita espressamente a richiamare le
conclusioni o le considerazioni svolte in precedenza, mentre per quelli di cui ai capi
A46) e A47) eccepisce il difetto della prova della truffa, atteso che il trattenimento di
una qualsivoglia somma da parte del Greco sarebbe solo ipotizzato, non essendo mai
stato escusso il professionista delegato dal soggetto interessato alla procedura
(Areniello Salvatore) a curarne per suo conto tutti gli adempimenti ad essa relativi. Per
i reati di cui ai capi A48) e A49) viene evidenziato come la firma apposta in calce al
mandato sia sostanzialmente illeggibile e dunque come non sia stata disconosciuta. In
ogni caso il ricorso rileva come l’eventuale illecito trattenimento avrebbe riguardato
somme di modesta entità. Diversamente per i reati di cui ai capi A54) e A55) il
ricorrente sostiene non possa escludersi che, risultando aver la persona offesa delegato
oralmente l’imputato ad incassare per suo conto quanto dovutogli, la somma non

A24), A25), A26) si sostiene invece che le persone offese o i loro incaricati (Bisogno,

restituita fosse in realtà stata lasciata al Greco a titolo di liberalità e comunque, in
relazione al suo trattenimento e proprio in ragione del menzionato incarico, sarebbe al
più configurabile il reato di appropriazione indebita, invero improcedibile per difetto
della necessaria querela. Conclude, infine, il ricorrente che per quanto riguarda il reato
di cui al capo A69) il difetto degli elementi strutturali della truffa renderebbe come negli
altri casi “inutile” il falso, mentre quelli di cui ai capi A19) e A20) sarebbero invece
estinti per intervenuta prescrizione risalendo i fatti addebitati al 2003.

c.p. con riguardo ai fatti contestati ai capi A71) e A73), rilevando innanzi tutto che
l’improprio utilizzo dei “badge” segna orario da parte del Greco e del suo collega
Vassallo non sarebbe sufficiente a comprovare le truffe addebitate all’imputato, atteso
che tale strumento registra esclusivamente l’orario di entrata e di uscita dall’ufficio, ma
non consente di certificare la presenza o l’assenza dei due cancellieri nel luogo di
lavoro. In secondo luogo la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto
configurabile il reato di truffa pur in mancanza di un danno economicamente
apprezzabile per l’amministrazione alla luce della effettiva consistenza delle condotte
accertate. Infine difetterebbe la prova del dolo del reato, atteso che le assenze del
Greco sarebbero imputabili ad incombenze d’ufficio o alla necessità di «commettere
quei fatti ritenuti reato», ma non certo dalla volontà di lucrare indebitamente la quota
di salario imputabile ai periodi di tempo in cui egli non si trovava al lavoro.
2.9 Con il sesto motivo (erroneamente rubricato nuovamente come primo a p. 22 del
ricorso) viene denunciata l’errata applicazione dell’art. 81 cpv c.p. e correlati vizi di
motivazione del provvedimento impugnato in merito al riconoscimento della
continuazione solo per gruppi di reati ed alla conseguente applicazione per il resto del
cumulo materiale delle pene autonomamente determinate. In particolare il ricorrente
sottolinea come il Tribunale avesse evidenziato – non smentito sul punto dalla Corte
territoriale – il collegamento sostanziale esistente tra tutti gli illeciti addebitati al Greco
al fine di giustificare l’eteroutilizzabilità ai sensi dell’art. 270 c.p.p. delle risultanze
dell’attività di intercettazione, conclusione che appare in contraddizione con la mancata
riunione sotto il vincolo della continuazione tra tutti i reati contestati all’imputato e
soprattutto tra quelli legati all’assenza dal luogo di lavoro di cui ai capi A71) e A73),
che gli stessi giudici di merito hanno ritenuto addebitabili, quantomeno con riguardo ai
fatti del 13 aprile 2006, alla presenza del Greco nello studio del Serpico per la consegna
del profitto illecito dei reati di cui ai capi A2) e A5).
2.10 Con il settimo motivo viene, infine, eccepito il difetto di motivazione in merito al
diniego all’imputato delle attenuanti generiche. Sul punto il ricorrente lamenta come in
entrambi i gradi di merito si sarebbe in realtà voluta irrogare una pena esemplare al
Greco pretermettendo di conseguenza la doverosa valutazione delle circostanze
favorevoli all’imputato, che per oltre trent’anni ha svolto le proprie funzioni senza mai

2.8 Con il quinto motivo il ricorrente deduce ulteriore errata applicazione dell’art. 640

incorrere in rilievi disciplinari, che è incensurato e che avrebbe commesso solo negli
ultimi anni di carriera degli illeciti peraltro di scarsa gravità atteso che a tutto
concedere gli avrebbero fruttato poche migliaia di euro.
3. Il ricorso del Vassallo articola tre motivi. Con il primo deduce l’errata applicazione
della legge penale sostanziale e correlati vizi di motivazione in relazione ai capi A71) e
A73), rilevando come l’esiguità del danno cagionato all’amministrazione a seguito delle
assenza dal lavoro dell’imputato e del Greco, così come apprezzata dalla Corte dei

impedirebbe al configurabilità del contestato reato di truffa per conforme orientamento
della giurisprudenza di legittimità. Con il secondo motivo vengono denunciati ulteriori
vizi della motivazione in relazione al reato di truffa di cui al capo A25), evidenziandosi
in proposito come la Corte distrettuale avrebbe immotivatamente respinto
l’interpretazione alternativa proposta dalla difesa delle risultanze dell’intercettazione
costituente l’unica fonte di prova a carico dell’imputato e comunque omesso di
argomentare sul significato dalla stessa attribuito alle frasi captate, giungendo ad
illogiche conclusioni in proposito alla luce del loro effettivo contenuto. Con il terzo ed
ultimo motivo il ricorrente lamenta infine l’immotivato diniego all’imputato delle
attenuanti generiche, nonostante la prospettata incensuratezza del medesimo e la
scarsa gravità delle condotte contestate.
4. Con il ricorso del Crocetta si deducono plurimi vizi della motivazione della sentenza
impugnato in riferimento al reato di truffa aggravata di cui al capo A6) per cui
l’imputato è stato condannato. Sotto un primo profilo il ricorrente eccepisce il
travisamento della prova in relazione al ritenuto coinvolgimento dell’imputato nella
“pantomima” asseritamente organizzata dal Greco ai danni della vittima della truffa (La
Marca Antonio), atteso che nella ricostruzione recepita dalla Corte territoriale il raggiro
sarebbe stato consumato mediante due telefonate (una vera ed una finta) effettuate
dal Crocetta alla presenza del suddetto La Marca, il quale però avrebbe sempre

Conti il cui pronunciamento i giudici d’appello avrebbero ingiustificatamente ignorato,

dichiarato di aver assistito ad una sola chiamata nello studio dell’imputato. Per altro
verso i giudici d’appello avrebbero omesso di valutare che il Crocetta aveva sempre
cercato di ottenere nell’interesse del suo cliente uno sconto sul costo della esclusione
dell’inesistente terzo interessato all’asta immobiliare, contrastando così le pretese del
Greco, il quale peraltro operò costantemente “alle spalle” dell’imputato, e che non vi
sarebbe alcuna evidenza di passaggi di danaro tra i due protagonisti della presunta
truffa.
5. Con il ricorso del Serpico si denunciano innanzi tutto l’errata applicazione degli artt.
56, 319, 319 ter e 640 c.p. e correlati vizi della motivazione della sentenza. Osserva in
proposito il ricorrente, in riferimento al capo A2), che il riconoscimento della

ÀA

responsabilità del Greco per truffa anziché per la corruzione originariamente contestata
impedirebbe l’invece recepita riqualificazione nei confronti dell’imputato e del suo
cliente Falco dello stesso fatto come tentata corruzione in atti giudiziari, attesa la
natura di reato a concorso necessario a struttura bilaterale della corruzione. Peraltro,
anche volendo seguire l’impostazione accolta dai giudici d’appello, l’inesistenza
dell’oggetto del mercimonio (provvedimento già adottato) che li ha portati a ritenere la
corruzione solo tentata avrebbe più correttamente dovuto portarli alla conclusione di
trovarsi di fronte ad un reato impossibile, atteso che, diversamente da quanto

erroneamente ritenuto in sentenza, tale inesistenza non è da imputarsi ad un caso
fortuito, bensì all’incompetenza funzionale del Greco ad adottare il provvedimento per
cui era stato concordato l’illecito pagamento. Non di meno le conclusioni a cui approda
la Corte di merito risulterebbero in contraddizione con l’assoluzione del Greco in primo
grado per il reato di cui al capo Al) per lo speculare accordo corruttivo stipulato con
l’aggiudicataria dell’asta relativa all’immobile del Falco. Infine sul punto il ricorrente
rileva come il fatto contestato al più sarebbe inquadrabile nella fattispecie di traffico di
influenze oggi sussunta nell’incriminazione di cui all’art. 346

bis c.p. ovviamente

inapplicabile all’imputato ratione temporis ai sensi dell’art. 2 c.p. Con un secondo
motivo viene poi eccepita la violazione dell’art. 522 c.p., erroneamente esclusa dalla
Corte territoriale in quanto la riqualificazione del fatto avrebbe avuto esito favorevole
all’imputato. Infatti il reato di corruzione in atti giudiziari per cui è intervenuta
condanna sarebbe più grave di quella ordinaria originariamente contestata, mentre
l’art. 319 ter c.p. non distinguerebbe, a differenza dell’art. 319 dello stesso codice, tra
corruzione propria, impropria, antecedente e susseguente ed il fatto corrisponderebbe
invece allo schema della corruzione impropria susseguente. Con un terzo ed ultimo
motivo il ricorrente lamenta infine il difetto di motivazione in merito al diniego delle
attenuanti generiche.
6. In relazione allo stesso capo A2) il ricorso del Falco lamenta a sua volta l’errata
applicazione della legge penale sostanziale e il difetto di motivazione in ordine alla
ritenuta sussistenza del reato di tentata corruzione in atti giudiziari ed all’effettiva
partecipazione dell’imputato alla sua commissione. In proposito il ricorrente rileva come
i giudici di merito abbiano acriticamente recepito la ricostruzione del fatto operata dagli
inquirenti, facendo riposare la dimostrazione della sua consumazione su elementi privi
di qualsiasi vocazione probatoria in tal senso, nonchè ignorando immotivatamente le
contestazioni difensive prospettate con il gravame di merito. In particolare sarebbe

i

ingiustificata la conclusione raggiunta dalla Corte territoriale per cui la busta con la
quale il Greco è stato visto uscire dallo studio del Serpico contenesse la tangente
versata per corromperlo. Non di meno risulterebbe illogico dedurre la volontà
dell’imputato a stipulare l’accordo corruttivo dalle risultanze di intercettazioni che non

ll

l’hanno mai visto protagonista e che hanno ad oggetto conversazioni non sicuramente
riferibili alla procedura immobiliare che lo riguardava, tanto più che alla data in cui
l’attività captativa ha avuto inizio tale procedura si era già risolta con esito favorevole
per il Falco. Non solo, l’identificazione dell’imputato come il soggetto nel cui interesse
era stato promosso il summenzionato accordo sarebbe il frutto di uno scambio di
persona attribuibile all’operante incaricato delle indagini, atteso che tale identificazione
è avvenuta sulla base dell’erroneo presupposto che il Falco eserciti il mestiere di

7. Il ricorso proposto nell’interesse del Rapicano articola due motivi. Con il primo viene
dedotto il difetto di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il
reato di turbata libertà degli incanti di cui al capo B2), rilevandosi in proposito che la
Corte territoriale si sarebbe limitata sul punto a richiamare

per relationem

la

motivazione della sentenza di primo grado omettendo di confutare le articolate
obiezioni sollevate con i motivi d’appello in ordine al travisamento delle intercettazioni
da cui è stata tratta la prova della colpevolezza del Rapicano. Con il secondo motivo il
ricorrente lamenta invece l’errata applicazione dell’art. 416 c.p. e correlati vizi
motivazionali in ordine all’affermata sussistenza del sodalizio di cui al capo B1) ed alla
partecipazione dell’imputato al medesimo con il ruolo di finanziatore dell’associazione.
Anche in questo caso, secondo il ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe limitata a
riproporre pedissequamente le argomentazioni svolte dal giudice di prime cure,
omettendo di confutare le doglianze svolte in proposito con i motivi d’appello, nei quali
si era obiettato che solo in tre occasioni il finanziamento della partecipazione alle aste
giudiziarie in cui sarebbe stato coinvolto il sodalizio proveniva dal Rapicano, mentre in
un solo caso si trattava di incanto per cui era stato contestato il reato di turbativa,
peraltro non all’imputato. Sulla base di tali risultanze sarebbe quindi inconfigurabile
l’attribuito ruolo di finanziatore dell’associazione che, per conforme giurisprudenza,
richiederebbe la prestazione di un contributo finanziario sostanziale alla realizzazione
dei reati fine e comunque non marginale, invece assente nel caso di specie.

piastrellista.

8. Anche il ricorso del Franchini articola infine due motivi. Con il primo vengono dedotte
l’errata applicazione dell’art. 353 c.p. e correlativi vizi motivazionali in merito al
ritenuto concorso dell’imputato nel reato di turbativa d’asta di cui al capo B2). In
proposito rileva il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe affermato la responsabilità
dell’imputato fondandosi sulle dichiarazioni delle persone offese, peraltro prive di

/4

riscontro alcuno, e senza confutare le articolate censure avanzate con i motivi
d’appello. In particolare la sentenza non avrebbe considerato che il Franchini si sarebbe

limitato, in maniera del tutto lecita, ad aggiudicarsi l’asta relativa al terreno
proveniente dal fallimento Delli Carpini presentando un’istanza di aumento del sesto

)

rispetto all’offerta proposta dal fallito, nel mentre non vi sarebbe alcuna prova che tale
condotta costituisse la concretizzazione, concordata con i coimputati, della minaccia
.

rivolta ai familiari dell’aggiudicatario provvisorio per convincere quest’ultimo a ritirare
la propria offerta. Non di meno i giudici d’appello non avrebbero valutato che la
provvista per l’acquisto dell’immobile era stata fornita all’imputato dal proprio padre e
non proveniva invece, come contestato, dal sodalizio di cui al capo B1), omettendo
altresì di tenere conto del fatto che non era stato il Franchini a contattare il fallito, ma

acquistato allo stesso fallito a prezzo maggiorato, tant’è che successivamente il terreno
veniva ceduto a persona estranea alla vicenda. Con il secondo motivo il ricorrente
lamenta analoghi vizi della sentenza in relazione al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche ed al diniego dell’invocata riduzione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso del Greco è fondato nei limiti che di seguito verranno esposti.
1.1 Infondate sono peraltro le censure sollevate con il primo e il secondo motivo del
ricorso in merito alla configurabilità del reato di truffa per i fatti contestati ai capi A2) e
A6). Va infatti innanzi tutto ribadito che, quando l’agente si è procurato, inducendo
taluno in errore con artifici e raggiri, un ingiusto profitto in danno di altri, il delitto di
truffa sussiste anche se il soggetto passivo abbia agito per una causa immorale,
delittuosa o altrimenti illecita, giacché non vengono meno l’ingiustizia del profitto e
l’altruità del danno, ne’ vengono meno l’esigenza di tutela del patrimonio e della libertà
del consenso dei negozi patrimoniali, che costituisce l’oggettività giuridica del reato
(Sez. 2, n. 10792 del 23 gennaio 2001, Delfino, Rv. 218673). Dalla ricostruzione degli
accadimenti operata in sentenza (non contestata sul punto dal ricorrente) risulta poi
inequivocabile che tanto il Serpico e il Falco, quanto il La Marca – e cioè le vittime delle
truffe contestate ai capi summenzionati – si siano determinati, rispettivamente, a
stipulare il patto corruttivo e a interferire con il regolare svolgimento della gara d’asta

viceversa, ovvero che egli mai aveva sostenuto l’ipotizzato disegno di rivendere il bene

solo perché ingannati dall’imputato circa la possibilità, nell’un caso, di condizionare la
decisione relativa all’assegnazione dell’immobile oggetto della procedura esecutiva e,
nell’altro, di estromettere dalla gara un “avversario” invero inesistente. Del tutto
corretta è dunque la qualificazione giuridica attribuita ai fatti di cui si tratta dai giudici
d’appello, atteso che indiscutibilmente i soggetti passivi si sono determinati a dare del
danaro al Greco ed ai suoi complici solo perché tratti in errore dagli artifizi e dai raggiri
posti in essere dal medesimo.
1.2 Manifestamente infondata è poi la doglianza sull’errata applicazione dell’art. 61 n. 9
c.p., avanzata sempre nei primi due motivi. Non è infatti dubbio che la menzionata
aggravante rimanga assorbita allorquando l’abuso di poteri o la violazione di doveri

4

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pubblici già sia considerato come elemento costitutivo del reato in contestazione, ma il
principio evocato nel ricorso va all’evidenza riferito alla struttura della fattispecie
astratta oggetto di incriminazione e non già, come pretenderebbe il ricorrente, a quella
concreta, che altrimenti il citato art. 61 n. 9 (o qualsiasi altra disposizione aggravante)
non troverebbe mai applicazione, in quanto, qualora il fatto circostanziale risulti
effettivamente realizzato, in ogni caso esso sarebbe “elemento costitutivo” della
fattispecie concreta. Nel caso di specie i giudici di merito hanno dunque correttamente
ritenuto sussistere l’aggravante in questione, atteso che l’abuso di poteri o la violazione
di doveri pubblici non sono modalità necessarie per la realizzazione della condotta tipica
della truffa come definita dall’art. 640 c.p., ma per l’appunto avvenimento che ne
qualifica in senso aggravante la consumazione. Prive di pregio sono infine anche le
ulteriori obiezioni sollevate dal ricorrente sul punto. Infatti, per il consolidato
insegnamento di questa Corte, l’aggravante in questione è configurabile anche quando
la qualità dell’agente abbia comunque facilitato la commissione del reato

(ex multis

Sez. 1, n. 24894 del 28 maggio 2009, P.G., P.C. e Beatrice, Rv. 243805; Sez. 2, n.
20870 del 30 aprile 2009, Bazzicalupo e altro, Rv. 244738). In tal senso correttamente
la Corte territoriale ha ritenuto che la qualifica di cancelliere abbia agevolato la
consumazione delle truffe contestate, avendo il Greco sfruttato tale qualifica per
accreditarsi sia con il Serpico che con il La Marca come credibile interlocutore per
interferire con le procedure esecutive cui gli stessi erano interessati. Peraltro è appena
il caso di evidenziare come le condotte dell’imputato sono state consumate in violazione
dei doveri corrispondenti alla sua funzione.
1.3 Inammissibili sono invece le censure alla motivazione della sentenza e le eccezioni
processuali sollevate con il primo motivo in relazione al reato di falso di cui al capo A3),
trattandosi della mera riproposizione di questioni già sollevate con il gravame di merito
e motivatamente respinte dalla Corte territoriale, le cui argomentazioni il ricorso non
prende nemmeno in considerazione rivelando così la sua irrimediabile genericità.
1.3.1 La sentenza impugnata, infatti, non ha fondato la prova della responsabilità
dell’imputato sulle dichiarazioni del Ciabatti, bensì sul disconoscimento da parte della
madre del medesimo della propria firma posta in calce al mandato di pagamento,
talchè l’eventuale inutilizzabilità delle prime dichiarazioni risulta questione del tutto
irrilevante, così come quella relativa all’attendibilità delle stesse.
1.3.2 Quanto poi alla mancata somministrazione alla teste degli avvisi di cui all’art. 199
c.p.p., correttamente i giudici d’appello hanno respinto l’eccezione, atteso che la
Altomare non ha deposto nei confronti del figlio, bensì su fatti in relazione ai quali era
stata ipotizzata esclusivamente la responsabilità del Greco. Nè alcun pregio vanta
l’ulteriore rilievo del ricorrente sulla necessità che la prova dell’apocrifia della firma
dell’Altomare venisse certificata da specifica indagine tecnica. Infatti alcun vincolo è
imposto in tal senso dalla legge processuale al giudice – né potrebbe essere altrimenti

in un sistema che rifugge dalle prove legali – il quale può invece trarre il proprio
convincimento sulla falsità di una scrittura da qualsiasi elemento atto a dimostrarla,
purchè fornisca in proposito idonea e sufficientemente motivazione. Pertanto le
dichiarazioni attraverso cui il presunto autore della scrittura oggetto di contestazione
ne disconosca la paternità sono assolutamente idonee, qualora non debba dubitarsi
dell’attendibilità di chi le ha rese (dubbi che nel caso di specie non sono stati sollevati
dal ricorrente), a fondare la prova della sua falsità.

ricorrente – come esattamente sottolineato in sentenza – abbia confuso in maniera
grossolana l’innocuità del falso, questione che attiene alla tipicità del fatto materiale,
con la sua presunta inutilità, profilo che in astratto potrebbe al più attingere l’ambito
della prova del dolo del reato e ciò in quanto l’innocuità del falso riguarda
esclusivamente la sua idoneità o meno ad ingannare comunque la fede pubblica a
prescindere dall’uso che dell’atto oggetto di falsificazione venga fatto (ex multis Sez. 3,
n. 34901 del 19 luglio 2011, Testori, Rv. 250825). In ogni caso ai reati di falso sono
estranee le nozioni di danno e di profitto, essendo sufficiente per il perfezionamento
delle rispettive fattispecie il mero pericolo che dalla contraffazione o dall’alterazione
possa derivare alla fede pubblica, che è l’unico bene giuridico protetto dalle norme
incriminatrici dettate in materia. Pertanto a nulla rileva ai fini della sussistenza del
reato che la immutatio veri sia stata commessa non solo senza l’animus nocendi vel
decipiendi, ma anche con la certezza di non produrre alcun danno, essendo sufficiente
che la falsificazione sia avvenuta consapevolmente e volontariamente (Sez. 6, n. 1051
del 22/05/1998 – dep. 26/01/1999, Tritta ed altri, Rv. 213908), circostanza di cui la
motivazione della sentenza fornisce logica e coerente dimostrazione, con la quale,
come detto, il ricorrente ha invece omesso di confrontarsi specificamente.
1.4 Si rivela manifestamente infondata anche l’ultima questione sollevata con il primo
motivo di ricorso, ma in relazione al reato di cui al capo A5). In proposito è appena il
caso di sottolineare – come invero ha già correttamente fatto la Corte territoriale – che
nello specifico oggetto di incriminazione, ai sensi dell’art. 479 c.p., è la falsa
certificazione da parte del Greco, attraverso l’apposizione del timbro di ricezione,
dell’avvenuto deposito nella cancelleria del Tribunale di Nola di una istanza tesa a
sollecitare la definizione della procedura esecutiva d’interesse della già nominata
Altomare, che invece l’imputato aveva ricevuto

brevi manu in un luogo e in un

momento diverso da quelli attestati. L’atto cui si riferisce la contestazione
(l’attestazione di ricezione) costituisce tipica manifestazione delle funzioni attribuite
all’imputato, mentre quello su cui è stato apposto il timbro (l’istanza di sollecitazione)
era indubitabilmente – e contrariamente a quanto dimostra di credere il ricorrente – un
atto di parte attinente la procedura di cui si è detto, risultando in tal senso irrilevante
che si trattasse di istanza sulla quale il giudice fosse o meno tenuto a provvedere.

1.3.3 Con riguardo, infine, alla eccepita inoffensività del fatto, è evidente che il

Avendo, dunque, il Greco falsamente attestato che un fatto era avvenuto alla sua
presenza nelle circostanze e con le modalità specificamente certificate con il timbro di
cui si è detto la qualificazione giuridica attribuita al fatto in sentenza deve ritenersi
corretta.
1.5 Manifestamente infondate sono anche le altre doglianze avanzate con il secondo
motivo del ricorso in relazione alla condanna per il reato di cui al capo A6). Con
riguardo all’eccezione processuale svolta dal ricorrente è infatti sufficiente evidenziare –

cui era interessato il La Marca (la cui “creazione” ha per l’appunto costituito l’oggetto
del raggiro ordito ai danni di quest’ultimo) discenda l’originaria inconfigurabilità del
reato di turbativa per il quale il soggetto passivo della truffa avrebbe dovuto essere
indagato. Quanto invece all’esimente dell’art. 50 c.p. mal si comprende per quale
ragione l’eventuale fine illecito perseguito dalla vittima del raggiro comporterebbe il
consenso della medesima ad essere truffata.
1.6 Infondato risulta altresì il terzo motivo del ricorso ad oggetto la prova dei reati di
cui ai capi A11) e Al2). L’imputato ha in proposito lamentato che la responsabilità
dell’imputato sarebbe stata affermata esclusivamente sulla base delle dichiarazioni
della persona offesa della truffa di cui al menzionato capo Al2), Casillo Rosa,
nonostante la loro inutilizzabilità conseguente al fatto che la stessa fosse stata sentita
come testimone ancorchè imputata del reato di turbativa d’asta di cui al precedente
capo A10). Come osservato dalla Corte territoriale, però, non sussisteva alcuna
connessione o collegamento probatorio tra tale ultimo reato e quelli contestati al Greco
(né il ricorrente ha saputo evidenziarne), talchè non vi era alcun ostacolo a che, sui
fatti oggetto di questi ultimi, la Casillo venisse assunta come testimone non garantita.
1.7 Come già ricordato, con il quarto motivo il ricorrente ha innanzi tutto lamentato in
via generale l’errata qualificazione come truffa di tutti i fatti riconducibili al c.d.
“sistema Greco” e in subordine l’inconfigurabilità in relazione ai medesimi
dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 9 c.p. Entrambe le censure sono peraltro infondate.
1.7.1 E’ indubbio che gli ufficiali postali, se si fossero rigorosamente attenuti alle norme
che disciplinano la gestione dei libretti sui quali erano depositate le cauzioni, non
avrebbero consentito al Greco di impossessarsi delle relative somme, atteso che le
restituzioni dovevano avvenire esclusivamente a mani dei rispettivi beneficiari. Ma il
raggiro operato dall’imputato è consistito proprio nell’indurre i medesimi ad accettare
quella che appariva come una innocua, ancorchè irrituale, prassi, ingannandoli sulla
genuinità delle sottoscrizioni in calce alle quietanze da lui predisposte attestanti il
presunto avvallo degli interessati a tale pratica. In definitiva, non essendo emersi
elementi che potessero far ritenere la complicità da parte del personale delle poste
nelle frodi (né il ricorrente ha saputo indicarne), i giudici del merito hanno logicamente
e correttamente ritenuto irrilevante ai fini della qualificazione giuridica dei fatti la loro

a tacer d’altro – come dall’accertata inesistenza del fantomatico concorrente nell’asta

eventuale negligenza, per l’appunto “provocata” dall’affidamento nella correttezza di un
cancelliere di lungo corso quale era il Greco, con il quale avevano confidenza e della cui
correttezza non avevano ragione di dubitare.
1.7.2 Peraltro va evidenziato che lo schema truffaldino ordito dall’imputato vantava una
struttura, per così dire, “bifasica”. Infatti gli ufficiali postali non erano gli unici soggetti
tratti in errore dallo stesso. Anche i destinatari dei residui di spesa venivano infatti
ingannati dal Greco al momento della restituzione delle somme, giacchè agli stessi era

effettivamente dovuto, previo occultamento dei mandati di pagamento dai quali
avrebbero potuto invece evincere l’esatta entità degli ammontari oggetto di
restituzione.
1.7.3 Quanto poi alla mancata identità tra il soggetto passivo della frode e quello
titolare dell’interesse patrimoniale leso, va ribadito quanto rilevato dalla Corte
territoriale e cioè che per l’integrazione del reato di truffa tale identità non è
necessaria, ben potendo la condotta fraudolenta essere indirizzata ad un soggetto
diverso dal titolare del patrimonio, sempre che sussista il rapporto causale tra
induzione in errore e gli elementi del profitto e del danno (ex multis Sez. 2, n. 10085
del 21 febbraio 2008, Minci, Rv. 239508). Come detto, peraltro, l’acquisizione definitiva
del profitto e la contestuale ed altrettanto definitiva determinazione del danno
avvenivano soltanto all’atto della restituzione parziale delle somme dovute, quando il
titolare del relativo diritto, ingannato sull’effettiva estensione del medesimo, rinunciava
di fatto a rivendicare anche il danaro illecitamente trattenuto dal Greco.
1.7.4 Con riguardo infine alla eccepita inconfigurabilità dell’aggravante dell’abuso di
poteri o della violazione di doveri pubblici è sufficiente richiamare quanto già osservato
sub 1.2 in merito al fatto che la fattispecie di cui all’art. 61 n. 9 c.p. è integrata anche
quando lo sfruttamento della propria qualifica da parte dell’agente abbia solo agevolato
la commissione del reato, situazione che, alla luce di quanto illustrato ai punti
precedenti, si è all’evidenza verificata nel caso di specie.
1.8 Infondate o inammissibili sono anche le questioni sollevate, sempre con il quarto
motivo, ma con riguardo alle singole imputazioni relative alle truffe e ai falsi ad oggetto
i residui di spesa.
1.8.1 In tal senso deve ritenersi certamente inammissibile l’eccezione di prescrizione
dei reati di cui ai capi A19) e A20). Infatti, con riguardo ai fatti consumati nel 2003 ivi
contestati l’imputato è già stato prosciolto in parte dal Tribunale e in parte dagli stessi
giudici d’appello, talchè alcun interesse vanta il ricorrente all’impugnazione, mentre per
quelli commessi nel 2006 il termine di prescrizione non si è ancora compiuto, tenuto
conto dei periodi in cui lo stesso è rimasto sospeso nel corso del procedimento per
complessivi anni uno, mesi uno e giorni diciannove.

fatto credere che quanto gli veniva consegnato corrispondesse a quanto gli era

1.8.2 Parimenti inammissibili sono le doglianze relative ai capi A25), A26), A44), A45),
A56), A57), A58) e A59) in quanto formulate richiamando in maniera generica quelle
avanzate con riguardo ad altri capi della sentenza, peraltro nemmeno precisati dal
ricorrente, nonché quelle relative al capo A69), prive di autonomia rispetto alle censure
proposte nella prima parte del motivo e già esaminate sub 1.7. Quanto ai capi A25) e
A26), in particolare, deve inoltre osservarsi che il ricorso risulta vieppiù generico alla
luce di quanto motivato in sentenza in ordine alle dichiarazioni della persona offesa di

1.8.3 Ancora inammissibili sono le censure mosse alla motivazione della sentenza in
merito all’attendibilità della persona offesa dei reati di cui ai capi A15) e A16), atteso
che le stesse si risolvono in apodittiche congetture tese a sollecitare il giudice di
legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi della lett. e) dell’art.
606 c.p.p.
1.8.4 Nuovamente inammissibili o comunque infondate sono le doglianze relative ai
reati di cui ai capi A17), A18), A21), A22), A50), A52) e A53). Per le truffe di cui ai capi
A21) e A50) il ricorrente, infatti, non vanta alcun interesse all’impugnazione, atteso che
da tali reati è stato assolto già nel primo grado di giudizio, mentre per gli altri illeciti
menzionati il ricorso difetta della necessaria correlazione tra le ragioni argomentate
dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che
non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, il quale ha diffusamente
motivato sulle ragioni che consentono di ritenere provati i reati in questione,
provvedendo alla puntuale confutazione delle obiezioni mosse con il gravame di merito.
Ed analoghe conclusioni vanno tratte per i rilievi mossi in relazione ai reati di cui ai capi
A24), A51) e A63). Per un verso, infatti, nei casi di specie il riconoscimento da parte
delle persone offese dell’integrale restituzione dei residui di spesa ovvero il mancato
accertamento dell’effettivo trattenimento di una parte dei medesimi già ha comportato
l’assoluzione dell’imputato per le truffe originariamente contestate ai capi A23), A62) e,
come già evidenziato, A50); per l’altro la presunta inutilità dei falsi – per come si è già
avuto modo di ribadire – non ne determina l’inoffensività, mentre la sentenza
impugnata – peraltro incontestata sul punto dal ricorrente – dimostra in maniera logica
e coerente all’evidenza disponibile l’effettiva falsificazione dei mandati di pagamento
emessi in favore di Sacco Rita, D’Angelillo Maria e Parisi Andrea.
1.8.5 Con particolare riguardo ai fatti consumati nel 2003 e contestati nei menzionati
capi A17) e A18) va peraltro osservato che i relativi reati di truffa e falso sono oramai
estinti per intervenuta prescrizione, essendosi il relativo termine compiuto già prima
della pronunzia della sentenza impugnata. In riferimento a tali imputazioni, dunque, la
medesima sentenza deve essere annullata senza rinvio per le ragioni esposte non

cui il ricorrente ha omesso la necessaria confutazione.

sussistendo le condizioni, alla luce di quanto illustrato in precedenza, per l’adozione di
formule più favorevoli all’imputato.
1.8.6 Generiche e dunque inammissibili risultano inoltre le censure del ricorrente
relative ai capi A27), A28), A29), A30), A31), A33), A34), A39), A40), A42), A43),
A46), A47), A48), A49), A54), A55) e A60), difettando le stesse, per l’ennesima volta,
del dovuto confronto con la linea argomentativa sviluppata dalla Corte territoriale
anche con specifico riguardo alle obiezioni sollevate con i motivi d’appello e comunque

congetture ovvero sulla denuncia di travisamenti di prove non meglio indicate.
1.9 Infondate – e per certi versi inammissibili – sono le doglianze dedotte con riguardo
ai reati contestati ai capi A71) e A73) con il quinto motivo.
1.9.1 Sul punto va innanzi tutto ricordato come per il costante insegnamento di questa
Corte la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata
sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, sia condotta fraudolenta, idonea
oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la
presenza su luogo di lavoro e integri il reato di truffa aggravata ove il pubblico
dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della
scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare
economicamente apprezzabili (Sez. 2, n. 5837 del 17/01/2013 – dep. 06/02/2013,
Brignone, Rv. 255201).
1.9.2 In tal senso appaiono dunque infondate innanzi tutto le censure del ricorrente in
merito al difetto di tipicità del fatto, atteso che la Corte distrettuale ha giustificato in
maniera non manifestamente illogica la propria valutazione sull’apprezzabilità del
danno economico cagionato dal Greco e dal Vassallo a causa delle loro assenze dal
luogo di lavoro, non rilevando in senso contrario che la porzione della retribuzione
illecitamente conseguita in difetto di prestazione lavorativa non sia di rilevante entità.
In proposito va infatti ritenuto che anche l’indebita percezione di poche centinaia di
euro (perché di tanto si discute) costituisca un danno economicamente apprezzabile
per l’amministrazione pubblica, atteso che apprezzabile non è sinonimo di rilevante,
come sostanzialmente dimostra di credere il ricorrente.
1.9.3 Manifestamente infondate si rivelano poi le altre censure contenute nel quinto
motivo. Quanto al difetto dell’elemento psicologico è sufficiente ricordare che quello del
delitto di truffa è costituito dal dolo generico, diretto o indiretto, avente ad oggetto gli
elementi costitutivi del reato (quali l’inganno, il profitto, il danno), anche se preveduti
dall’agente come conseguenze possibili, anziché certe della propria condotta, e tuttavia
accettati nel loro verificarsi, con conseguente assunzione del relativo rischio, il che
rende priva di rilevanza la specifica finalità del comportamento o il motivo che ha
spinto l’agente a realizzare l’inganno (Sez. 2, n. 24645 del 21 marzo 2012, Presicce,
Rv. 252824). Con riguardo invece alla lamentata incapacità del badge marca orario a

in quanto proponenti una mera rilettura alternativa degli atti, peraltro fondata su mere

documentare l’assenza dal luogo di lavoro tanto dell’imputato che del Vassallo, il
ricorrente con eccessiva disinvoltura dimentica di confrontarsi con il fatto che tale
assenza è stata provata dai giudici del merito innanzi tutto ricorrendo alle risultanze
dell’attività di intercettazione, le quali dimostrano in maniera incontrovertibile dove i
due cancellieri si trovassero durante l’orario lavorativo.
1.10 Coglie invece parzialmente nel segno il sesto motivo di ricorso.
Posto che l’utilizzazione degli esiti delle intercettazioni ai fini di prova anche per quei

riconoscimento della continuazione tra tutti quelli accertati, in quanto il collegamento
probatorio che costituisce non è di per sé sintomo dell’unitarietà del disegno criminoso
necessario ai fini dell’applicazione del disposto dell’art. 81 cpv. c.p., deve rilevarsi che
la decisione dei giudici di merito di escludere la continuazione tra i reati del c.d.
“sistema Greco” e gli altri contestati all’imputato è stata adeguatamente motivata con
un’unica eccezione. Infatti la stessa Corte territoriale ha ritenuto che il 13 aprile 2006 il
Greco si fosse assentato dall’ufficio, risultando invece presente grazie alla complicità
del Vassallo, al fine di recarsi nello studio del Serpico per “riscuotere”il provento della
truffa perpetrata ai danni del Falco. In tal senso la giustificazione del ritenuto difetto di
un disegno criminoso unitario in ragione del generico riferimento al rapporto di mera
occasionalità tra i due reati non può ritenersi nel caso specifico sufficiente, atteso che
emerge semmai dall’esposizione dei giudici d’appello una connessione teleologica tra i
due fatti. Sul punto la sentenza deve dunque essere annullata con rinvio per nuovo
esame alla Corte d’appello di Napoli, la quale, nel caso ritenesse di ribadire le
conclusioni già assunte, dovrà sostenerle con diversa e più adeguata motivazione.
1.11 Inammissibile e comunque infondato è infine il settimo motivo con cui si lamenta
l’immotivato diniego delle attenuanti generiche. In proposito va evidenziato infatti che
il provvedimento impugnato fornisce adeguata giustificazione di tale decisione,
ancorandola in maniera tutt’altro che illogica alla ritenuta gravità dei fatti, attenendosi
ai principi affermati costantemente da questa Corte, per cui il diniego delle attenuanti
generiche può essere legittimamente fondato anche sull’apprezzamento di un solo dato
negativo, oggettivo o soggettivo, che sia ritenuto prevalente rispetto ad altri elementi
(Sez. 6 n. 8668 del 28 maggio 1999, Milenkovic, rv 214200) e secondo la quale tale
dato può essere costituito anche dalla valutazione della gravità del fatto, che è uno
degli indici normativi dettati per la determinazione del trattamento sanzionatorio (Sez.
3 n. 11963/11 del 16 dicembre 2010, p.g. in proc. Picaku, rv 249754). Non di meno,
con riguardo alla lamentata mancata considerazione dell’incensuratezza dell’imputato,
la giurisprudenza di legittimità è altrettanto costante nell’evidenziare che, nel motivare
il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice
prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o

reati in relazione ai quali non erano state originariamente disposte non impone il

comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione
(Sez. 6 n. 34364 del 16 giugno 2010, Giovane, rv 248244).
1.12 In definitiva con riguardo alla posizione del Greco la sentenza deve essere
annullata senza rinvio con riguardo ai fatti consumati nel 2003 e contestati,
rispettivamente, nei capi A17) e A18) e invece con rinvio ad altra sezione della Corte
d’appello di Napoli per nuovo esame in merito al mancato riconoscimento della
continuazione tra il reato di truffa consumato il 13 aprile 2006 di cui al capo A73) e

conseguente all’annullamento senza rinvio che ha interessato i menzionati capi A17) e
A18) ed, eventualmente, al riconoscimento della continuazione di cui si è detto.

2. Infondato e per certi versi inammissibile è il ricorso del Vassallo.
2.1 Sull’inconfigurabilità delle truffe contestate all’imputato ai capi A71) e A73) in
concorso con il Greco per il difetto di un danno economicamente apprezzabile è
sufficiente rinviare a quanto osservato sub 1.9.2 in merito all’identica doglianza
avanzata nel ricorso del medesimo. Semmai va aggiunto come la sentenza resa dalla
Corte dei Conti sul danno erariale causato dagli imputati (di cui il ricorrente lamenta la
mancata considerazione) non si sia limitata alla sua quantificazione, ma ne abbia
altresì argomentato la rilevanza.
2.2 Inammissibili risultano invece le censure mosse dal ricorrente alla motivazione
della sentenza in ordine al capo A25). La Corte distrettuale ha infatti argomentato in
maniera tutt’altro che illogica sull’interpretazione dell’intercettazione assunta a prova
della responsabilità dell’imputato ed ha provveduto a confutare analiticamente le
obiezioni sollevate in proposito con in motivi d’appello, soprattutto con riguardo al
significato del riferimento alla “nota” effettuato nel corso della conversazione dal
Greco. La mera riproposizione in questa sede delle stesse obiezioni senza ulteriore
correlazione all’effettivo apparato giustificativo della sentenza impugnata rivela
conseguentemente l’aspecificità del motivo di ricorso. Non di meno deve osservarsi,
quanto al contenuto dell’intercettazione menzionata (la quale – contrariamente a
quanto sostenuto nel ricorso – non costituisce l’unico elemento a carico dell’imputato
apprezzato dai giudici napoletani), che il travisamento denunciato dal ricorrente riposa
sull’indebita estrapolazione di una unica frase della conversazione captata,
strumentalizzata al fine di sostenere che il Vassallo e il Greco stessero parlando di un
uomo e non della donna vittima della frode in contestazione, quando invece il testo
integrale di tale conversazione (riportato nel corpo della sentenza impugnata) rivela
come i due imputati stessero parlando proprio di Maria Grazia Franco, il cui nome
veniva direttamente speso dal Greco.
2.3 Inammissibile è infine anche il terzo motivo del ricorso del Vassallo, atteso che la
sentenza dà ampiamente dato conto delle ragioni che hanno portato al diniego delle

quello di cui al capo A2), nonché per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio

attenuanti generiche, che, vai la pena ricordarlo, può essere legittimamente fondato
anche sull’apprezzamento di un solo dato negativo, oggettivo o soggettivo, che sia
ritenuto prevalente rispetto ad altri elementi (Sez. 6 n. 8668 del 28 maggio 1999,
Milenkovic, rv 214200), come per l’appunto ha fatto la Corte territoriale.

3. Il primo motivo del ricorso del Serpico è fondato e deve essere accolto con il
conseguente assorbimento degli altri motivi.

giudici di merito hanno correttamente ritenuto di dover riqualificare in truffa
l’originaria imputazione di corruzione propria elevata nei confronti del Greco al capo
A2), rilevando il difetto in capo al medesimo dell’elemento soggettivo tipico del reato
inizialmente contestato, atteso che l’imputato mai aveva agito con l’intenzione di
compiere un atto contrario ai propri doveri d’ufficio e ciò in quanto il provvedimento
giudiziario la cui adozione egli avrebbe dovuto illecitamente condizionare, al momento
della conclusione dell’accordo corruttivo, già era stato adottato.
3.2 Nella necessità, a questo punto inevitabile, di aggiornare anche la qualificazione
della condotta attribuita al Serpico ed al Falco, gli stessi giudici hanno ritenuto che la
stessa comunque integri gli estremi del tentativo di corruzione in atti giudiziari.
Fattispecie questa in astratto ipotizzabile giacchè, come già stabilito da questa Corte,
nel delitto di corruzione in atti giudiziari, non essendo applicabile l’ipotesi di cui all’art.
322 c.p. non richiamata dall’art. 319 ter c.p., deve ritenersi configurabile il tentativo,
quando sia posta in essere la condotta tipica con atti idonei e non equivoci (l’offerta o
la promessa) e l’evento non si verifichi (ad esempio per mancata accettazione) (Sez.
6, n. 13048 del 25 febbraio 2013, Ferrieri Caputi, Rv. 255604: Sez. 6, n. 12409 del 6
febbraio 2007, P.M. in proc. Sghinolfi, Rv. 236830).
3.3 In concreto, però, la soluzione adottata dalla Corte distrettuale non è condivisibile.
Infatti, quelli di corruzione sono reati plurisoggettivi (o a concorso necessario) a
struttura bilaterale (ex multis Sez. 6, n. 33435 del 4 maggio 2006, Battistella e altri,
Rv. 234361), dove la condotta del corruttore e quella del corrotto si compenetrano

3.1 In particolare deve ritenersi fondato il primo profilo attinto dal ricorrente. Infatti i

nella realizzazione di un fatto criminoso unitario. Nel caso di specie, per come
accertato dalla sentenza impugnata, risulta che il Greco abbia effettivamente ricevuto
il compenso pattuito con il Serpico per conto del Falco, talchè deve ritenersi che la
corruzione si sia in astratto consumata sul piano dell’oggettività materiale. Non è più
possibile a questo punto isolare una parte della condotta dei due imputati menzionati
da ultimi per ritenere che la stessa integri comunque la fattispecie tentata. Come
accennato, perché sia configurabile il tentativo di corruzione è necessario che, sotto il
profilo materiale, il fatto considerato nell’art. 319 ter c.p. non si sia perfezionato e cioè
che la corruzione del pubblico ufficiale non sia in concreto avvenuta per ragioni
indipendenti dalla volontà dei corruttori. La circostanza che il reato non sia comunque

A

/

configurabile per il difetto dell’elemento psicologico in capo ad uno dei suoi autori
determina a questo punto, in ragione della strutturale unitarietà della fattispecie,
semplicemente che il fatto non è tipico per nessuno dei concorrenti necessari ed
impedisce che gli stessi corruttori possano essere puniti a titolo di tentata corruzione.
3.4 Sotto altro profilo va poi ricordato che questa Corte ha già avuto modo di stabilire
come si versi nell’ipotesi di reato impossibile di cui al secondo comma dell’art. 49 c.p.
qualora l’accordo corruttivo si riferisca ad un atto o ad un comportamento del pubblico

verifichi (Sez. 6, n. 34489 del 30 gennaio 2013, P.G. in proc. Casula e altri, Rv.
256123). Principio affermato in relazione alla fattispecie del reato consumato, ma che
non può non applicarsi anche a quella del tentativo, che altrimenti la punizione per
quest’ultimo troverebbe la sua giustificazione esclusivamente sul piano della mera
disobbedienza nell’evidente inoffensività della condotta del corruttore. E che nel caso
di specie ricorra l’ipotesi illustrata risulta incontestabile, atteso che l’impossibilità per il
Greco di influire sull’adozione del provvedimento giudiziario cui era interessato il Falco
era assoluta ed originaria, tanto da costituire la ragione stessa dell’ideazione da parte
del primo della frode ai danni del secondo.
3.5 La sentenza deve dunque essere annullata senza rinvio nei confronti del Serpico
perché il fatto a lui imputato non sussiste.

4. Annullamento che deve essere necessariamente esteso anche alla posizione del
Falco, che pure ha sollevato, sebbene in maniera quasi incidentale, il profilo
dell’inconfigurabilità del tentativo di corruzione del Greco e che comunque deve potersi
giovare del motivo proposto dal Serpico ai sensi del primo comma dell’art. 587 c.p.p.
Anche gli altri motivi del suo ricorso devono ritenersi a questo punto assorbiti e
comunque deve rilevarsene in parte l’infondatezza e in parte l’inammissibilità. Infatti la
Corte territoriale ha ampiamente spiegato perchè non vi sia alcun dubbio in merito
all’identificazione dell’imputato con il soggetto nel cui interesse si sviluppò la trattativa
illecita tra il Serpico e il Greco anche a prescindere dall’eventuale errore in cui sarebbe
caduto l’operante Russo nel corso della sua deposizione dibattimentale in merito alla
professione del Falco. Spiegazione con la quale il ricorrente ha omesso di confrontarsi
in alcun modo, limitandosi a riproporre la doglianza formulata sul punto con il gravame
di merito. Non meno generiche risultano poi le altre censure avanzate con il ricorso,
atteso che la sentenza impugnata, in maniera tutt’altro che illogica, ha dedotto la
partecipazione dell’imputato al disegno corruttivo dal contenuto delle conversazioni
intervenute tra il Serpico – il quale agiva nell’esclusivo interesse dell’imputato – e il
Greco, idonee per l’appunto ad evidenziare come il primo avesse acconsentito alle
richieste del secondo solo dopo aver consultato il proprio cliente. Motivazione questa
che il ricorrente ha contestato in maniera meramente assertiva e senza confrontarsi

ufficiale che appaia, in base ad un giudizio ex ante, in modo assoluto impossibile si

r

nuovamente con l’effettivo contenuto delle argomentazioni spese dalla Corte
distrettuale, la quale, tra l’altro, ha, ancora una volta in modo logico e coerente
all’evidenza disponibile, tratto dalle risultanze dell’indagine tecnica la prova del
contenuto della busta che il Greco è stato visto ritirare presso lo studio del Serpico.

5. Il ricorso del Crocetta è inammissibile. La motivazione della sentenza impugnata si
è fatta carico di tutte le obiezioni sollevate dall’imputato con il gravame di merito ed
ha altresì fornito ampia dimostrazione del suo coinvolgimento nella truffa di cui al capo
A6), ricavando la prova del fatto in maniera logica e coerente al loro contenuto dagli
esiti dell’attività di intercettazione, da cui emerge come il Crocetta ed il Greco si
accordarono esplicitamente per ingannare il La Marca circa l’effettiva esistenza di un
ulteriore partecipante all’asta cui egli era interessato. La Corte distrettuale si è poi
soffermata sul fatto che lo stesso La Marca avesse dichiarato in dibattimento di aver
assistito il pomeriggio del 17 marzo 2006 alla sola telefonata effettuata dal Crocetta al
fantomatico “concorrente” (telefonata in realtà solo inscenata dall’imputato) e non
anche a quella successiva nel corso del quale il suo legale comunicava al menzionato
Greco gli esiti della trattativa, ma ha in maniera del tutto logica ritenuto irrilevante
quello che appare come un evidente difetto della memoria del teste, atteso che la
seconda comunicazione (invero l’unica effettivamente avvenuta) è stata intercettata e
dal suo inequivocabile tenore si evince che mentre la stessa avveniva la vittima era
effettivamente presente nello studio del Crocetta. Per confutare tale coerente ed
esaustiva linea argomentativa il ricorrente si è limitato sostanzialmente a ribadire le
obiezioni che, come detto, i giudici d’appello si sono invece peritati di confutare
specificamente, rivelando così l’assoluta genericità del ricorso, certo non superata dalle
doglianze relative alla omessa valutazione della contrattazione svolta dall’imputato al
fine di ottenere uno sconto sul prezzo dell’esclusione del terzo partecipante all’asta
ovvero del difetto di prova alcuna di passaggi di danaro dal Greco al Crocetta. Della
prima circostanza, infatti, la Corte distrettuale si è invero occupata, riconducendola nel
corretto contesto, atteso che la presunta contrattazione è stata dispiegata
dall’imputato nel corso della finta telefonata al fantomatico concorrente del La Marca e
dunque costituiva null’altro che un espediente per rendere ai suoi occhi ancor più
credibile la pantomima che si stava consumando ai suoi danni. La seconda è stata
invece implicitamente e giustamente ritenuta irrilevante una volta acquisita prova
inconfutabile della partecipazione del Crocetta alla frode.

6. E’ inammissibile anche il ricorso del Rapicano in quanto fondato su motivi non
specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già
esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della
necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e


I

%

quelle poste a fondamento dell’impugnazione

(ex multis Sez. 4, n. 18826 del

09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849). Sulla configurabilità del reato
associativo di cui al capo B1) la sentenza impugnata non si è infatti limitata a
richiamare la motivazione della pronunzia di primo grado, come affermato dal
ricorrente, ma ha svolto un’autonoma ed articolata analisi degli elementi sintomatici
dell’esistenza del sodalizio coerente con il compendio probatorio di riferimento,
ricordando peraltro che i coimputati del Rapicano hanno tutti reso confessione sul
punto, circostanza a dir poco dirimente e comunque incontestata nel ricorso. Parimenti
sul ruolo di finanziatore dell’associazione contestato all’imputato la Corte distrettuale
ha confutato le censure avanzate con l’atto d’appello, sia ricostruendo gli specifici
episodi in cui è stato accertato che la provvista necessaria alla partecipazione alle aste
proveniva dalle sue disponibilità, sia evidenziando le intercettazioni indicative del
coinvolgimento del Rapicano nella gestione del sodalizio. Non meno diffusa e coerente
all’evidenza disponibile è poi la motivazione resa dai giudici d’appello sull’effettività del
contributo concorsuale dell’imputato alla consumazione del reato fine dell’associazione
di cui al capo B2), peraltro correttamente ritenuto ulteriormente sintomatico della sua
intraneità all’associazione. La linea argomentativa così sviluppata appare immune da
qualsiasi caduta di consequenzialità logica, evidenziabile dal testo del provvedimento,
mentre le doglianze del ricorrente si rivelano per l’appunto meramente ripropositive di
quelle avanzate con il gravame di merito e non tengono conto dell’effettivo contenuto
della motivazione svolta dai giudici napoletani (omettendo ad esempio qualsiasi
confutazione del significato probatorio attribuito alle risultanze delle intercettazioni),
limitandosi al più all’assertiva negazione del valore indiziario di alcuni elementi,
peraltro indicati in maniera assolutamente generica, come nel caso della eccepita
liceità di alcune delle operazioni finanziate dall’imputato.

7.11 ricorso del Franchini è parzialmente fondato.
7.1 Infondato al limite dell’inammissibilità è invero il primo motivo, atteso che le
censure del ricorrente si fondano su una parziale rilettura del compendio probatorio di
riferimento e non tengono conseguentemente conto di quanto effettivamente
argomentato sulla posizione dell’imputato dalla Corte distrettuale. In particolare il
ricorso non si confronta con quanto osservato alle pp. 169 e ss. della sentenza con
riguardo al contenuto delle intercettazioni ed agli esiti dell’attività di appostamento, da
cui in maniera tutt’altro che illogica è stata tratta la prova del coinvolgimento del
Franchini nel disegno ordito dai suoi concorrenti per allontanare il fallito e i suoi
familiari dall’asta cui egli ha partecipato. Omissione che si ripercuote sulla specificità
delle doglianze avanzate dal ricorrente, che non precisa per quali ragioni le circostanze
della cui mancata considerazione si lamenta sarebbero invece idonee a mettere in crisi
la tenuta del ragionamento seguito dai giudici d’appello.

..

7.2 Inammissibile, in quanto assolutamente generico, è altresì il secondo motivo ove

■•

critica la motivazione della sentenza impugnata in merito alla dosimetria della pena,
mentre coglie invece nel segno l’ulteriore doglianza riservata alla mancata concessione
delle attenuanti generiche. Sul punto infatti, a fronte delle specifiche censure mosse
con il gravame di merito, la risposta fornita dalla Corte distrettuale si risolve
sostanzialmente nel mero rinvio a quanto esposto nella sentenza di primo grado e
deve dunque ritenersi sussistente il vizio di motivazione apparente denunciato dal
ricorrente. Limitatamente a tale profilo, pertanto, la sentenza deve essere annullata
con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio
nei confronti di Serpico Graziano e Falco Felice perché il fatto loro contestato non
sussiste;
nei confronti di Greco Giuseppe per essere i reati di cui ai capi A17) e A18),
limitatamente ai fatti commessi nel 2003, estinti per intervenuta prescrizione.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di
Napoli per nuovo esame
in ordine alla negata continuazione a Greco Giuseppe tra il reato di cui al capo A2) e
quello di cui al capo A73), limitatamente al fatto commesso il 13 aprile 2006,
nonché per la rideterminazione della pena;
nei confronti di Franchini Ciro in ordine alle negate attenuanti generiche.

Rigetta nel resto i ricorsi di Greco e Franchini.

Rigetta il ricorso di Vassallo Antonio che condanna al pagamento delle spese del
procedimento.

Dichiara inammissibili i ricorsi di Crocetta Raffaele e Rapicano Giulio e condanna
ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille in
favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 17/12/2013

i

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