Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8423 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8423 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi presentati da:
Caracciolo Angelo, nato a Savona, il 14/6/1946;
Capasso Giuseppe, nato a Caserta, il 15/11/1945;

avverso la sentenza del 12/11/2012 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso di Caracciolo Angelo
e per il rigetto del ricorso di Capasso Giuseppe;
udito per l’imputato Capasso l’avv. Pietro Cerasaro, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 16/10/2013

1.Con sentenza del 12 novembre 2012 la Corte d’appello di Genova confermava la
condanna di Caracciolo Angelo per i reati di circonvenzione di incapace ai danni di
Spezialetti Tiziana (capo D) e di bancarotta fraudolenta patrimoniale (capo A), nel
quale, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, riteneva assorbito l’ulteriore
reato di causazione dolosa del fallimento della Silvermar s.a.s. (capo B), procedendo
infine ad escludere la recidiva riconosciuta dal giudice di prime cure e a rimodulare
conseguentemente in senso favorevole all’imputato il trattamento sanzionatorio.

pronunzia di primo grado, condannava anche Capasso Giuseppe per il menzionato
reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale dal quale era stato assolto in precedenza
e dichiarava non doversi procedere nei confronti del medesimo per il reato di
circonvenzione di incapace ai danni di Manno Francesca (capo F) per cui invece aveva
riportato condanna, rilevandone l’estinzione per intervenuta prescrizione.
2. Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati.
2.1 II ricorso proposto dal Caracciolo a mezzo del proprio difensore deduce carenze
motivazionali della sentenza impugnata in merito alla ritenuta attendibilità della
Spezialetti, amministratrice di diritto della fallita e vittima della presunta
circonvenzione, sulle cui dichiarazioni la Corte territoriale avrebbe esclusivamente
fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato, non risultando che il Caracciolo
abbia mai intrattenuto rapporti commerciali con i fornitori della Silvermar e per conto
di questa.
2.2 Con il ricorso proposto personalmente dal Capasso si lamentano analoghi vizi della
motivazione del provvedimento impugnato. In primo luogo il ricorrente contesta la
ritenuta affidabilità del riconoscimento effettuato da alcuni fornitori della fallita del
Capasso come uno dei soggetti che per conto della medesima e sotto falsa identità
avrebbe effettuato gli ordinativi di merce mai pagati, rilevando come si sia trattato per
lo più di riconoscimenti fotografici effettuati mediante una risalente immagine
dell’imputato e da parte di testimoni che avevano attribuito al loro interlocutore uno
spiccato accento piemontese incompatibile con l’origine campana del Capasso, tutte
circostanze non considerate dalla Corte territoriale. In secondo luogo viene eccepito
che nel rivalutare la pregnanza accusatoria delle menzionate ricognizioni i giudici
d’appello avrebbero dovuto procedere alla diretta audizione dei testimoni, come
avevano fatto i giudici di prime cure apprezzandone le incertezze nel riconoscimento
dell’imputato. Infine il ricorrente lamenta l’immotivata svalutazione da parte della
sentenza delle dichiarazioni della Spezialetti, la quale ha escluso la partecipazione del
Capasso alla gestione della fallita, nonostante la medesima fosse stata sempre
presente nella sede della società ed avesse firmato tutti gli ordinativi effettuati per
conto della medesima, oltre ad occuparsi dello stoccaggio e della rivendita della merce

Contestualmente la Corte territoriale, questa volta riformando in maniera radicale la

oggetto dei suddetti ordinativi. Non di meno la Corte territoriale avrebbe illogicamente
interpretato le circostanze della presunta circonvenzione della Manno per pervenire
alla conferma della condanna dell’imputato per tale fatto. Da ultimo il ricorrente
censura l’immotivato diniego delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso del Caracciolo è inammissibile, atteso che le doglianze avanzate dal ricorrente

motivatamente respinte dalla sentenza impugnata. Infatti la Corte territoriale ha
esaurientemente spiegato le ragioni per cui gli esiti della consulenza medico-psichiatrica
sulla Spezialetti non possono essere interpretati nel senso preteso dal ricorrente e ha
parimenti illustrato i motivi per cui non è significativa la circostanza del mancato
riconoscimento dall’imputato da parte dei fornitori, evidenziando come il peculiare ruolo
ricoperto dallo stesso nell’ambito del piano fraudolento posto in essere ai danni della fallita
– ruolo testimoniato dall’affitto e dalla tenuta del magazzino dove veniva stoccata la merce
oggetto delle successive distrazioni, nonché dalla “gestione” della Spezialetti – risulti del
tutto compatibile con l’assenza di contatti diretti con i menzionati fornitori. La linea
argomentativa così sviluppata risulta immune da qualsiasi caduta di consequenzialità
logica, evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre le assertive e ripetitive
contestazioni svolte dal ricorrente risultano affatto generiche nella misura in cui non si
confrontano effettivamente con le spiegazioni offerte dai giudici dell’appello. E
considerazioni analoghe devono essere svolte con riguardo all’ulteriore obiezione tesa a
mettere in discussione la credibilità della Spezialetti con riguardo al suo presunto interesse
a rendere dichiarazioni mendaci. Infatti, anche in questa occasione alle puntuali
osservazioni della Corte territoriale il ricorso si limita a contrapporre in maniera del tutto
generica un brano estrapolato dalla relazione del curatore fallimentare, sulla cui decisività
non si sofferma, omettendo quindi di spiegare in che modo lo stesso sarebbe in grado di
inficiare la tenuta argomentativa della motivazione della sentenza in merito all’attendibilità
della teste.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

2. Il ricorso del Capasso è invece infondato, ancorchè per molti aspetti risulti in realtà
inammissibile.
2.1 La sentenza di primo grado aveva motivato l’assoluzione del Capasso in ragione delle
incertezze dimostrate dai testi Flavoni e Depetris nel riconoscerlo come il soggetto che,
presentandosi sotto il falso nome di Betti, aveva loro commissionato a nome della fallita

sostanzialmente ripropongono quelle contenute nei motivi del gravame di merito

delle forniture, nonché della ritenuta inattendibilità del riconoscimento effettuato invece in
termini di certezza da parte di un altro fornitore, tale Vacca. Non di meno il Tribunale
aveva argomentato altresì dalle dichiarazioni della Spezialetti – ritenuta particolarmente
attendibile in quanto titolare di validi motivi per veder condannato l’imputato – la quale
aveva invece escluso il coinvolgimento dello stesso Capasso negli ordinativi della merce poi
distratta e soprattutto la sua identificabilità con il suindicato Betti.
2.2 Nel disattendere le conclusioni del giudice di prime cure, la Corte territoriale ha, per un

decisive e, per l’altro, rilevato come invece siano stati numerosi e convergenti i
riconoscimenti dell’imputato effettuati dai fornitori della Silvermar.
In particolare, sotto il primo profilo, i giudici d’appello hanno spiegato come nella gestione
fraudolenta della società, la falsa identità del Betti venisse utilizzata promiscuamente,
risultando dunque irrilevante che qualcuno che non era il Capasso fosse stato presentato
alla donna con quel nome, mentre la stessa, non avendo mai partecipato alle
contrattazioni con i fornitori, non poteva fondatamente escludere la partecipazione alle
stesse dell’imputato. Con riguardo al secondo profilo, invece, la sentenza impugnata ha
sottolineato come il teste Campiglio (le cui dichiarazioni erano state invece scartate dal
Tribunale, in quanto questi non aveva riconosciuto il Capasso in aula) e il teste Flavoni
avessero comunque riferito di aver identificato con sicurezza, nel corso delle indagini
preliminari, l’imputato con il sedicente Betti e che il De Petris avesse riconosciuto il
Capasso non solo in fotografia, ma altresì di persona in udienza. Quanto infine al teste
Vacca, la cui certezza nell’identificare in aula l’imputato era stata per il Tribunale sospetta
atteso il tempo trascorso dai fatti, la Corte territoriale ha evidenziato come egli in udienza
si fosse espresso nel senso della mera somiglianza del Capasso con colui che gli era stato
introdotto come il Betti, mentre tutt’altra sicurezza aveva dimostrato in sede di
ricognizione fotografica a poca distanza di tempo dai fatti.
2.3 A questo punto, nell’affrontare le doglianze del ricorrente, in punto di diritto va innanzi
tutto ricordato che il giudice di merito può trarre il proprio convincimento anche da
ricognizioni non formali (quale, appunto, l’individuazione fotografica), utilizzabili in virtù
dei principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice,
atteso che la valenza dimostrativa della prova sta non nell’atto in sé, bensì nella
testimonianza che da conto dell’operazione ricognitiva (Sez. 4 n. 25658 del 27 giugno
2011, Sula Taulant, non massimata; Sez. 2 n. 33567 del 13 maggio 2009, Perrone, non
massimata). In tali ipotesi, seppure i verbali di individuazione non possono sicuramente
acquisirsi al dibattimento, neanche per il tramite delle contestazioni a norma dell’art. 500
c.p.p., è indubbio che l’esame testimoniale ben può svolgersi anche sulle modalità della
pregressa individuazione al fine di procedere ad una valutazione globale di chi rende la
dichiarazione (Sez. 2 n. 16204 del 11 marzo 2004, Kerkoti Perparim, rv 228777). E ciò in
quanto l’individuazione di un soggetto – sia personale che fotografica – è una

verso, evidenziato le ragioni per cui le dichiarazioni della Spezialetti non possano ritenersi

manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più
generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle
modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla
stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez. 6 n. 6582/08 del 5 dicembre 2007,
Major, rv 239416).

Otfsvi)

2.4 Conseguentemente i17 pregio assumono le lamentele attinenti alle modalità delle
ricognizioni fotografiche effettuate nel corso delle indagini preliminari, tanto più se si tiene

aula del Capasso da parte dei testi. Quanto poi alla mancata valutazione della circostanza
per cui al Betti sarebbe stata attribuito un accento piemontese incompatibile con le origini
campane dell’imputato, la censura si rivela inammissibile, atteso che il vizio denunciato in
definitiva è quello del travisamento per omessa considerazione di una prova, sulla cui
individuazione il ricorso però difetta di specificità, non essendo stato precisato quali testi
avrebbero indicato il summenzionato particolare e da quale atto processuale la circostanza
emergerebbe, dovendosi in proposito altresì ricordare che, secondo l’insegnamento di
questa Corte, qualora la prova omessa o travisata abbia natura dichiarativa, il ricorrente
ha l’onere di riportarne integralmente il contenuto, non limitandosi ad estrapolarne alcuni
brani ovvero a sintetizzarne autonomamente il contenuto – come avvenuto invece nel caso
di specie -, giacchè così facendo viene impedito al giudice di legittimità di apprezzare
compiutamente il significato probatorio delle dichiarazioni e, quindi, di valutare l’effettiva
portata del vizio dedotto (Sez. 4 n. 37982 del 26 giugno 2008, Buzi, rv 241023; Sez. F., n.
32362 del 19 agosto 2010, Scuto ed altri, Rv. 248141). E ciò a tacere del fatto che il
rilievo appare scarsamente significativo, atteso che un accento regionale è notoriamente
facilmente dissimulabile e, dunque, a fronte di riconoscimenti effettuati in termini di
certezza, sarebbe stato compito del ricorrente dimostrare perché la circostanza evocata
assumerebbe rilevanza decisiva, tale cioè da inficiare la tenuta logica dell’apparato
giustificativo della sentenza impugnata.
2.5 Inammissibili in quanto assolutamente generiche sono poi le critiche mosse alla
motivazione della sentenza in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della Spezialetti,
atteso che il motivo di ricorso dimostra di non essersi in alcun modo confrontato con le
argomentazioni, esaustive e coerenti al contenuto della prova, svolte dalla Corte
territoriale in merito all’irrilevanza di tali dichiarazioni, limitandosi a riproporre le censure
avanzate con il gravame di merito.

3. Venendo all’ulteriore lamentela per cui la Corte territoriale avrebbe dovuto, per
riformare la sentenza di primo grado, procedere alla diretta audizione dei testimoni
valutati dal Tribunale, è necessario premettere alcune osservazioni.
3.1 Sulla possibilità e sui limiti della riformabilità in peius di una sentenza assolutoria di
primo grado in appello si è, come noto, occupata negli ultimi anni la Corte Edu, la quale,

conto che nella maggior parte dei casi sono state seguite dalla diretta individuazione in

con la sentenza 5 luglio 2011, Dan vs. Moldavia e con alcune successive pronunzie, ha
fissato principi dei quali è necessario tener conto nel presente giudizio.
Con la ricordata pronuncia, infatti, i giudici di Strasburgo hanno sottolineato che non
contrasta in linea astratta con i principi della Convenzione (e in particolare con il disposto
dell’art. 6 § 1 della medesima) la condanna emessa nel grado di appello, in riforma di una
pronuncia assolutoria, purchè l’affermazione di responsabilità, qualora determinata da una
diversa valutazione di attendibilità di prove orali ritenute decisive, consegua all’esame

3.2 Nel recepire gli illustrati principi, la giurisprudenza di legittimità ne ha chiarito gli esatti
presupposti applicativi, individuandoli nella decisività della prova dichiarativa nell’economia
dell’affermazione di responsabilità e nella necessità, ai fini dell’apprezzamento del suo
significato probatorio, di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell’attendibilità
della sua fonte (Sez. 5, n. 38085 del 5 luglio 2012, Luperi, Rv. 253541).
3.3. Entro tali limiti questa Corte ha dunque riconosciuto l’illegittimità della pronunzia del
giudice di appello che riformi la decisione assolutoria assunta in primo grado sulla base di
un diverso apprezzamento dell’attendibilità di una testimonianza, senza procedere a
rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale (Sez. 5, n. 28061 del 7 maggio 2013,
Marchetti, Rv. 255580; Sez. 6, n. 16566 del 26 febbraio 2013, Caboni, Rv.254623). Per
converso ha escluso la necessità di riassumere la prova dichiarativa qualora il giudice
d’appello non abbia compiuto una rivisitazione in senso peggiorativo delle prove già
acquisite, ma abbia invece fornito una lettura corretta e logica degli elementi probatori
palesemente travisati dal primo giudice (Sez. 4, n. 4100/13 del 6 dicembre 2012, Bifulco,
Rv. 254950) ovvero quando non proceda ad una mera rivalutazione delle dichiarazioni del
teste, ma le apprezzi alla luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice (Sez. 5, n.
10965 del 11 gennaio 2013, Cava e altro, Rv. 255223).
3.4 Nell’aderire agli illustrati approdi interpretativi, il Collegio ritiene quindi che il principio
sancito dal giudice sovranazionale non possa trovare applicazione nel caso di specie.
Infatti, al più nel solo caso del riconoscimento effettuato dal Flavoni vi è stata da parte
della Corte territoriale una mera rivalutazione dell’attendibilità del teste, atteso che, negli
altri casi. il giudice dell’appello ha ritenuto le prove dichiarative funzionali all’affermazione
della responsabilità dell’imputato sulla base di elementi invece trascurati dal giudice di
primo grado e dunque non sulla base della medesima piattaforma di riferimento utilizzata
dal Tribunale. Era a questo compito onere del ricorrente evidenziare in quali termini il
contributo probatorio offerto dal citato Flavoni – a fronte della ritenuta convergenza di
ulteriori e plurimi riconoscimenti del Capasso come l’autore dei fraudolenti ordinativi della
merce distratta dalla fallita e degli altri elementi valorizzati in maniera inedita nella
motivazione della sentenza per affermare l’affidabilità degli stessi – doveva considerarsi
essenziale nell’economia della decisione impugnata, cosa che non ha fatto.

diretto dei testimoni da parte del giudice del gravame.

4. Nuovamente inammissibili sono infine le ultime due doglianze sollevate dal ricorrente.
Declinate in fatto risultano invero le censure mosse dal ricorrente alla conferma della
condanna dell’imputato per il reato di circonvenzione di incapace, le quali si risolvono nella
prospettazione di una lettura soggettivamente orientata del materiale probatorio
alternativa a quella fatta motivatamente propria dal giudice di merito nel tentativo di
sollecitare quello di legittimità ad una rivisitazione degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione od all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di

dell’art. 606 c.p.p.. Generico si rivela invece il ricorso nella critica al diniego delle
attenuanti generiche, motivato dalla Corte territoriale, alla luce delle considerazioni svolte
dalla stessa a sostegno dell’affermazione di responsabilità che implicitamente richiamano
la gravità del fatto accertato, in linea con i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità
messuo

sul tema, mentre ~ effettivo valore doveva e poteva attribuirsi a quella che in
definitiva è l’unica circostanza invocata dal ricorrente a favore della concessione delle
generiche e cioè il fatto che egli abbia partecipato al processo con assiduità, atteso che
quello di partecipare (o non partecipare) è un diritto dell’imputato il cui esercizio non può
costituire di per sé un incondizionato elemento di favore ai fini dell’applicazione dell’art. 62
bis c.p.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di Caracciolo Angelo e condanna lo stesso al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta il ricorso di Capasso Giuseppe che condanna al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 16/10/2013

ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai sensi della lett. e)

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