Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8421 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8421 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

Data Udienza: 16/10/2013

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Pascali Antonio, nato a Ascoli Piceno, il 26/5/1953 ;

avverso la sentenza del 13/10/2011 della Corte d’appello di Ancona ;
visti g li atti, il provvedimento impu g nato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consi g liere Dott. Luca Pistorelli ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore

g enerale Dott.

Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ;
udito per l’imputato l’avv. Nazario A g ostini, che ha concluso chiedendo l’acco g limento
del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza del 13 ottobre 2011 la Corte d’appello di Ancona confermava la
condanna, anche al risarcimento del danno, di Pascali Antonio per il reato di
bancarotta fraudolenta documentale commesso nella sua qualità di liquidatore della
Struzzi Italia s.r.l., fallita il 27 dicembre 2000, mentre, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso
imputato per il reato di cui all’art. 367 c.p., relativo alla ritenuta simulazione del furto
della contabilità della fallita, rilevandone l’estinzione per intervenuta prescrizione e

grado di giudizio in senso favorevole all’imputato.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore deducendo
violazione della legge processuale e correlati vizi motivazionali, evidenziando come la
Corte territoriale avrebbe illegittimamente fondato l’affermazione di responsabilità
dell’imputato per il reato di bancarotta documentale sulla base delle invece
inutilizzabili dichiarazioni rese nel dibattimento di primo grado dal curatore
fallimentare, il quale aveva riportato quanto riferitogli nel corso dell’istruzione
fallimentare dal Salvi Pietro (già amministratore unico della fallita) e dallo stesso
Pascali in merito alla effettiva consegna delle scritture contabili poi non rinvenute a
quest’ultimo da parte del primo.
CONSIDERATO IN DIRMO
Il ricorso è inammissibile attesa la sua evidente genericità e manifesta infondatezza.
Sotto il primo profilo va ricordato che, ai sensi dell’art. 581 lett. c) c.p.p.,
l’impugnazione, per poter essere considerata ammissibile, deve indicare
specificamente le ragioni di diritto che sorreggono le proprie richieste. Onere cui il
ricorrente si è all’evidenza sottratto, non precisando in alcun modo le ragioni della
denunciata inutilizzabilità delle dichiarazioni del curatore. Non di meno, qualora queste
dovessero essere presuntivamente – il che per l’appunto la dice lunga sulla genericità
del motivo di ricorso – individuate in un eventuale divieto all’assunzione della
testimonianza indiretta del curatore sulle dichiarazioni del fallito imputato per fatti di
bancarotta, è appena il caso di ricordare come per il consolidato orientamento di
questa Corte le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla
disciplina di cui all’art. 63, comma secondo c.p.p., in quanto l’organo fallimentare non
rientra tra i soggetti menzionati da tale disposizione e la sua attività non è
riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 disp. coord. c.p.p. che concerne le
attività ispettive e di vigilanza (ex multis Sez. 5, n. 13285 del 18 gennaio 2013,
Pastorello, Rv. 255062).
Quanto ai presunti difetti nella motivazione della sentenza, le doglianze del ricorrente
risultano parimenti generiche in quanto meramente assertive e prive della necessaria

procedeva conseguentemente alla rimodulazione della pena irrogata nel precedente

correlazione con l’effettivo contenuto della sentenza, la quale ha dedotto, in modo che
va esente da rilievi evidenziabili in questa sede, la responsabilità dell’imputato oltre
che dall’accertamento dell’avvenuta consegna delle scritture contabili, dall’accertata
falsità della denuncia del furto delle medesime.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16/10/2013

P.Q.M.

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