Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8413 del 16/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8413 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sui ricorsi proposti dal difensore di:
Besurga Giampaolo, nato a Milano, il 20/1/1964;
Besurga Antonella, nata a Milano, il 26/10/1960;

avverso la sentenza del 3/11/2011 della Corte d’appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza del 3 novembre 2011 la Corte d’appello di Milano confermava la
condanna di Besurga Giampaolo e Besurga Antonella per i reati di bancarotta

Data Udienza: 16/10/2013

fraudolenta patrimoniale e documentale e di bancarotta fraudolenta impropria ex art.
223 comma 2 n. 2 legge fall. commessi nelle loro rispettive qualità di presidente del
consiglio di amministrazione e di consigliere delegato della COM.INT s.r.I., dichiarata
fallita il 15 gennaio 1998. Contestualmente la Corte territoriale, in parziale riforma
della pronunzia di primo grado, concedeva a Besurga Antonella le attenuanti generiche
e conseguentemente provvedeva a rimodulare in senso favorevole all’imputata la pena
e a revocare la condanna della medesima alla pena accessoria dell’interdizione dai

2. Avverso la sentenza ricorrono entrambi gli imputati a mezzo del proprio difensore
limitatamente al capo della sentenza relativo alla conferma della condanna per il reato
di causazione del fallimento per effetto di operazioni dolose, deducendo carenze
motivazionali del provvedimento impugnato in merito alla ritenuta sussistenza di un
nesso eziologico tra il mancato pagamento delle imposte dovute dalla società e
l’insorgenza del dissesto, nonché in merito alle responsabilità del curatore per la
mancata coltivazione del ricorso amministrativo avverso la configurabilità del
contestato debito tributario.
CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono manifestamente infondati.
Deve infatti rammentarsi che in tema di fallimento determinato da operazioni dolose,
non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare
né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo
la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 c.p., né il fatto che l’operazione
dolosa contestata abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto
(Sez. 5, n. 17690 del 18 febbraio 2010, Cassa Di Risparmio Di Rieti S.p.a. e altri, Rv.
247316; Sez. 5, n. 19806 del 28 marzo 2003, Negro ed altri, Rv. 224947). In
applicazione di tale consolidato principio la Corte territoriale ha concluso del tutto
correttamente che il deliberato mancato versamento delle imposte dovute dalla società
per ammontari considerevoli (oltre due miliardi e mezzo del vecchio conio) relative a
ricavi non contabilizzati abbia concorso alla determinazione del dissesto che l’ha poi
condotta al fallimento. Ed in tal senso del tutto pretestuosa risulta l’obiezione dei
ricorrenti per cui la sentenza, nell’argomentare le rassegnate conclusioni, avrebbe
illogicamente imputato all’omesso pagamento delle imposte l’insorgenza di gravi
difficoltà finanziarie della società, atteso che il debito tributario sarebbe seguito solo
alla mancata coltivazione da parte del curatore del ricorso avverso l’accertamento
fiscale e, dunque, successivamente all’instaurazione della procedura concorsuale.
Infatti, l’obbligazione tributaria consegue alla realizzazione del presupposto
dell’imposta e non all’accertamento da parte dell’autorità fiscale del suo mancato

pubblici uffici.

adempimento, talchè il “debito tributario” evocato dai ricorrenti non è certo insorto a
seguito della mancata impugnazione della pronunzia del giudice tributario di primo
grado che aveva rigettato il ricorso della società avverso l’accertamento. Generiche
appaiono infine poi le ulteriori doglianze avanzate dai ricorrenti, atteso che essi non
precisano quale sarebbe la documentazione cui il curatore avrebbe dovuto accedere
per insistere nel ricorso tributario (limitandosi a menzionare non meglio precisati “atti
dei procedimenti tributari di primo grado”) e dimenticando che, come spiegato dalla

mancato rinvenimento della contabilità – necessaria per contestare le contestazioni
dell’autorità fiscale -, fatto in relazione al quale peraltro gi imputati sono stati
definitivamente ritenuti responsabili a titolo di bancarotta fraudolenta documentale.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue ai sensi dell’art. 616 c.p.p. la
condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento
della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 16/10/2013

sentenza impugnata, l’acquiescenza dell’organo fallimentare è stata determinata dal

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