Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 840 del 17/12/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 840 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Tinnirello Giuseppe, nato a Palermo il 13-04-1988
avverso la ordinanza del 12-08-2015 della libertà di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Paolo Canevelli che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito per il ricorrente

Data Udienza: 17/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

Giuseppe Tinnírello ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza

indicata in epigrafe con la quale il tribunale della libertà di Palermo ha
confermato quella emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il
medesimo tribunale che ha applicato nei confronti del ricorrente la misura
cautelare degli arresti domiciliari.

Per la cassazione dell’impugnata ordinanza il ricorrente, tramite il

difensore, articola un unico motivo di gravame, con il quale denuncia la
violazione e l’erronea applicazione della legge processuale penale nonché il vizio
di contraddittorietà della motivazione (articolo 606, comma 1, lettere c) ed e)
codice di procedura penale).
Assume che, con ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di
Agrigento, il ricorrente veniva attinto dalla misura cautelare degli arresti
domiciliari, essendosi ravvisata l’esigenza di cui all’articolo 274, lettera c), del
codice di procedura penale e, contestualmente, il Gip di Agrigento dichiarava la
propria incompetenza territoriale a favore di quella di Palermo.
Nei confronti della suddetta ordinanza era stata poi proposta istanza di
riesame ed il tribunale della libertà annullava il provvedimento impugnato.
Intanto, il Gip presso il tribunale di Palermo, quale giudice territorialmente
competente, rinnovava la primitiva ordinanza di custodia cautelare, anch’essa
impugnata con il riesame e contenente, secondo il ricorrente, i medesimi vizi del
primo provvedimento annullato.
Tuttavia il tribunale del riesame, in seconda battuta, ha ritenuto che
l’ordinanza emessa dal gip presso il tribunale di Palermo contenesse una
autonoma valutazione dei fatti emersi a carico del ricorrente avendo il giudice
i

cautelare proceduto ad un esame critico delle argomentazioni poste a sostegno
della richiesta cautelare ed aveva dimostrato di avere adeguatamente ponderato
la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza che delle esigenze cautelari.
Obietta il ricorrente come la seconda ordinanza fosse addirittura più carente
della prima non avendo rispettato i principi introdotti con la legge 16 aprile 2015,
n. 47, nel senso che il provvedimento si sarebbe limitato a richiamare la richiesta
cautelare del pubblico ministero senza fornire alcun contributo qualitativo
aggiuntivo e neppure avrebbe dimostrato di aver proceduto ad un esame critico
delle argomentazioni poste a sostegno della richiesta del pubblico ministero.

2

2.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e perché presentato
nei casi non consentiti.

2. Il Tribunale cautelare ha espressamente dato atto che la seconda
ordinanza cautelare (quella cioè emessa dal giudice per le indagini preliminari
presso il tribunale di Palermo) conteneva una sua autonoma valutazione dei fatti,

vagliate e commentate in relazione a tutte le posizioni esaminate e riportate, per
sintesi, nelle parti significative ed avendo ad esse il giudice cautelare fatto
seguire l’esposizione delle ragioni per le quali le medesime sono state ritenute
rivelatrici delle condotte penalmente rilevanti e come tali valutate ai fini della
sussistenza della gravità del quadro indiziario, con la conseguenza che il giudice
per le indagini preliminari non si è limitato ad una pedissequa riproposizione
della richiesta del pubblico ministero ma, per ogni singola contestazione, ha
effettuato una autonoma valutazione degli elementi emersi a carico del
ricorrente nel corso delle indagini, procedendo ad un esame critico delle
argomentazioni poste a sostegno della richiesta e dimostrando di aver
adeguatamente ponderato la sussistenza sia dei gravi indizi di colpevolezza che
delle esigenze cautelari.
Al cospetto di tale motivazione, il ricorrente, con affermazione aspecifica e
totalmente assertiva, ha affermato che il provvedimento si sarebbe limitato a
richiamare la richiesta cautelare del pubblico ministero senza fornire alcun
contributo qualitativo aggiuntivo e neppure avrebbe dimostrato di aver
proceduto ad un esame critico delle argomentazioni poste a sostegno della
richiesta del pubblico ministero, senza in alcun modo corredare il proprio assunto
con il richiamo di dati processuali diretti ad incrinare il contenuto della
motivazione contenuta nell’ordinanza impugnata.
Peraltro, in conformità alla corretta valutazione eseguita dal tribunale
cautelare, va chiarito che, in tema di applicazione di una misura cautelare
personale, l’onere motivazionale a carico del giudice per le indagini preliminari
dell’esposizione e dell’autonoma valutazione delle specifiche esigenze cautelari
degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l’indicazione degli
elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono
rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del reato, è
osservato, per quanto qui rileva, anche quando il giudice cautelare riporti le
acquisizioni, frutto delle attività di polizia giudiziaria, e le considerazioni, svolte al
riguardo dagli stessi investigatori e dal pubblico ministero, anche mediante il
ricorso a stralci della richiesta cautelare o attraverso il rinvio per ralationem a

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sul rilievo che le intercettazioni poste a base di siffatta ordinanza erano state

detto provvedimento, purché egli necessariamente compia, di volta in volta, per
ciascuna contestazione e posizione, un effettivo vaglio del tema di prova
cautelare e quindi degli elementi di fatto ritenuti decisivi, senza il ricorso a
formule stereotipate, spiegandone la valenza dimostrativa e la rilevanza ai fini
dell’affermazione dell’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze
cautelari del caso concreto. Pertanto, in tal modo, il giudice cautelare esprime la
propria autonoma valutazione in proposito, conformandosi perciò al precetto
enunciato dall’articolo 292, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale,

sanzionata a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio.
Va poi precisato che, anche a seguito delle disposizioni introdotte dalla legge
16 aprile 2015, n. 47 deve ritenersi, nella materia cautelare, non vietata, nei
limiti in cui era consentita dalla giurisprudenza di legittimità, la motivazione per
relationem la quale comunque richiedeva, per la sua ammissibilità, che il giudice
fornisse la dimostrazione di aver preso cognizione del contenuto sostanziale delle
ragioni del provvedimento di riferimento e le avesse meditate e ritenute coerenti
con la sua decisione, oltre alla necessità che l’atto di riferimento, quando non
fosse allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, fosse conosciuto
dall’interessato o comunque a lui ostensibile, quanto meno al momento
dell’esercizio delle facoltà difensive e che il rinvio investisse un legittimo atto del
procedimento, la cui motivazione risultasse congrua rispetto all’esigenza di
giustificazione propria del provvedimento di destinazione (Sez. U, n. 17 del
21/06/2000, Primavera, Rv. 216664).
Nel caso di specie, il Gip ha vagliato autonomamente la domanda cautelare
scrutinando specificamente la posizione del ricorrente, che soltanto
apoditticamente si è lamentato del contrario, posto che gli elementi di prova a
sostegno della domanda cautelare sono stati vagliati e commentati in relazione a
tutte le posizioni esaminate ed in relazione ad ogni singola imputazione
provvisoria.

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per
il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via
equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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come modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, la cui inosservanza è

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 17/12/2015

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