Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8399 del 11/12/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8399 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: TUTINELLI VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FONDINI LEONARDO N. IL 23/03/1958
avverso la sentenza n. 4167/2009 CORTE APPELLO di MILANO, del
15/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/12/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. VINCENZO TUTINELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.Q0»l ut
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che ha concluso per -e ( i vho,‘Al hacg-MAI’s ota r re,4

Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 11/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 17 novembre 2013, la corte di appello di Milano ha
confermato la condanna dell’odierno ricorrente per una tentata estorsione
avvenuta in Tradate tra il 31 gennaio e 1’8 maggio 2007 rideterminando la pena
irrogata con la sentenza 25 giugno 2009 da parte del tribunale di Varese. La
contestazione riguardava una pluralità di minacce effettuate tramite telefonate,
missive, esclusione di colpi d’arma da fuoco all’indirizzo della porta del garage
della vittima. Gli elementi su cui la condanna si fonda sono gli accertamenti sulla

2. Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione l’imputato
eccependo:
1.

Violazione di norme processuali per omessa notifica all’imputato del
decreto di citazione per il giudizio d’appello. Afferma la difesa che il
FONDINI aveva dichiarato domicilio presso la propria residenza
all’atto della scarcerazione ma che la citazione in appello è stata
notificata al difensore ex articolo 157 comma 8 bis del codice di
procedura penale e che illegittimamente la corte d’appello avrebbe
rigettato l’eccezione presentata sul punto in presenza di una elezione
di domicilio effettuata al momento della scarcerazione.

2.

Violazione dell’articolo 56/3 comma del codice penale, non essendo
stata riconosciuta la desistenza volontaria dell’imputato quando
questo aveva deciso di non proseguire nella condotta delittuosa una
volta trovato un lavoro.

3.

Omessa pronuncia violazione di legge in ordine al riconoscimento
dell’aggravante dell’uso delle armi, posto che l’imputato non
conosceva la circostanza che uno sconosciuto complice aveva sparato
dei colpi di arma da fuoco nei confronti della porta della rimessa della
parte offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. il primo motivo di ricorso è inammissibile. Infatti, il ricorrente denuncia la
presenza di una precedente elezione di domicilio senza peraltro allegarla al
ricorso. In atti, non vi è traccia di tale elezione di domicilio asseritamente
avvenuta al momento della scarcerazione. Trattandosi di vizio risultante da atti
diversi dal provvedimento impugnato, sarebbe stato onere del difensore
perlomeno l’indicazione e la allegazione al ricorso medesimo dell’atto di elezione
di domicilio richiamato, con la conseguenza che, in difetto di tale precisa
indicazione, il motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile.
4. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La corte
territoriale, con motivazione logica, coerente, aderente alle emergenze

scheda telefonica in uso all’odierno ricorrente e la sua confessione.

processuali ha evidenziato come dal tenore delle intercettazioni risulti evidente
che l’imputato aveva cessato la propria condotta al momento in cui aveva avuto
l’impressione di essere intercettato dalla Polizia Giudiziaria. Correttamente, la
Corte d’appello di Milano evidenzia che il richiamato istituto della desistenza
volontaria sussiste nella misura in cui la desistenza non sia riconducibile a cause
esterne che rendano anche solo gravemente rischiosa la prosecuzione
dell’azione, in ciò conformandosi a consolidati principi di questa stessa corte
(sezione 2, sentenza 24 aprile 2013 n. 18358). Ne consegue che risulta

comma 3 del codice penale.
5. Il terzo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato. Deve infatti
rilevarsi che la corte territoriale ha argomentato in maniera logica e coerente
l’affermazione per cui non risulta credibile la versione dei fatti resa dal ricorrente
proprio perché afferma, da una parte, di essere tra gli ideatori della estorsione e
poi nemmeno di conoscere gli altri compartecipi. Tale ricostruzione del resto è
fondata sulle stesse dichiarazioni del FONDINI, con la conseguenza che la mera
contestazione di tale logica ricostruzione appare da una parte richiamare
elementi di fatto; dall’altra non evidenzia alcun profilo nuovo a fronte di una
doppia pronuncia conforme in materia di responsabilità; infine, risulta del tutto
priva di fondamento logico e fattuale.
6. Alle considerazioni sopra svolte consegue l’inammissibilità del ricorso .
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616
c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e
valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in €
1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso

orna, il 11 dicembre 2015

Il Consigl re estensore

Il Presidente

assolutamente non ipotizzabile alcun profilo di desistenza ai sensi dell’articolo 56

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