Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8397 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8397 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CROSASSO DANILO N. IL 05/02/1968
MARTINELLI RENATA N. IL 12/02/1945
avverso la sentenza n. 1204/2014 CORTE APPELLO di TORINO, del
11/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 10/11/2015

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Luigi
Birritteri, il quale ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza,
per intervenuta prescrizione, ferme le statuizioni civili.
Udito il difensore di fiducia di Martinelli Renata, avv. Franco Carlo Coppi, che ha

Udito il difensore di fiducia di Crosasso Danilo, avv.Ferdinando Ferrero, che ha
concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 30.5.2913, il Tribunale di Ivrea assolveva tutti gli imputati dal
reato loro ascritto di cui all’art.643 c.p., ai sensi dell’art.530 comma 2 c.p.p. perchè il
fatto non sussiste, ritenendo il Tribunale che, pur risultando provata una situazione di
circonvenibilità del Perucca all’epoca degli atti dispositivi in data 1.10.2007 e
11.10.2007, mancava la prova della suggestionabilità in concreto dello stesso
finalizzata al compimento degli atti dispositivi suddetti.
Avverso tale pronunzia proposero appello il P.M., il P.G. e le parti civili Martinelli
Gianfranco, Crosetto Michele, Crosetto Lucia e Perucca Renato, e la Corte d’Appello di
Torino, con sentenza dell’11.12.2014, in riforma della sentenza impugnata, assolveva
alcuni imputati per non aver commesso il fatto e dichiarava Crosasso Danilo e
Martinelli Renata responsabili del reato loro ascritto, e riconosciute ad entrambi le
attenuanti generiche, condannava ciascuno alla pena di anni uno mesi sei di reclusione
ed euro 1000 di multa.
Ricorrono per cassazione i difensori dell’imputata Martinelli Renata, deducendo:
1) nullità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare e di tutti gli
atti successivi per violazione degli artt.157, comma 1, 161 e 171 c.p.p. con riferimento
all’art.606 lett.c c.p.p. La notifica della citazione della Martinelli per l’udienza
dibattimentale è stata effettuata presso il difensore e non presso il domicilio dichiarato
dall’imputata, così come quella dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare. Il
Tribunale di Ivrea, su eccezione della difesa, ha dichiarato la nullità solo degli avvisi
per l’udienza dibattimentale, mentre avrebbe dovuto annullare anche l’avviso di
fissazione dell’udienza preliminare con conseguente restituzione degli atti al GUP per la
notifica di nuovo avviso e per la celebrazione di una nuova udienza preliminare,
trattandosi di nullità assoluta e insanabile ai sensi degli artt.178 e 179 co.1, c.p.p.; 2)
nullità della notifica del decreto che disponeva il giudizio e dell’avviso di fissazione

concluso per l’accoglimento del ricorso.

dell’udienza del 19.10.2012 nonché di tutti gli atti successivi nei confronti
dell’imputata Martinelli per violazione dell’art.157, comma 1, 161 e 171 c.p.p. con
riferimento all’art.606 lett.b) e c) c.p.p. All’udienza del 19.10.2012 la difesa della
Martinelli ha eccepito la irritualità della notifica alla Martinelli, in quanto l’atto risultava
notificato a mezzo posta al domicilio della stessa con raccomandata ritirata in data
4.7.2012 da tale Luciani Mariella, dichiaratasi al servizio della Martinelli, ma la Luciani
non era al servizio della Martinelli né con la stessa convivente. La notifica è pertanto
nulla; 3) violazione degli artt.584 e 595 c.p.p. (con riferimento all’art.606, lett.c.

presentati avverso la sentenza di primo grado e dell’atto di citazione per il giudizio
d’appello. L’eccezione di nullità della notifica degli atti di impugnazione avanzata dal
difensore della Martinelli è stata respinta dalla Corte con la motivazione che la
Martinelli si sarebbe limitata a una mera “dichiarazione di residenza” in Ronco
Canavese, Via Roma 52 e che, pertanto, le notifiche nei suoi confronti erano state
correttamente effettuate a norma dell’art.157, comma 8 bis, c.p.p. Invero la Martinelli
all’atto della nomina del difensore in data 5.5.2010 non si era limitata ad una
dichiarazione di residenza, e sin dal 16.2.2009 aveva effettuato elezione di domicilio
ex art.161 c.p.p. in un’istanza di dissequestro, indicando quale domicilio quello di
residenza; 4) violazione dell’art.495 c.p.p. per mancata assunzione di una prova
decisiva e nullità, per violazione del diritto di difesa, ex art.178 lett.c) c.p.p.,
dell’istruttoria dibattimentale di primo grado e di tutti gli atti successivi (con
riferimento all’art.606 lett.c e d c.p.p.) in relazione alla revoca dell’ammissione del
teste Perucca Renato disposta dal Tribunale di Ivrea con ordinanza del 17.12.2012. Il
teste Perucca Renato era stato citato per riferire sui contenuti dell’asserito incontro del
23.9.2009, nel corso del quale Silvano Crosasso avrebbe esplicitato a Piero Perucca, a
sua moglie e a suo fratello Renato Perucca il “piano criminoso” in forza del quale essi,
attraverso l’intervento di un notaio compiacente (che sarebbe stato adeguatamente
retribuito) avrebbero potuto far firmare allo zio Battista Perucca procure generali per
gestire il suo patrimonio, e per dirottarlo, ancor prima della sua morte, in favore di
quattro eredi (Renata e Gianfranco Martinelli, nonché Piero e Renata Perucca)
estromettendo di fatto i fratelli Crosetto di Torino. La revoca dell’ammissione del teste
Perucca, nonostante l’opposizione delle difese degli imputati, alla luce della sentenza
di appello è risultata lesiva dei diritti delle difese medesime; 5) violazione dell’art.6
CEDU (così come interpretato dalla sentenza Dan c.Moldavia) nella parte in cui la
sentenza impugnata ha riformato

“in peius” la sentenza di primo grado senza

procedere ad una nuova audizione di testimoni decisivi ritenuti inattendibili dal giudice
di primo grado e sui quali, invece, nel giudizio di appello, si è fondata la sentenza di
condanna. La Corte d’Appello di Torino non solo non si è preoccupata di procedere ad
una nuova audizione delle parti civile costituite, ma nonostante le memorie difensive

c.p.p.), in relazione alla nullità della notifica agli imputati degli atti di impugnazione

nemmeno si è preoccupata di discostarsi dalle motivazioni dei giudizi espressi dal
primo giudice; 6) nullità della sentenza per violazione dell’art.178, comma 1 lett.c,
c.p.p. per mancata presa in considerazione della memoria difensiva, depositata nel
corso del giudizio di appello, in data 16.9.2014, dal difensore dell’imputata Renata
Martinelli. La sentenza impugnata, pur avendo dato atto dei contenuti delle memorie
difensive, non le ha poi minimamente considerate nella parte dedicata all’esposizione
dei motivi della decisione, mancando nella sentenza un qualsivoglia riferimento agli
argomenti esposti nella memoria in questione; 7) erronea applicazione dell’art. 643

c.p. e mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art.606,
co.1, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all’intervenuta riforma della sentenza di prime
cure, e in particolare in relazione alle valutazioni espresse sull’attendibilità dei testi,
all’asserito piano criminoso ordito dalla famiglia Crosasso, alle condizioni di salute della
persona offesa, alla sua circonvenibilità, e quindi alle posizioni del notaio e dei testi
intervenuti all’atto del rilascio delle procure e dei testamenti, assolti nel presente
procedimento.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Crosasso Danilo deducendo: 1)1′
inosservanza ed errata applicazione degli artt. 192, 530 e 533 c.p.p. e 643 c.p.
avendo la Corte d’Appello disatteso immotivatamente ogni emergenza a favore
all’imputato; 2) violazione degli artt. 125 co. 3, 178 lett.c, 190 e 495 c.p.p. per
mancata assunzione di una prova decisiva e nullità, per violazione del diritto di difesa,
ex art.178 lett.c) c.p.p., dell’istruttoria dibattimentale di primo grado e di tutti gli atti
successivi (con riferimento all’art.606 lett.c e d c.p.p.) in relazione alla revoca
dell’ammissione del teste Perucca Renato disposta dal Tribunale di Ivrea con ordinanza
del 17.12.2012, nonostante l’opposizione delle difese degli imputati; 3) mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e)
c.p.p. in ordine al giudizio di responsabilità, e in particolare in riferimento al contenuto
della memoria in data 29.9.2014 non presa in considerazione, e al proscioglimento del
notaio rogante.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza, anche con riferimento alle
statuizioni civili, e rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Torino.

Motivi della decisione

1. Gli atti dispositivi, effettuati dalla parte offesa Perucca Battista, sono stati

compiuti in data 1.10.2007 e 11.10.2007, e pertanto in data 1 e 11.4.2015,
successivamente alla sentenza di primo grado in data 11.12.2014, sono maturati i
termini massimi prescrizionali (di anni sette e mesi sei) previsti dalla legge per il reato
contestato di circonvenzione di incapace.

3

1.1 Nel giudizio di cassazione, qualora il reato sia già prescritto, non è rilevabile
la nullità, anche di ordine generale, in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito
risulta incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva.
Nella fattispecie, considerato che la sentenza di merito ipoteticamente affetta, secondo
i ricorrenti, da nullità ha deciso non solo in ordine al reato per il quale si è maturata la
prescrizione, ma anche in ordine al risarcimento dei danni da esso cagionati,
l’eventuale nullità, ove sussistente, dovrebbe essere comunque rilevata e dichiarata
riflettendosi sulla validità delle statuizioni civili (cfr. Cass.Sez.II, sent. n. 3221/2014

consegue pertanto che vengono prese in esame, a tal fine, tutte le doglianze dedotte
nei ricorsi.
2. Il primo, e il secondo motivo del ricorso presentato in favore di Martinelli
Renata sono inammissibili.
E’ giurisprudenza costante di questa Corte che la nullità conseguente alla notifica
all’imputato del decreto di citazione a giudizio presso lo studio del difensore di fiducia
anziché presso il domicilio dichiarato è di ordine generale a regime intermedio in
quanto detta notifica, seppur irritualmente eseguita, non è inidonea a determinare la
conoscenza dell’atto da parte dell’imputato, in considerazione del rapporto fiduciario
che lo lega al difensore (v., da ultimo, Cass.Sez.IV, Sent. n. 40066/2015 Rv. 264505;
Sez. U, n. 119/2004, Palumbo, Rv. 229539).
La dedotte nullità di cui alla notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza
preliminare (primo motivo), in quanto effettuata presso il difensore di fiducia della
Martinelli e non al domicilio dichiarato, è nullità di ordine generale a regimo
intermedio, che in quanto non coltivata o dedotta in grado d’appello, non è deducibile
in questa sede.
In riferimento al secondo motivo (in merito alla nullità della notifica del decreto
che disponeva il giudizio di primo grado, effettuata a mezzo posta con raccomandata
presso il domicilio della medesima in Ronco Canavese via Roma 52, e ritirata in data
4.7.2012 da Luciani Mariella, dichiaratasi a servizio), rileva poi il Collegio, che, in
materia di notificazione all’imputato non detenuto, ai fini della applicazione dell’art.
157, c.p.p., per familiari conviventi devono intendersi non soltanto le persone che
convivono stabilmente con il destinatario dell’atto e che anagraficamente facciano
parte della sua famiglia, ma anche quelle che si trovino al momento della notificazione
nella sua casa di abitazione, purché le stesse, per la qualifica declinata all’ufficiale
giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di convivenza, sia pure di
carattere meramente temporaneo, che legittima nell’agente notificatore il ragionevole
affidamento che l’atto perverrà all’interessato (v. Cass.Sez.III, sent. n. 5930/2014 Rv.
263177, nella quale la S.C. ha ritenuto valida la notificazione di un decreto penale di

Rv. 258817), in quanto la prescrizione non travolge le statuizioni in questione. Ne

condanna effettuata dall’ufficiale giudiziario nelle mani di persona qualificatasi come
“addetta alla casa”).
Nel caso in cui la notificazione venga eseguita, ai sensi dell’articolo 157 cod.
proc. pen., mediante consegna a persona diversa dall’imputato e il consegnatario
dell’atto non abbia dichiarato l’inesistenza del rapporto di convivenza, l’interessato che
deduca la nullità della notifica, negando tale rapporto o allegando la sua avvenuta
cessazione al momento della notifica, deve provare, in modo rigoroso, la diversa realtà
da lui prospettata (v.Cass.Sez.IV, Sent. n. 14752/2006 Rv. 234025). E nessuna prova

Luciani è stata fornita dalla ricorrente.
Ciò posto, va tuttavia ribadito che anche in questo caso la violazione dedotta
non determina una nullità assoluta ed insanabile, bensì una nullità a regime
intermedio, che in quanto non coltivata in appello non può essere dedotta in questa
sede.
3. Il terzo motivo, in ordine alla nullità della notifica agli imputati degli atti di
impugnazione presentati avverso la sentenza di primo grado e dell’atto di citazione in
appello, è infondato.
Con ordinanza pronunciata nel corso dell’udienza del 17.10.2014, la Corte
territoriale riteneva fondata l’eccezione nei confronti del coimputato Crosasso Silvano,
e ne stralciava la posizione disponendo il rinnovo delle notifiche nei suoi confronti,
mentre respingeva l’eccezione formulata nell’interesse della Martinelli, ritenendo che la
stessa si fosse limitata ad effettuare una mera dichiarazione di residenza in Ronco
Canavese via Roma 52 e che, pertanto, le notifiche nei suoi confronti erano state
correttamente effettuate a norma dell’art.157, co.8 bis c.p.p.
L’ordinanza del 17.10.2014, impugnata unitamente alla sentenza, non è
censurabile.
Ai sensi dell’art. 162 c.p.p. la comunicazione del domicilio dichiarato o del
domicilio eletto va effettuata con dichiarazione “raccolta a verbale ovvero mediante
telegramma o lettera raccomandata con sottoscrizione autenticata di un notaio o da
persona autorizzata o dal difensore. La dichiarazione può essere fatta anche nella
cancelleria del Tribunale del luogo nel quale l’imputato si trova”.
La Corte condivide e ribadisce, a riguardo, il principio che, in considerazione della
natura di atto personale dell’elezione (o della dichiarazione di domicilio), la forma da
rispettare ai sensi della citata norma sia “ad substantiam” attesa l’esigenza di
ricondurre all’imputato la relativa manifestazione di volontà (cfr. Cass.Sez.II, Sent. n.
35191/2008 Ud. Rv. 240952).
Le Sezioni Unite hanno poi affermato che, con la dichiarazione di domicilio,
l’indagato (o l’imputato), non si limita ad una manifestazione di scienza o di semplice
verità, cioè a “comunicare” un dato di fatto o il proprio pensiero su di esso, ma opera

rigorosa circa l’inesistenza del rapporto di convivenza, anche temporaneo, della

una “vera e propria scelta” tra i luoghi indicati nell’art. 157 c.p.p., con la
consapevolezza degli effetti processuali di tale scelta. Ne costituisce riprova
l’avvertimento che precede l’elezione o la dichiarazione di domicilio, previsto dall’art.
161 c.p.p., che è volto proprio a fondare una scelta consapevole; il dichiarante,
attraverso l’elezione o la dichiarazione di domicilio, “sa” e “vuole” che gli atti vengano
notificati in un determinato luogo. Quindi con la dichiarazione di domicilio, al pari
dell’elezione di domicilio, l’imputato compie un atto di volontà (v. Cass.Sez.U,
sent.n.41280/2006, Rv. 234905).

propria residenza non può costituire valida dichiarazione di domicilio, in quanto in
questo caso manca proprio la manifestazione di un consapevole atto di volontà volto
ad effettuare una scelta tra i luoghi indicati nell’art. 157 c.p.p. (cfr. Cass.Sez.V, sent.
n. 41178 /2014 Rv. 261032). Lo stesso dicasi in riferimento anche a una precedente
istanza di dissequestro presentata personalmente nell’ambito dello stesso processo
dalla Martinelli in data 16.2.2009, invocata in questa sede dalla ricorrente quale
idonea elezione di domicilio. Infatti, ancorché possa ritenersi – quanto alla forma della
dichiarazione di domicilio – che sia legittima l’indicazione o elezione di domicilio
effettuata contestualmente a un atto del procedimento avente diverse finalità, purché
ne sia certa l’autenticità (in tal senso, v.Cass.Sez.I, sent.n. 35438/2006, Rv. 234900),
occorre pur sempre, anche in questo caso, che il contenuto della dichiarazione sia non
equivoco, e quindi chiaramente teso a manifestare la volontà di effettuare una scelta
con tutte le conseguenze che da essa derivano ai sensi dell’art.161 c.p.p. In assenza
della manifestazione non equivoca di tale volontà, l’atto in questione, quand’anche
fosse ritenuto idoneo a contenere la dichiarazione in parola, non potrebbe comunque
costituire valida dichiarazione di domicilio.
La citazione in appello è stata, quindi, nella specie, correttamente notificata ai
sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis. 2, così come ritenuto dalla Corte territoriale.
4. Con il quarto motivo del ricorso presentato in favore di Martinelli Renata e

con il secondo motivo del ricorso presentato in favore di Crosasso Danilo, i ricorrenti
si dolgono entrambi della mancata assunzione di una prova decisiva relativa
all’escussione del teste Renato Perucca (prova della quale era stata revocata
l’ammissione in primo grado a seguito della rinuncia della parte richiedente). I motivi
possono essere pertanto esaminati contestualmente.
Rileva a riguardo il Collegio, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
nell’ipotesi di omesso esame, da parte del giudice, di risultanze probatorie acquisite e
decisive, la sentenza di condanna in secondo grado dell’imputato già prosciolto con
formula liberatoria nel precedente grado di giudizio non si sottrae al sindacato della
Corte di cassazione per lo specifico profilo del vizio di mancanza della motivazione ex
art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., purché l’imputato medesimo, per quanto carente di

Ne consegue che la mera indicazione nell’atto di nomina del difensore della

interesse all’appello, abbia comunque prospettato al giudice di tale grado, mediante
memorie, atti, dichiarazioni verbalizzate, l’avvenuta acquisizione dibattimentale di
altre e diverse prove, favorevoli e nel contempo decisive, preternnesse dal giudice di
primo grado nell’economia di quel giudizio, oltre quelle apprezzate e utilizzate per
fondare la decisione assolutoria. In detta evenienza al giudice di legittimità spetta
verificare, senza possibilità di accesso agli atti, ma attraverso il raffronto tra la
richiesta di valutazione della prova e il provvedimento impugnato che abbia omesso di
dare ad essa risposta, se la prova, in tesi risolutiva, assunta sia effettivamente tale e

(v.Cass.Sez.U, sent. n. 45276/2003 Rv. 226093).
Orbene, considerato che l’interesse alla prova (quella ammessa e poi revocata)
non è stato coltivato in grado d’appello, l’interesse alla prova medesima non può
essere manifestato in questa sede; ne consegue l’inammissibilità dei motivi in
questione.
5. Con il quinto motivo del ricorso della Martinelli è stato dedotta la violazione
dell’ar.6 della CEDU, in quanto la Corte avrebbe riformato in “peius” senza nuova
audizione dei testi. Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha oramai circoscritto in maniera
chiara l’ambito in cui è necessario riascoltare i testi in caso di “reformatio in peius”da
parte della Corte d’appello di una pronuncia assolutoria di primo grado. In primo
luogo, è stato chiarito, che il giudice di appello, per riformare “in peius” una sentenza
di assoluzione, non è obbligato – in base all’art. 6 CEDU, così come interpretato dalla
sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan c.
Moldavia – alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale quando compie una diversa
valutazione di prove non dichiarative, ma documentali (Cass. Sez.VI, n. 36179/2014,
Dragotta, Rv. 260234; Sez.II, n. 677/2014 Rv. 261556); in secondo luogo, è stato
affermato che il giudice del gravame del merito, in caso di riforma “in peius”, della
sentenza di assoluzione in primo grado, in forza dell’art. 6, par. 1 CEDU, così come
interpretato dalla Corte EDU, è obbligato a risentire il teste solo laddove l’affermazione
di penale responsabilità scaturisca da un diverso apprezzamento dell’attendibilità della
sua deposizione, da considerare decisiva. L’adempimento è quindi necessario tutte le
volte in cui in assenza di quelle dichiarazioni accusatorie (ritenute inattendibili dal
primo giudice) non sia possibile pervenire altrimenti ad un’affermazione di
responsabilità (v.Cass. Sez.VI, Sent. n. 16566/2013 Rv. 254623; Sez.V, sent.n.
28061/2013, Rv. 255580; Sez.III, sent.n. 42344/2013, Rv. 256856; Sez.II, sent.n.
45971/2013, Rv. 257202; Sez.V, sent.n. 47106/2013, Rv. 257585; Sez.VI, sent.n.
8654/2014, Rv. 259107).
Giova qui rammentare che il Tribunale di Ivrea ha assolto tutti gli imputati dal
reato loro ascritto ai sensi dell’art.530 co.II c.p.p., ritenendo che, pur risultando

se quindi la denunciata omissione sia idonea a inficiare la decisione di merito

provata una situazione di circonvenibilità in astratto di Perucca Battista all’epoca degli
atti dispositivi, difettava comunque la prova della suggestionabilità in concreto dello
stesso (e quindi dell’induzione) finalizzata al compimento degli atti dispositivi suddetti.
Rilevava, infatti, il giudice di prime cure che alla tesi accusatoria, ritenuta non priva di
fondamento sulle prove acquisite, potesse contrapporsi una diversa valutazione delle
medesime risultanze processuali secondo cui il Perucca non venne raggirato, ma egli
agì in maniera pienamente volitiva ed adeguata, avendo i Crosasso e la Martinelli,
negli ultimi anni della vita dello zio, intensificato i rapporti con lui, forse proprio allo

maggiore considerazione in vista della futura successione.
Nella fattispecie, pertanto, non è propriamente in discussione il giudizio di
attendibilità della prova dichiarativa (e la sua variazione da parte del giudice d’appello
rispetto a quello di primo grado), né tantomeno la prova dichiarativa (in riferimento
alle dichiarazioni di Perucca Piero, Miegge Manda e Gianfranco Martinelli) è l’unica
prova e quella decisiva sulla quale si fonda il giudizio di responsabilità.
Invero, nella sentenza di primo grado, il Tribunale di Ivrea si era limitato a
ritenere oggettivamente implausibile l’effettiva esistenza dell’episodio del 23.9.2007
(narrato da Perruca Piero, Megge Manda e Martinelli Gianfranco in merito alla proposta
avanzata dagli imputati, e avente ad oggetto la redazione di un testamento che
prevedeva l’esclusione, dalla successione dello zio, dei loro cugini torinesi), ritenendosi
altamente improbabile che le stesse menti raffinate che avrebbero corrotto un notaio,
testimoni e medici, potessero commettere l’ingenuità di porre in essere proprio
l’imbroglio precedentemente preannunciato. Ma la prova circa l’effettiva esistenza
dell’episodio in questione, nel percorso motivazionale della sentenza, non assume
valore decisivo. Anche eliminata tale prova, la motivazione della sentenza sulla
strategia perseguita dai Crosasso/Martinelli e sull’abuso dello stato di infermità e
deficienza psichica dell’anziano zio Perucca Battista (all’epoca dei fatti novantenne)
appare sufficiente, coerente e rispondente agli elementi presi in considerazione e
idonea a giustificare il giudizio di responsabilità espresso, anche escludendo la
contestata prova dichiarativa.
Ne consegue che la Corte, in questo caso, nessun obbligo aveva di sentire
nuovamente in grado di appello i testi Piero Perucca, Manda Miegge e Gianfranco
Martinelli.
6. Con il sesto e il settimo motivo del ricorso della Martinelli, si censura la
sentenza impugnata deducendo il mancato esame della memoria in data 16.9.2014,
l’erronea applicazione della norma di cui all’art.643 c.p. e vizio di motivazione. I motivi
possono essere trattati unitamente ai motivi uno e due del ricorso di Crosasso Danilo,
per le analoghe deduzioni in ordine alla contraddittorietà della motivazione, all’omesso

scopo, eticamente non encomiabile, ma giuridicamente irrilevante, di guadagnare una

esame della memoria in data 29.9.2014 e alla mancanza di confronto con le
argomentazioni di I grado.
Le doglianze dei ricorrenti sono infondate e non possono pertanto trovare
accoglimento.
La Corte territoriale ha, infatti, risposto esaurientemente a tutti i rilievi sollevati
dalle difese nelle memorie presentate in appello, e ha effettuato un approfondimento
del quadro probatorio, e degli elementi già indicati nella sentenza di primo grado come
oggetto di interpretazione alternativa, illustrando con motivazione ampia ed esente da

circonvenzione di incapace e la responsabilità degli imputati.
Sulla circonvenibilità di Perucca Battista si era già espresso in senso positivo il
primo giudice; la Corte ha quindi rilevato che le affermazioni dei testi, enfatizzate dalle
difese, sono generiche e non smentiscono la situazione psicofisica del Perucca
nell’ottobre del 2007, come illustrata chiaramente dal perito dr. Pirfo in sede di
udienza preliminare, allorchè ha sostenuto l’esistenza, in capo allo stesso, di uno stato
confusionale acuto rientrante nel c.d. delirium secondo DSM IV TR (v.pag.13 della
sentenza impugnata). Il perito ha quindi rilevato come fosse ravvisabile, all’epoca dei
fatti, una condizione deficitaria per fragilità e vulnerabilità psico-organica sulla quale si
era innestato, in occasione dei ricoveri intervenuti nel settembre-ottobre 2007, uno
stato confusionale a decorso fluttuante, che induceva una situazione di menomazione
della sfera intellettiva e/o volitiva del Perucca, tale da privarlo del normale
discernimento e del normale potere critico, e “tale da incidere, conseguentemente, ed
in misura significativa, sulla capacità di curare il proprio patrimonio e di compiere
validamente negozi giuridici e da comportare in ogni caso per il Perucca una maggiore
facilità ad essere circonvenuto” (v.pag.14). Circa le condizioni dell’anziano nei giorni
1.10.2007 e 11.10.2007, ovvero nei giorni in cui vennero effettuati gli atti di
disposizione patrimoniale, il “delirium” di cui egli soffriva era poi manifesto, e perciò
riconoscibile da parte di chi lo seguiva e gli stava accanto: nella cartella clinica
dell’Ospedale di Ivrea dell’1.10.2007, è riportata l’annotazione che descrive il paziente
vigile, ma non orientato nel tempo e nello spazio, mentre nella giornata
dell’11.10.2007 la dottoressa Gianotti annotò che il paziente era debilitato e alternava
periodi di confusione (v.pag.16).
Circa gli elementi dell’induzione, dell’approfittamento della situazione di
indebolimento psichico e della conseguente fragilità dell’anziano, nonché sul profitto,
la Corte ha fornito ampia e puntuale motivazione, esaminando tutte le risultanze
processuali, ed evidenziando come a distanza di pochi giorni siano stati redatti due
diversi testamenti, il primo in data 1.10.2007 (nel quale erano designati eredi in parti
uguali Martinelli Renata, Martinelli Gianfranco e Perucca Piero), il secondo in data
11.10.2007 (nel quale era stata designata erede universale la sola Martinelli). Ma i

evidenti vizi logici le ragioni per le quali ha ritenuto la sussistenza del reato di

testamenti non furono gli unici atti firmati dal Perucca, mentre si trovava ricoverato
nella casa di cura S.Giuseppe di proprietà dei nipoti Crosasso Martinelli, in quanto
negli stessi giorni egli firmò anche ben due procure “ad negotia”in favore dei suddetti,
procure peraltro immediatamente utilizzate con l’immediato disinvestimento di tutti i
titoli e di tutti i fondi che il Perucca aveva con totale liquidazione al 29.10.2007 del
patrimonio per un importo complessivo di C 6.270.000,00.
Circa l’elemento materiale del reato di circonvenzione di incapace, è pur vero che
per consolidato insegnamento di questa Corte si richiede sia l’abuso delle particolari

condizioni del soggetto passivo, sia l’induzione del medesimo al compimento di un atto
produttivo di un qualsiasi effetto giuridico tale da poter arrecare danno a lui o ad altri,
(induzione intesa non già come artificio o raggiro oppure come semplice richiesta di
compiere l’atto pregiudizievole, bensì come apprezzabile attività di pressione morale,
di suggestione o di persuasione, o comunque di spinta psicologica), nondimeno la
prova di tale attività di pressione può risultare anche da elementi indiziari e prove
logiche come la natura dell’atto e l’incontestabile pregiudizio da esso derivato, nonché
dagli accadimenti più strettamente connessi al suo compimento (cfr.Cass.Sez.II, Sent.
n. 6078/2009 Rv. 243449), così come avvenuto nella fattispecie. E l’impugnata
sentenza ha valorizzato, a tal fine, la velocità con cui le procure vennero utilizzate, la
liquidazione immediata di tutti i titoli senza necessità e senza tener conto dello stato
degli investimenti e delle opportunità, il trasferimento del tutto immotivato di parte di
tale liquidità confluita sul c/c dello zio, pari ad oltre due milioni di euro, su un c/c
intestato a Martinelli Renata, il tutto peraltro senza avvalersi dell’opera del notaio di
fiducia del Perucca, e dell’ausilio dei funzionari degli istituti bancari che, conoscendolo
da anni (ed essendo il Perucca un ottimo cliente) in caso di necessità non esitavano a
recarsi anche al suo domicilio, così come invece sarebbe stato ovvio e naturale nel
caso in cui i suddetti atti dispositivi fossero stati posti in essere dalla parte offesa nel
pieno delle sue facoltà e volontà. Tenuto conto, altresì, che l’anziano parente – come
riferito dagli stessi imputati – era molto attaccato al denaro e, diffidente dell’operato
altrui, si era sempre occupato personalmente dell’amministrazione dei suoi beni.
Per tutte le considerazioni ampiamente esposte in sentenza, la Corte d’Appello
di Torino ha quindi ritenuto non condivisibili le conclusioni a cui era giunto il primo
Giudice circa la possibilità di un’interpretazione alternativa dei fatti emersi, e a tale
conclusione è pervenuta non solo previa rivisitazione in senso contrario delle risultanze
processuali, ma anche confutando punto per punto le conclusioni peraltro abbastanza
fantasiose del primo giudice.
Nessuna contraddittorietà si evince, poi, in relazione all’assoluzione del notaio e
dei testimoni intervenuti agli atti; essi sono stati assolti in difetto di prova
sull’elemento psicologico del reato, e quindi in primo luogo in assenza di prova sulla
consapevolezza da parte loro che gli atti di disposizione patrimoniale in questione

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fossero frutto di induzione, e finalizzati a procurare alla famiglia Crosasso/Martinelli un
profitto ingiusto con danno altrui. Né risulta in alcun modo che il notaio o i testi
avessero in qualche modo posto in essere atti di induzione, o avessero comunque
tratto un profitto dagli atti medesimi.
Nè è esatta l’affermazione secondo cui il provvedimento impugnato avrebbe
immotivatamente privilegiato l’ipotesi accusatoria omettendo di rispondere ai rilievi
dedotti nelle memorie difensive, di cui è stato dato atto anche in sentenza. A parte il
rilievo che la Corte territoriale ha diffusamente motivato sulla ininfluenza delle

giurisprudenza di questa Corte, nella propria motivazione il giudice di merito non è
tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere
in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente
che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi,
in modo logico ed adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento,
dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono
considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata
(cfr, tra le tante, Cass. Sez. V, sent. n. 607/2013 Rv 258679; Sez.II, sent.n.35577/09
Rv.245238).
Poiché come rilevato al punto 2 è oramai decorso, dopo la pronuncia della
sentenza in grado d’appello, il tempo massimo di prescrizione del reato, e i ricorsi,
nella loro complessità, non sono inammissibili, s’impone la declaratoria estintiva del
reato agli effetti penali.
La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio per essere il reato
estinto per prescrizione, e vanno confermate le statuizioni civili.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Conferma le statuizioni civili.
Così e berato, il 10.11.2015.
Il

liere estensore
a Cerva à ro
suic”-)

Il Presidente
Franco Fi4 danese

dichiarazioni dei testi indicati dalle difese, va comunque ricordato che, per costante

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