Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8396 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 8396 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: CERVADORO MIRELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE GIORGI PIERO N. IL 04/07/1955
avverso la sentenza n. 4987/2013 CORTE APPELLO di TORINO, del
10/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MIRELLA CERVADORO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

/(‘

Data Udienza: 10/11/2015

Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, nella persona del dr.Luigi
Birritteri, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Con sentenza del 10.1.2014, la Corte d’Appello di Torino confermava la decisione
di primo grado che aveva condannato De Giorgi Piero alla pena di anni due mesi
quattro di reclusione e C 400,00 di multa per il reato di estorsione.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo: 1) erronea
applicazione degli artt.629 e 640 c.p. e mancanza, illogicità e contraddittorietà della
motivazione ai sensi dell’art.606, co.1, lett.b) ed e) c.p.p. in riferimento alla
qualificazione giudica del fatto. Le dazioni del danaro da parte del Rizzo fino
all’8.8.2012 furono assolutamente volontarie e spontanee, frutto di espresse
pattuizioni e accordi che intervenivano tra il Rizzo e il De Giorgi, sia pure in forza delle
fantasiose prospettazioni che quest’ultimo elargiva al suo interlocutore, e la vicenda si
inquadra quindi in un contesto tipico dell’art,640 c.p.; 2) l’ inosservanza ed errata
applicazione dell’art.629 c.p. e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della
motivazione ai sensi dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. in relazione alle presunte minacce
che non hanno carattere cogente e non hanno intimorito il Rizzo; 3) l’ inosservanza ed
errata applicazione degli artt.629, 62 n.4 c.p. e mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett. b) ed e) c.p.p. in ordine
alla mancata concessione dell’attenuante invocata per il tenue valore del danno.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto l’erronea applicazione delle
norme di cui agli artt.629 e 640 c.p., e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta
responsabilità per il reato di estorsione attesa la illogicità di alcune argomentazioni al
riguardo sviluppate, in considerazione dell’assenza di minacce e della condotta
artificiosa costituente semmai gli estremi del reato di truffa. La censura è del tutto
inammissibile posto che il ricorrente muove solo doglianze di merito, non
condividendosi dal ricorrente le conclusioni attinte ed anzi proponendosi versioni più
persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata. Con il

secondo

motivo si

sono prospettati i medesimi vizi, sotto il profilo della inidoneità della condotta
minacciosa posta in essere ai fini della consumazione del delitto di estorsione. I

Svolgimento del processo

sostanza, il ricorrente si duole del fatto che la Corte non abbia tenuto conto del fatto
che le presunte minacce erano del tutto verbali, e che il Rizzo non si è sentito
assolutamente intimorito, tanto è vero che si è rivolto ai Carabinieri e con gli stessi ha
concertato “un piano per “incastrare” il De Giorgi”. La doglianza è priva di consistenza
e formulata in termini di una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti. La Corte
di merito, nelle attente pagine riservate alla questione, reputa motivatamente che non
è possibile configurare una truffa ai danni del Rizzo, “posto che questi ha consegnato
la somma di euro 500,00 in quanto intimorito” e che dalle intercettazioni ambientali e

assoluta dominanza sulla persona offesa. E contro tali valutazioni sono dal motivo in
esame formulate mere contestazioni di veridicità, in un impensabile tentativo di
ottenere da questa Corte di legittimità un revisione di merito delle valutazioni stesse.
A ciò aggiungasi che per giurisprudenza di questa Corte (v.Cass.Sez. II,
sent.n.36906/2011 Rv.251149; Sez.II, sent.n.35346/2010 Rv.248402; Sez.II, sent. n.
21537/2008 Rv. 240108), condivisa dal Collegio, integra il delitto di truffa la condotta
di colui che prospetti un male come possibile ed eventuale, in ogni caso non
proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, mentre si configura
l’estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di
altri; che il giudizio sulla capacità intimidatrice va effettuato

ex ante, e che la

circostanza che la parte offesa si fosse rivolta ai Carabinieri, lungi dall’escludere lo
stato di timore da parte della stessa, lo avvalora. D’altra parte, ci si rivolge alle
istituzioni, e in particolare agli organi di polizia, proprio quando si ritiene di aver subito
un torto o di aver paura di qualcosa o di qualcuno; né l’imputato – che, fermato dai
Carabinieri dopo la recezione del danaro, ha sostanzialmente ammesso i fatti – ha mai
parlato di accuse calunniose nei suoi confronti.
2. Il secondo motivo, con il quale l’imputato si duole del diniego dell’attenuante
di cui all’art.62 n.4 c.p., è generico e manifestamente infondato.
Al riguardo si osserva che per l’applicazione dell’attenuante di cui all’art.62 n.4
c.p. al delitto di estorsione non è sufficiente che il bene ottenuto con minaccia o
violenza sia di modestissimo valore economico, ma occorre valutare anche gli effetti
dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la
minaccia, atteso che il delitto ha natura di reato plurioffensivo in quanto lede non solo
il patrimonio, ma anche la libertà e l’integrità fisica e morale aggredite per la
realizzazione del profitto. Da tanto consegue che, in applicazione della seconda parte
della disposizione citata, solo ove la valutazione complessiva del pregiudizio sia di
speciale tenuità può farsi luogo all’applicazione dell’attenuante ( Cass. Sez.II, sent. n.
12456/2008 Rv. 239749; Sez.II, 5.9.02, sent. n. 30275/2002, Rv. 222784; Sez.II,
sent.n. 21872/2001, Rv. 218795).

dalle dichiarazioni del Rizzo emerge chiaramente come il De Giorgi mantenesse una

L’attenuante di cui all’art.62 n.4 c.p. è stata poi correttamente negata stante sia
l’entità del danno (euro 500, in aggiunta peraltro ad altre 3500,00 in precedenza
consegnate), che le modalità della condotta.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
(v.Corte Cost. sent.n.186/2000), nella determinazione della causa di inammissibilità –

equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così • l’b rato, il 10.11.2015.
ere estensore
Cervar er o
itte t

Il Presidente
ranco Fiandanese

al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille euro, così

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