Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8383 del 27/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8383 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COPPARI ANGELO N. IL 31/01/1959
avverso la sentenza n. 1347/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del
09/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MARIA VESSICHELLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.0 /in
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che ha concluso per
pI

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 27/09/2013

FATTO E DIRITTO
Propone ricorso per cassazione Coppari Angelo, avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona, in data
9 luglio 2012, con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna in ordine ai reati di
violazione di domicilio, esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone e sulle cose-così
riqualificati i fatti contestati ai capi b) e c)- nonché al reato di lesioni volontarie, delitti commessi tutti in
danno di Giovagnoli Gianfranco, il 12 maggio 2006.
La sentenza contiene anche statuizione civili in favore della parte civile costituita.

1-2 ) la erronea applicazione dell’articolo 84 c.p. e il vizio di motivazione.
L’assorbimento del reato di violazione di domicilio in quello di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni avrebbe dovuto essere riconosciuto proprio nel caso di specie, nel quale lo scopo essenziale
della condotta perseguita, qualificata come ragion fattasi, è stato individuato, dal giudice di merito,
nella finalità dell’imputato di introdursi nella proprietà della persona offesa, sul presupposto di
godere di una servitù di passaggio gravante sul fondo di quella e comunque di avere il diritto di
percorrere una strada pubblica il cui tracciato ricadeva sul medesimo fondo;
3) la inosservanza dell’articolo 393 cp, non essendovi prova e tantomeno motivazione, in ordine al
preteso uso di violenza sulle cose o sulle persone.
Le testimonianze valorizzate non consentivano di ritenere che il danneggiamento al marciapiede e
alla panchina fossero stati volontari, così come la deposizione della persona offesa aveva lasciato
emergere la desistenza dell’imputato quando la prima si era posta sul suo percorso.
In altri termini mancava quanto meno la motivazione sulla tesi alternativa, della natura colposa
degli eventi di danno.
4) il vizio della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 393 cp.
La difesa cita le deposizioni dei testi Caporalini e Dottori dalle quali era emerso che l’imputato era
già transitato quattro volte sul fondo della persona offesa, col trattore, senza distruggere nulla.
Sulla base di tale emergenze, la conclusione del giudice doveva considerarsi contraddittoria poiché
aveva valorizzato le sole dichiarazioni della persona offesa a proposito della impossibilità di passare
sulla sua proprietà col trattore, senza provocare danni.
Dalla deposizione del teste Clementi si ricavava infatti che la distruzione della panchina era il frutto
della concitazione dovuta al litigio con il querelante mentre la moglie di quest’ultimo, Curzi Gina,
era sopraggiunta dopo la commissione dei fatti.
Inoltre doveva ritenersi manifestamente illogico il percorso argomentativo del giudice laddove
aveva presunto che l’azione dell’imputato si fosse risolta in una minaccia alla persona offesa: se così
fosse stato, l’imputato non avrebbe desistito dalla propria iniziativa;
4) la mancata assunzione di prova decisiva rappresentata dall’espletamento di una perizia sullo stato
dei luoghi;
5) il vizio della motivazione sull’attendibilità dei testimoni dell’accusa, pure sollecitata nei motivi
d’appello;
6) l’inosservanza della legge penale sulla determinazione della pena. Risultava enunciata la
concessione delle attenuanti generiche prevalenti ma non effettuato relativo computo.
Il ricorso è fondato.
Risulta anche dalla sentenza impugnata, dalla pag. 2 a pag. 12, che assai articolati motivi di appello erano
stati redatti per sostenere e segnalare al giudice di secondo grado che l’ingresso dell’imputato sulla

Deduce

proprietà della persona offesa era finalizzato al solo transito per raggiungere la sua stessa, confinante ,
proprietà e non, al contrario, alla violenza sulle cose o alle persone: e ciò sarebbe rimasto dimostrato dal
fatto che tale accesso si era realizzato, in precedenza, altre volte, senza conseguenze a carico delle persone
o dei beni altrui e che il transito era stato esercitato sostenendosi che la strada che passava nella proprietà
del querelante fosse pubblica.
A tal fine era stata assunta la deposizione del tecnico comunale Torelli, era stata richiesta perizia ed era
stata prodotta documentazione notarile attestante che l’imputato, comunque, godeva anche di una servitù
di passaggio sulla proprietà della persona offesa.
A fronte di tali doglianze, deve rilevarsi che nessuna replica o motivazione è stata fornita dal giudice,
concernente il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e della risoluzione della questione del
possibile assorbimento , da parte di tale reato, di quello ex art. 614 cp.
Il primo reato, infatti, ha natura dolosa e ricorre quando vi sia la prova certa del carattere volontario del
comportamento consistito nella violenza sulle cose e sulle persone, non essendo viceversa sufficiente la
attestazione, da parte del giudice, di una situazione che vedrebbe l’agente nella posizione di chi rivendichi
un diritto azionabile dinanzi al giudice.
E sotto tale profilo, è indubbio che il chiarimento delle effettive modalità di ingresso , col mezzo pesante,
sulla proprietà del denunciante, anche tenendo conto dei precorsi rapporti tra le parti e delle prassi
instaurate, è indispensabile per potere convenientemente passare alla valutazione dell’atteggiamento
psicologico che ha connotato la condotta dell’imputato, in riferimento al contestato danneggiamento del
marciapiede e della panchina presenti nel giardino del denunciante, dovendosi motivatamente affrontare la
tesi della difesa riguardo la natura, invece, solo colposa dei detti atti.
Ma anche in ordine al reato di violazione di domicilio, ugualmente addebitato al ricorrente nelle sole forme
del primo e secondo comma, va osservato che, in base alla costante giurisprudenza, non sussiste
autonomamente ed anzi rimane assorbito da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando
l’esercizio del preteso diritto si concreti nel semplice ingresso e nella sola permanenza “invito domino”
nell’altrui abitazione, ovvero negli altri luoghi indicati nell’art. 614 cod. pen., mentre se l’agente faccia
ricorso a comportamenti violenti per le cose o le persone, per realizzare l’ingresso contro la volontà del
titolare del diritto di esclusione, eventualmente anche al fine di asportare cose su cui egli vanta un diritto,
viola entrambe le ipotesi delittuose su menzionate ( vedi, analogamente, rv 244285).
Ebbene, il vizio di motivazione rilevato produce i propri effetti anche in relazione alla verifica della
praticabilità di tale principio di diritto , dovendosi osservare che il reato di violazione di domicilio non risulta
contestato nella forma aggravata costituita dal ricorso alla violenza per realizzare l’accesso invito domino (
comma 4) .
Il giudice del rinvio provvederà a colmare le rilevate lacune argomentative uniformandosi ai principi di
diritto enunciati.
Gli ulteriori motivi restano assorbiti.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia per nuovo esame.
Così deciso il 27 settembre 2013
Il Presidente

il Cons. est.

nonostante la centralità del punto, anche ai fini di una rassicurante delineazione dell’elemento psicologico

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