Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8377 del 27/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8377 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VINDIGNI ROSARIO N. IL 08/08/1958
avverso la sentenza n. 7121/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
13/02/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 27/09/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 13/2/2012, a conferma di
quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato Vindigni Rosario a pena di

Alla base della resa statuizione vi sono le dichiarazioni della persona offesa e del
teste Iannella Giuseppe.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Michele Picerno, che si duole della illogicità della motivazione
resa in punto di responsabilità e della violazione degli artt. 133 e 62/bis cod.
pen.
Sotto il primo profilo lamenta che sia stata ritenuta credibile la persona
offesa nonostante il suo racconto non sia suffragato da riscontri esterni (tali non
essendo quelli forniti dal teste Iannella Giueseppe, non presente al fatto) e
nonostante sia smentito dalla testimonianza di Bocale Michelina (moglie
dell’imputato).
Sotto il secondo profilo lamenta l’eccessività della pena e l’incongruenza
della motivazione resa in punto di diniego delle attenuanti generiche, di cui
l’imputato sarebbe meritevole in considerazione della “modestissima entità del
fatto, delle sue condizioni personali e del fatto che lo stesso non ha alcun tipo di
precedente”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato sotto entrambi i profili proposti.
1. Le doglianze in ordine al formulato giudizio di responsabilità, di cui al primo
motivo di ricorso, si risolvono in non consentite censure in fatto all’apparato
argomentativo della sentenza impugnata, che, in stretta aderenza alle
emergenze processuali, dà conto, in maniera adeguata e senza incorrere in vizi
logici, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene. La Corte
d’appello ha affermato la responsabilità dell’imputato sulla base delle
dichiarazioni della persona offesa, di cui ha apprezzato la coerenza, la
congruenza e la spontaneità, nonché del disinteresse mostrato nella complessiva
vicenda processuale, avendo persino omesso di costituirsi parte civile. Ha tenuto
conto delle dichiarazioni degli altri testi esaminati, verificando la convergenza tra

2

giustizia per lesioni personali in danno di Bove Claudio.

quelle dell’offeso e del teste Iannella Giuseppe, certamente disinteressato,
nonché la macroscopica divergenza tra quelle dell’imputato e del teste Bocale
Michelina, che, oltre ad essere interessato (è la moglie dell’imputato), ha
smentito la versione difensiva su un punto fondamentale: la verificazione di una
colluttazione tra l’imputato e la persona offesa. Infatti, mentre l’imputato ha
negato persino il verificarsi di una discussione con la persona offesa, la moglie
dell’imputato ha parlato di una colluttazione in cui il marito rimase soccombente,
venendo bloccato a terra per tre-quattro minuti dal Bove. Priva di vizi logici è,

teste suddetto e credibile, invece, la persona offesa, sia perché le lesioni da lui
subite sono certificate dalla documentazione medica prodotta e acquisita subito
dopo il fatto, sia perché l’ossatura del suo racconto è confermata dal teste
Iannella, che non assistette all’aggressione, ma al “prima” e al “dopo” (constatò,
insieme al Bove, il malfunzionamento dell’ascensore; vide il Bove recarsi in
portineria; sentì che quest’ultimo veniva pesantemente apostrofato; lo notò
dolorante appena sceso dalle scale e ne raccolse le lagnanze, compreso
l’addebito al Vindigni delle lesioni). Non corrisponde a verità, quindi, che i giudici
si siano attenuti alle dichiarazioni di una persona offesa prive di riscontri, in
quanto “riscontro”, in senso logico, non è solo quello che cade sulla materialità
del fatto (in questo caso, l’aggressione), ma anche quello che cade sugli
elementi di contorno dell’azione, purché idonei a corroborare la versione cui
accedono. E non c’è dubbio che la testimonianza di chi sia in grado di ricostruire
il contesto in cui un fatto è avvenuto costituisca riscontro logico di significativa
valenza, certamente idoneo ad esercitare la funzione confermativa pretesa dal
ricorrente.

2. Anche il secondo motivo è infondato. La pena è stata determinata in sei mesi
di reclusione, che non è distante dai tre mesi previsti, nel minimo, dal codice.
Le attenuanti generiche sono state negate – in stretta aderenza ai criteri
stabiliti dall’art. 133 cod. pen. – in considerazione “delle modalità della condotta,
sintomatiche di una peculiare intensità del dolo, dell’assoluta banalità delle
ragioni che l’avevano determinata e della significativa gravità delle
conseguenze”: quindi, in base a criteri di stretta previsione normativa, e per
questo idonei a validare il discorso giustificativo sviluppato dalla Corte di merito.
Né il ricorrente segnai@ decisivi elementi a suo favore, salvo appellarsi, in
maniera incongruente, alla “modestissima entità del fatto”, smentita dalla
gravità delle lesioni (oltre i venti giorni), e alla incensuratezza dell’imputato, che,
per giurisprudenza risalente e mai smentita, non rappresenta un elemento di per
sé idoneo a giustificare la concessione dell’attenuante suddetta, sebbene possa
fornire un utile parametro per una positiva valutazione della personalità del reo.

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pertanto, la motivazione dei giudici di merito, che hanno ritenuto non credibile il

Ma allorché tale positiva valutazione sia impedita da altri elementi offerti dagli
atti (nella specie, la gravità dei fatti, l’intensità del dolo e la banalità dei motivi),
i quali abbiano una significazione più diretta ed immediata di quella generica
indicazione fornita dal certificato penale, compie esatta applicazione degli artt.
62 bis e 133 cod pen il giudice di merito che a questi elementi dia importanza
preponderante (Cass., 17/1/1970, n. 77; Cass., 9/2/1984, n. 3301; Cass. 04
luglio 2006. n. 32290).

al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/9/2013

Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna delljt ricorrente

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