Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8373 del 27/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8373 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCINELLI LUCA N. IL 12/07/1973
avverso la sentenza n. 682/2007 CORTE APPELLO di ANCONA, del
16/06/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/09/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 27/09/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Oscar Cedrangolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 16-06-2011, a conferma di
quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Fermo,

per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commessa quale
amministratore di fatto della G. & G. srl.
Secondo l’accusa, condivisa dai giudici del merito, il Mancinelli, insieme alla
moglie e ad altri complici, progettò e creò una struttura aziendale destinata a
carpire la buona fede dei fornitori, procurandosi una gran quantità di preziosi che
non aveva alcuna intenzione di pagare e vendendoli per conto proprio dopo
l’acquisto, con la conseguenza di portare la società al fallimento.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Franco Romagnoli, che si avvale di quattro motivi.
2.1. Col primo si duole della violazione dell’art. 157, comma 8/bis, cod. proc.
pen. e della illogicità della motivazione resa, sul punto, dalla Corte d’appello.
Deduce di aver inviato via fax il 12 maggio 2006 al Giudice dell’udienza
preliminare del tribunale di Fermo, dopo il deposito della motivazione della
sentenza di primo grado, dichiarazione di non accettazione delle notifiche per
conto del suo assistito. Tuttavia, il 15 maggio 2006 il Tribunale notificava al
difensore la sentenza destinata all’imputato contumace, con conseguente nullità
della notificazione, ex art. 171 cod. proc. penale.
2.2. Col secondo si duole dell’erronea applicazione degli artt. 438 e 442, comma
1/bis cod. proc. pen., nonché dell’art. 238 cod. proc. penale. Lamenta che il
Giudice dell’udienza preliminare abbia utilizzato per la decisione l’informativa
della Guardia di Finanza e le dichiarazioni di persone informate sui fatti rilasciate
in altro procedimento ed acquisite nel corso dell’udienza preliminare, prima della
richiesta di giudizio abbreviato, che ciò abbia fatto in contrasto col disposto
dell’art. 238 cit., che consente l’acquisizione di verbali di prova di altro
procedimento solo se si tratta di prove assunte nell’incidente probatorio o nel
dibattimento.
2.3. Col terzo eccepisce l’erronea applicazione degli artt. 216, comma 1, nn. 1 e
2, 219, comma 2, n. 1 e 223 della L.F., nonché il vizio di motivazione resa, sul
punto, dalla Corte di merito. Lamenta che il Mancinelli sia stato ritenuto
amministratore di fatto in considerazione dell’attività ausiliaria svolta a favo e
2

all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato Mancinelli Luca a pena di giustizia

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della moglie, amministratrice di diritto; che l’attività espletata dal Mancinelli e
dagli altri imputati è da inquadrare nella fattispecie della truffa, con esclusione
della bancarotta, in quanto i beni illecitamente acquisiti non erano mai entrati a
far parte del patrimonio sociale; che è insussistente la bancarotta documentale,
in quanto è “assente o insufficiente l’accertamento in ordine allo scopo
eventualmente propostosi dall’agente ed in ordine alla oggettiva finalizzazione di
tale carenza” e perché la società si era affidata ad un commercialista per la
tenuta della contabilità.

motivazione, del trattamento sanzionatorio e della mancata concessione delle
attenuanti generiche, di cui l’imputato sarebbe meritevole in considerazione del
rito prescelto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutti i motivi di ricorso sono infondati, perché propongono letture errate del
dato normativo, o perché generici, o perché censurano percorsi motivazionali
congrui e logici.

1. Il primo motivo è manifestamente infondato per le ragioni chiaramente
esposte dalla Corte d’appello. Il rifiuto del difensore di accettare le notifiche
dirette al suo assistito, ai sensi dell’art. 157, comma 8/bis, cod. proc. pen., deve
essere enunciato contestualmente all’atto di nomina o, con comunicazione
diretta all’Autorità procedente, subito dopo, in quanto lo scopo della norma è,
secondo l’esplicita enunciazione della Consulta (CC, sentenza 16.4.2008, n. 136,
depositata il 14.5.2008), quello di “bilanciare il diritto di difesa degli imputati e la
speditezza del processo, semplificando le modalità delle notifiche e contrastando
eventuali comportamenti dilatori e ostruzionistici”. Conformemente, la
giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte è nel senso che il
rifiuto del difensore di accettare la notifica degli atti diretti al proprio assistito
deve essere enunciato, per produrre effetti, o contestualmente all’atto di nomina
o, con comunicazione diretta all’autorità procedente, subito dopo quest’ultima,
ma sempre prima della notifica di un atto (Cass. Pen., n. 16615 del 27/2/2013;
Sez. IV, 1509 del 19/2/2009; Sez. III, n. 41063 del 20/09/2007; Sez. VI, n.
19267 del 9/03/2006). Nel caso di specie, invece, la nomina del difensore di
fiducia è avvenuta per l’udienza preliminare, mentre il rifiuto è stato comunicato
al Tribunale dopo il deposito della sentenza di primo grado e quando il
procedimento di notifica della sentenza contumaciale era già stato avviato.
Se ciò non bastasse valga, poi, il rilievo tranciante che il Giudice dell’udienza
preliminare del tribunale di Fermo, nonostante la regolare notifica effettuata al

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2.4. Col quarto si duole, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di

difensore, ha comunque provveduto alla notifica dell’atto a mani dell’imputato in
data 15/5/2006.
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2. Il secondo motivo è infondato. Ai sensi dell’art. 442, comma 1/bis, i l giudice
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dell’udienza preliminare utilizza per la decisione gli atti contenuti nel fascicolo
depositato dal P.M. con la richiesta di rinvio a giudizio ex art. 416, 2° co., quelli
legittimamente acquisiti dopo il decreto di fissazione del giudizio e quelli costituiti
dalle prove “assunte in udienza”. Quest’ultima espressione è da intendersi come

giudizio abbreviato, e all’udienza del giudizio abbreviato ex artt. 438, comma 5,
e 441, comma 5„ sebbene si tratti di due udienze ontologicamente distinte e
autonome. Pertanto, tra gli atti utilizzabili dal giudice, in funzione della decisione
del giudizio abbreviato, vi sono anche “gli atti e i documenti ammessi dal giudice
prima dell’inizio della discussione”, ai sensi dell’art. 421, comma 3, cod. proc.
penale, con esclusione dei soli atti affetti da inutilizzabilità patologica, per tali
intendendo quelli compiuti contra legem.
La richiesta dell’imputato – nella duplice forma prevista dall’art. 438, 1° e 5°
co. – implica infatti il consenso del medesimo all’utilizzazione, ai fini della
decisione, del materiale già raccolto nella fase delle indagini, nonché di quello
acquisito nel corso dell’udienza preliminare, e ciò integra una delle deroghe al
contraddittorio previste dall’art. 111, 5° co., Cost. (C., Sez. I, 1.3.2000, Bonini,
in Mass. Uff., 217071).

3. Il terzo motivo, attinente alla prova della responsabilità, è manifestamente
infondato. La Corte d’appello ha ritenuto provata l’ingerenza dell’imputato
nell’amministrazione e gestione della società fallita non già in base al rapporto di
coniugio con l’amministratrice di diritto, bensì in virtù dell’attivismo da lui
direttamente spiegato nella costituzione della società, veicolo dell’attività
truffaldina; nel reperimento degli appartamenti da adibire a sede legale e punto
vendita all’ingrosso; nel reperimento dei finanziamenti necessari alla creazione
delle prime apparenze di una società regolarmente funzionante; nell’acquisto dei
beni dai fornitori con modalità decipienti. Trattasi di motivazione ampia, congrua
e logica che non presenta nessuna delle caratteristiche negative lamentate dal
ricorrente e soddisfa l’obbligo motivazionale con la necessaria completezza.
Infondata è, poi, la pretesa di stabilire un rapporto di esclusione tra truffe e
bancarotta. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte – da cui non
si intravedono motivi per discostarsi – in tema di reati fallimentari, per beni del
fallito ex art. 216 legge fallimentare si intendono tutti quelli che fanno parte della
sfera di disponibilità del patrimonio, indipendentemente dalla proprietà. Nella
definizione di tale sfera si prescinde dal modo di acquisto dei beni, di tal che
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riferita contemporaneamente all’udienza preliminare, prima dell’innesto del

anche quelli ottenuti con sistemi illeciti ed in particolare per appropriazione
indebita (o truffa) rientrano in tale novero. L’obiettività giuridica di quest’ultimo
reato, poi, e quella della bancarotta sono diverse perché l'”iter” criminoso del
primo si esaurisce con l’acquisto dei beni mentre la sottrazione degli stessi è
successiva e si ricollega ad una nuova ed autonoma azione, con la conseguenza
che i due reati possono concorrere (Cass. Pen., sez. V, n. 12068 dell’8/10/1991;
N. 1341 del 22/10/1986; N. 2373 del 14/12/1988; N. 23318 del 17/03/2004; N.
44159 del 20/11/2008; N. 45332 del 9/10/2009).

bancarotta documentale, posto che in sentenza è ben spiegato, e si evince
chiaramente dal costrutto motivazionale, che le scritture contabili non vennero
tenute per non lasciare tracce documentali dell’attività truffaldina e per impedire
al curatore la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari: vale a
dire, per il motivo specificamente contemplato dall’art. 216, comma 1, n. 2, della
L.F. L’affermazione, poi, che la società si fosse affidata, per la tenuta della
contabilità, ad un commercialista, oltre ad essere meramente assertiva, è del
tutto irrilevante, posto che tale fatto non esonerava l’imprenditore dall’esercizio
della funzione di controllo a lui imposta dalla legge.

4. Il quarto motivo è inammissibile, perché generico e manifestamente
infondato. La pena è stata irrogata in misura prossima ai minimi edittali e le
attenuanti generiche sono state negate in considerazione della particolare
intensità del dolo, nonché della pluralità e gravità dei precedenti penali: vale a
dire, con riguardo a parametri che rimandano direttamente all’art. 133 cod. pen.
e che rappresentano, pertanto, legittimo riferimento per l’esercizio del potere
discrezionale da parte del giudice del merito. Né il ricorrente segnala elementi a
suo favore, appellandosi ad un “buon comportamento processuale” di cui non
illustra minimamente i contenuti (fa riferimento alla scelta del rito abbreviato,
che ha carattere neutro ed è già “ricompensato” con un significativo sconto di
pena).
In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27/09/2013

Inammissibile per genericità e scarsa intelligibilità è la censura relativa alla

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