Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 8365 del 26/09/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 8365 Anno 2014
Presidente: OLDI PAOLO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Piscioneri Rocco, nato a Paulonia (RC) il 30/07/1950
avverso la sentenza del 16/11/2011 della Corte d’appello di Torino R.G. n. 10791/2007
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso nonché le note illustrative e le note
d’udienza depositate nell’interesse del ricorrente;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe De Marzo;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Giuseppe Volpe, che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito, per l’imputato, l’Avv. Prof. Alfredo Gaito, il quale ha concluso per l’accoglimento del
ricorso.

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 16/11/2011 la Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione di
primo grado che aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia Rocco Piscioneri, in
relazione al reato di cui agli arti. 74, commi primo, secondo e terzo d.P.R. n. 309 del 1990 e
al reato di cui agli arti. 73 e 80 deemedesimo d.P.R., commesso in data 17/05/1997.
Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha rilevato: a) che l’estradizione costituisce
condizione di procedibilità dell’azione penale e che è irrilevante la rinuncia all’estradizione già
concessa, quando la stessa, come nella specie, abbia conservato carattere unilaterale; b)
che, sebbene fosse erronea la dichiarazione di contumacia dell’imputato pronunciata dal
giudice di primo grado, nonostante la detenzione del Piscioneri all’estero, tuttavia, all’udienza
del 21/06/2006, quando ormai quest’ultimo era libero, era stata presentata dal difensore
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Data Udienza: 26/09/2013

dell’imputato, munito di procura speciale, richiesta di giudizio abbreviato, talché nessuna
concreta lesione del diritto di autodifesa dell’imputato era configurabile; c) che non era
sussistente la lamentata violazione del ne bis in idem sostanziale, in quanto la decisione
della quinta sezione dell’Adunancia Provincia! di Barcellona datata 11/01/1999 aveva
considerato la condotta associativa ai soli fini dell’imputazione concernente il traffico di
hashish accertato nel luglio 1997, talché non era dato ravvisare l’identità del fatto storico —
naturalistico; d) che l’espresso consenso richiesto dall’art. 721 cod. proc. pen. per
l’estradizione suppletiva non opera con riguardo all’estradizione principale e che comunque

la continuazione in quanto non riconducibile agli effetti penali indicati dall’art. 12 cod. pen.,
non opera tra reato giudicato in Italia e reato giudicato all’estero; peraltro, la contraria
soluzione condurrebbe alla possibilità di operare una non consentita riduzione della pena
inflitta dall’autorità straniera; f) che correttamente il giudice di primo grado, nel negare le
attenuanti generiche, aveva valorizzato sia- la posizione di assoluta preminenza del Piscioneri
all’interno di un’organizzazione di notevolissima potenzialità criminale; inoltre, anche i
precedenti penali dello stesso non consentivano di formulare una prognosi favorevole.
2. Nell’interesse del PisciorWeri è stato depositato ricorso per cassazione affidato ai seguenti
motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamentano inosservanza degli artt. 178, comma 1, lett. c) e 185
cod. proc. pen., nonché vizi motivazionali.
In particolare, viene criticata la sentenza impugnata che, pur muovendo dall’illegittimità della
dichiarazione di contumacia dell’imputato pronunciata in primo grado, nel corso delle
udienze del 23/06 e 29/09/2005, ha ritenuto sanato il vizio a seguito del conferimento di
procura speciale da parte dell’imputato al proprio difensore, al fine di richiedere il giudizio
abbreviato. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale, preso atto dell’erroneità della
dichiarazione di contumacia, avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza del G.i.p. e
trasmettere gli atti al Tribunale per il nuovo giudizio, ai sensi degli arti. 185, comma 3 e 604
cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione degli arti. 696 e ss. cod. proc. pen.,
rilevando che, in forza della concessa estradizione e dell’irrilevanza della successiva,
unitalerale rinuncia alla stessa da parte dello Stato italiano, il processo avrebbe dovuto
essere sospeso, non essendo intervenuta la consegna dell’imputato.
2.3. Con il terzo motivo, si lamentano violazione dell’art. 649 cod. proc. pen. e vizi
motivazionali, in quanto la Corte di Barcellona, con la sentenza datata 11/01/1999, aveva
dato atto dell’esistenza di una struttura organizzata finalizzata al traffico di sostanze
stupefacenti, operante nello stesso arco temporale indicato nel capo di imputazione.
Con ulteriore, subordinata articolazione del medesimo motivo, si rileva che non è dato
rilevare un “consenso espresso” dell’autorità giudiziaria iberica all’estradizione del Piscionieri
per il reato associativo. Tale requisito di certezza esteriore, espressamente previsto dall’art.

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l’autorità spagnola aveva accordato l’estradizione con riferimento al reato associativo; e) che

721 cod. proc. pen., per l’estradizione suppletiva, deve sussistere, per ragioni logiche, anche
in relazione all’estradizione originaria.
2.4. Con il quarto motivo, si lamenta inosservanza degli artt. 12 e 81 cod. proc. pen.,
criticando il mancato riconoscimento della continuazione con la citata sentenza della Corte
catalana.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta illogicità della motivazione nella parte in cui ha negato il
riconoscimento delle attenuanti generiche, valorizzando i precedenti penali dell’imputato, ma
omettendo di considerare: a) che in relazione ad essi, peraltro di contenuta gravità e

non può essere considerato un precedente la vicenda esaminata dall’autorità giudiziaria
spagnola, in quanto si riferisce a fatti connessi e sostanzialmente sovrapponibili a quelli
oggetto del giudizio; c) che i profili attinenti alla personalità del Piscioneri erano già stati
esaminati ai fini della quantificazione della pena, talché la loro rivalutazione con riferimento
al riconoscimento delle attenuanti generiche, rappresentava una violazione del ne bis in idem
sostanziale.
3. Nell’interesse del ricorrente sono state depositate note illustrative, concernenti la
questione esaminata con il quarto motivo di ricorso.
In particolare, si rileva che uno degli argomenti utilizzati dalla Corte territoriale per
respingere la richiesta di applicazione dell’istituto della continuazione (ossia la impossibilità
per l’autorità giudiziaria italiana di rideterminare la pena definitivamente inflitta dall’autorità
giudiziaria straniera), oltre a valorizzare una conseguenza meramente eventuale, collide con
il principio di fiducia reciproca degli Stati membri enucleato dalla Corte di Giusitizia (sent. n.
187 datata 11/02/2003), in sede di interpretazione dell’art. 54 della Convenzione di
applicazione dell’Accordo di Schengen.
In tale prospettiva, il ricorrente prospetta questione di legittimità costituzionale dell’art. 12,
comma primo, cod. pen., in relazione agli artt. 3 e 27 Cost.
Sotto il primo profilo, si pone in luce l’irragionevole disparità di trattamento riservata ai
cittadini che abbiamo commesso un reato all’estero, secondo che, per l’accertamento della
loro responsabilità, proceda l’autorità giudiziaria nazionale o quella straniera.
Sotto il secondo profilo, si rileva che la criticata interpretazione dell’art. 12 cod. pen.,
conducendo all’applicazione della disciplina del cumulo materiale di pene, contrasta con la
finalità rieducativa della pena.
Il ricorrente, infine, chiede la sospensione del procedimento con contestuale proposizione
alla Corte di Giustizia della seguente questione pregiudiziale: se, alla luce dei principi di leale
collaborazione di cui all’art. 4, n. 3 TUE, la Convenzione di applicazione dell’Accordo di
Schengen osti ad una normativa interna che precluda la possibilità di irrogare una pena più
adeguata ai fatti illeciti compiuti nel quadro unitario tipico della continuazione nei confronti di
un soggetto separatamente giudicato dapprima in altro Paese (nella specie, la Spagna) e poi

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risalenti nel tempo, il Piscioneri aveva ottenuto la riabilitazione in data 15/01/1993; b) che

in Italia, senza che la pena già irrogata dal giudice straniero possa essere riconsiderata nel
cumulo giuridico exart. 81 cod. pen.
4. Nell’interesse del ricorrente sono, infine, state depositate note d’udienza, con le quali si
critica la ritenuta efficacia sanante correlata dalla sentenza impugnata alla richiesta di
giudizio abbreviato e si insiste sull’eccezione sviluppata nel primo motivo di ricorso nonché
sulla questione della mancata rinuncia alla specialità, ritenuta dalla sentenza impugnata pur
in assenza del preventivo interpello ai sensi dell’art. 710, commi 1 e 2, cod. proc. pen.
Considerato in diritto

Come è stato ritenuto in relazione a questione analoga, la dichiarazione di contumacia
erronea, perché intervenuta nonostante l’imputato fosse in stato di detenzione per altra
causa sopravvenuta alla notificazione del decreto di citazione a giudizio, non comporta una
violazione del diritto di difesa, e quindi non dà luogo a nullità ex art. 178 lett. c) cod. proc.
pen., se all’udienza in cui è stata rigettata la richiesta di rinvio per legittimo impedimento
non è stata svolta alcuna attività processuale e si è soltanto disposto il rinvio ad altra
udienza (Sez. 2, n. 15417 del 12/03/2008, Cattaneo, Rv. 239792).
Ed infatti, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10372 del 27.9.1995 dep. il
10/1995 Rv. 202269) “la facoltà di attivare i procedimenti di gravame non è assoluta e
indiscriminata, ma è subordinata alla presenza di una situazione in forza della quale il
provvedimento del giudice risulta idoneo a produrre la lesione della sfera giuridica
dell’impugnante”.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha rigettato la proposta eccezione proprio
valorizzando il fatto che gli atti seguiti all’erronea dichiarazione di contumacia, in quanto non
correlati a quest’ultima da alcun vincolo di dipendenza, non potevano essere travolti dal vizio
della prima, ai sensi dell’art. 185, comma 1, cod. proc. pen.
Ed, in effetti, come si desume dalla sentenza impugnata (pag. 4) e dall’esame dei verbali di
causa che confermano siffatta ricostruzione, alla dichiarazione di contumacia sono seguite
udienze di mero rinvio. La prima udienza nella quale è stata svolta attività processuale
rilevante ai fini del giudizio è quella del 21/06/2006, quando l’imputato, ormai libero, aveva
conferito procura speciale al difensore per richiedere il giudizio abbreviato.
Al riguardo, va ribadito (Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234353) che la
propagazione degli effetti della nullità di un atto agli atti successivi va circoscritta, ai sensi
dell’art. 185 cod. proc. pen., alle “sole sequele dinamiche necessarie”, ossia ai soli casi in cui
sia dato rinvenire tra gli atti un collegamento giuridico – funzionale assolutamente
indefettibile, nel senso che l’atto nullo deve porsi come condizione necessaria ed
imprescindibile per il compimento di quello successivo, che finisce per essere inevitabilmente
contaminato dal vizio del primo: deve sussistere, in altre parole, un nesso di dipendenza
reale ed effettiva tra gli atti, rimanendo ininfluenti quei vincoli di carattere meramente

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1. Il primo motivo è infondato.

cronologico ed occasionale, quali, nella specie, sono rawisabili, attesa l’assoluta assenza di
correlazione tra le udienze rinviate e quelle successive.
Ne discende che il percorso argomentativo della sentenza impugnata non ha riguardo alla
preclusione correlata alla scelta da parte del ricorrente del giudizio abbreviato, ma al fatto
che non si è verificata alcuna concreta lesione del diritto di difesa dello stesso, dal momento
che, a partire dal 21/06/2006, ossia dall’udienza in cui il difensore, munito di procura
speciale, aveva richiesto il giudizio abbreviato, il Piscioneri, come reso palese dal
conferimento della prima, era sicuramente sia al corrente del processo sia libero, sicché

Da tali premesse discende che le considerazioni svolte nelle note d’udienza non colgono nel
segno, in quanto muovono dall’inesatta premessa che la sanatoria sia stata fondata dallé
decisione impugnata sulla mera richiesta del giudizio abbreviato.
2. Il secondo motivo è, del pari, infondato.
Al riguardo, occorre considerare che, per effetto del principio di specialità, l’art. 1 della
Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13/12/1957 e ratificata in Italia con I.
30/01/1963, ha ampliato la portata degli effetti dell’estradizione, giacché dispone che le Parti
Contraenti si obbligano a estradarsi reciprocamente, secondo le regole e le condizioni
stabilite negli articoli seguenti, gli individui perseguiti per un reato o ricercati per l’esecuzione
di una pena o di una misura di sicurezza dalle autorità giudiziarie della Parte richiedente.
Ne discende che, accanto alla funzione codicistica di assicurare l’esecuzione di prowedimenti
restrittivi della libertà (art. 697 cod. proc. pen.), si delinea, nell’ambito della citata
Convenzione, un ulteriore profilo di rilevanza dell’estradizione che si colloca sul distinto piano
della procedibilità dell’azione penale.
Ne discende che, ferme le questioni legate alla partecipazione dell’imputato al processo (le
quali trovano altrove la loro soluzione e che, per quanto attiene al presente procedimento,
sono state affrontate nell’esame del primo motivo), la mancata consegna della persona che
sia stata estradata non condiziona l’esercizio della giurisdizione penale.
3. Il terzo motivo, in entrambe le articolazioni prospettate, è infondato.
L’art. 54 della Convenzione del 19/06/1990 di applicazione dell’Accordo di Schengen del
14/06/1985 — entrambi oggetto di ratifica ed esecuzione per effetto della I. 30/09/1993, n.
388 – dispone che una persona che sia stata giudicata con sentenza definitiva in una Parte
contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in
un’altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o
sia effettivamente in corso di esecuzione attualmente o, secondo la legge dello Stato
contraente di condanna, non possa più essere eseguita.
La preclusione del ne bis in idem sussiste soltanto nel caso in cui un unico fatto dia origine a
più procedimenti.
Come è stato rilevato da questa Corte a proposito della I. 16/10/1989, n. 350, che ha
ratificato la Convenzione firmata a Bruxelles il 25/05/1987 fra gli Stati membri della

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avrebbe potuto decidere di partecipare al giudizio.

Comunità Europea, per accertare se il fatto sia il medesimo nei diversi procedimenti occorre
verificare se vi sia coincidenza degli elementi costitutivi del fatto identificabili nella condotta,
nell’evento e nel nesso di causalità, essendo l’identità configurabile quando il fatto si realizza
nelle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone (Sez. 4, n. 1373 del 02/12/1992 dep. 15/02/1993, Gigardi, Rv. 193040).
Nel caso di specie, la sentenza 11/01/1999 della sezione quinta dell’Audience Provincia! di
Barcellona, nell’esaminare la posizione dell’odierno ricorrente in relazione al reato di
detenzione di 1.400 kg. di hashish, commesso in data 23/07/1997, ha preso in esame, ai fini

fattispecie associativa, ma l’ha assunta come rilevante con riguardo agli atti che si erano
estrinsecati nel mese di luglio 1997 e con specifico riferimento al fatto che la pluralità di
autori potenzia le capacità di realizzazione del delitto.
Non casualmente, come è stato rilevato dalla Corte territoriale, all’esame dei giudici spagnoli
è rimasta estranea ogni verifica in ordine alla costituzione, allo sviluppo e al consolidamento
dell’associazione criminosa, come pure alle strutture interne e alla ripartizione dei ruoli dei
diversi associati.
In questa prospettiva va colto il riferimento nella sentenza spagnola all’irrilevanza del
carattere transitorio o occasionale del sodalizio.
Al contrario, il capo di imputazione n. 2 del presente procedimento considera l’intera vita
della compagine associativa, che copre un arco temporale ben più ampio (muovendo da
epoca anteriore al 1995) e soprattutto la finalità di commissione di una pluralità di
-e01~3Sieriltnii delitti, alcuni dei quali specificamente individuati, ossia condotte più estese e

complesse, per il numero e il ruolo delle persone coinvolte, nonché per le forme di
estrinsecazione dell’organizzazione nello spazio e nel tempo.
In tale prospettiva, il richiamo alla data di alcune intercettazioni considerate dal giudice
italiano e del giudice spagnolo finisce per tradursi in una critica priva di specificità e di
rilevanza, in quanto isola alcune delle emergenze istruttorie e non considera che il raffronto
imposto dalla questione sollevata concerne i reati accertati e non le evidenze probatorie.
Infondata è anche la seconda articolazione del terzo motivo, prospettata in via subordinata,
e avente ad oggetto l’assenza di un consenso espresso dell’autorità spagnola all’estradizione.
Al riguardo, va premesso che l’art. 721, comma 1, cod. proc. pen., richiede l’espresso
consenso dello Stato estero solo quando si discuta dell’assoggettabilità dell’estradato a
misure restrittive per fatti anteriori alla consegna e diversi da quelli per cui l’estradizione è
stata concessa. La norma mira evidentemente a proteggere la libertà personale
dell’individuo, estradato per un titolo di reato, rispetto a possibili, arbitrarie dilatazioni della
portata dell’estradizione concessa.
Nella specie, tuttavia, non si discute di tale questione, ma della portata dell’estradizione
originaria, la quale è delineata in termini assolutamente univoci dal provvedimento
dell’autorità spagnola.

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della contestata aggravante prevista dall’ordinamento spagnolo, la sussistenza della

In particolare, si legge nell’ordinanza della Corte nazionale spagnola, quarta sottosezione
penale, del 18/05/1998: a) che la richiesta di estradizione concerne i fatti indicati
nell’ordinanza custodiale datata 17/11/1997 del G.i.p. del Tribunale di Torino, ossia, come
chiarito a pag. 6 della traduzione dell’ordinanza spagnola, anche l’associazione del Piscioneri
con altri soggetti per commettere vari delitti in tema di detenzione e importazione di
stupefacenti; b) che l’estradizione non poteva essere concessa in relazione alla detenzione di
circa 1400 kg di hashish, potendo tale imputazione coincidere con i fatti oggetto di
procedimento pendente in Spagna; c) che “nulla osta invece alla concessione

novembre 1997”.
4. Del pari infondato è il quarto motivo
Questa Corte ha rilevato che non è applicabile in executivis la continuazione tra il reato
giudicato in Italia e il reato giudicato con sentenza straniera riconosciuta nell’ordinamento
italiano, non essendo l’ipotesi del vincolo della continuazione contemplata tra quelle cui può
essere finalizzato il riconoscimento della sentenza ai sensi dell’art. 12, comma primo, cod.
pen. (Sez. 1, n. 44604 del 24/10/2011, Figliolino, Rv. 251477; Sez. 1, n. 19469 del
07/05/2008, Castellana, Rv. 240294)
Le argomentazioni sviluppate dalla giurisprudenza di legittimità si inseriscono nel solco delle
considerazioni svolte dalla stessa Corte costituzionale, la quale, con ordinanza 28/03/1997,
n. 72, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
per contrasto con l’art. 3 della Carta fondamentale, dell’art. 12 del cod. pen., nella parte in
cui impedisce il riconoscimento della sentenza straniera ai fini dell’individuazione del vincolo
della continuazione ai sensi dell’art. 671 del cod. proc. pen.
La Corte costituzionale, con considerazioni di carattere generale, valevoli anche per il
riconoscimento della continuazione da parte del giudice della cognizione, ha rilevato che la
disciplina del reato continuato postula il riferimento a categorie di diritto sostanziale (reati e
pene) che si qualificano soltanto in ragione del diritto interno, sicché “il riconoscimento della
sentenza straniera agli effetti di quanto richiesto dal giudice

a quo comporterebbe

l’individuazione di un meccanismo che rendesse fra loro omologabili il reato giudicato
all’estero e quello giudicato nello Stato nonché le pene in concreto irrogate nei due giudizi,
posto che soltanto per questa via sarebbe possibile individuare la ‘violazione più grave’ e
determinare, in ragione di essa, l’aumento di una pena prevista dall’ordinamento interno” e
che “l’applicazione della continuazione tra la condanna subita in Italia e le condanne
all’estero determinerebbe una automatica invasione del giudicato estero al di fuori di
qualsiasi meccanismo convenzionale, così restando totalmente eluso, fra l’altro, il principio
della prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale, programmaticamente
assunto a chiave di volta (art. 696) della disciplina dettata dal nuovo codice in tema di
rapporti giurisdizionali con autorità straniere”.

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dell’estradizione per i restanti fatti inclusi nell’ordinanza di custodia cautelare del 17

La manifesta infondatezza della questione prospettata con riferimento all’art. 3 ha
ripercussioni anche sulla valutazione della denunciata difformità della disciplina rispetto
all’art. 27 Cost.
La Corte costituzionale, infatti, ha più volte rilevato (vedasi, ad es., sentenza 26/07/2005, n.
325) che la determinazione della qualità e della quantità delle sanzioni, e quindi la congruità
della pena rispetto alla gravità del reato, rientrano nella discrezionalità del legislatore, salvo il
sindacato di costituzionalità su scelte normative palesemente arbitrarie o radicalmente
ingiustificate, owero contrastanti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza, che

217 del 1996 e n. 287 del 2001, nonché ordinanze numeri 110 e 323 del 2002, n. 172 del
2003 e n. 158 del 2004). Dalle decisioni sopra menzionate emerge, in particolare, che le
sentenze di accoglimento per avere il legislatore superato il limite della ragionevolezza sono
state pronunciate in situazioni in cui l’arbitrarietà delle scelte legislative derivava dal diretto
confronto tra fattispecie di reato sostanzialmente identiche, ma sottoposte a diverso
trattamento sanzionatorio (sentenze n. 102 del 1985, n. 341 del 1994 e n. 287 del 2001),
ovvero in casi in cui era prevista la medesima pena sia per il delitto consumato (omicidio),
sia per il tentativo del medesimo delitto (commesso da un militare contro un superiore:
sentenza n. 26 del 1979).
Quanto, infine, alla prospettata questione pregiudiziale europea, va ribadito che l’obbligo di
rimettere le questioni relative all’interpretazione delle norme comunitarie alla Corte di
giustizia non sussiste allorché il giudice nazionale abbia constatato che la questione non è
pertinente, la disposizione comunitaria abbia già costituito oggetto di interpretazione e la
corretta applicazione del diritto comunitario si imponga con tale evidenza da non lasciar
adito a ragionevoli dubbi (Sez. 4, n. 34753 del 17/05/2012, Preziosi, Rv. 253491).
Nella specie, il contrasto prospettato nelle note illustrative muove dalle conseguenze che
rivestirebbe sul thema deadendum il principio di leale collaborazione tra gli Stati.
E, tuttavia, escluso che venga in questione l’interpretazione di una norma comunitaria che si
occupi della operatività del principio della continuazione, non è dato intendere in che modo
la soluzione esegetica qui accolta finirebbe per ledere il principio invocato.
In realtà, la soluzione accolta da questa Corte, quanto all’inoperatività della disciplina della
continuazione, non lede in alcun modo il principio della collaborazione tra Stati, rilevante in
sede comunitaria, ma pone un problema che concerne la singola posizione del ricorrente.
5. Infondato è, infine, il quinto motivo.
Al riguardo, va ribadito che secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, in
tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa
è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della
sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni
tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la
meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta,

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si traducono in un uso distorto della discrezionalità (v. anche, sentenze n. 313 del 1995, n.

sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di
giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la
suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di
apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti
atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 2, n. 38383 del
10/07/2009, Squillace e altro, Rv. 245241; Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelitano, Rv.
195339).
Il motivo di ricorso critica sia la rilevanza assegnata dalla Corte territoriale ai precedenti

di un’organizzazione di notevolissima potenzialità criminale, ma non indica alcun parametro,
favorevole all’imputato, trascurato dai giudici di merito.
A ciò deve aggiungersi, in relazione alla lamentata violazione del principio del ne bis in idem
sostanziale, che non viene in questione l’attribuzione dello stesso fatto al ricorrente, ma la
determinazione della pena, frutto di una valutazione sostanzialmente unitaria, condotta alla
stregua dei medesimi parametri di cui all’art. 133 cod. pen.
Ne discende che, nel quadro di tale complessivo giudizio, il giudice ben può valutare la
gravità del fatto e la personalità dell’imputato, già presi in considerazione ai fini della
determinazione della pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen., ai fini della decisione sul
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 4, n. 35930 del 27/06/2002,
Martino, Rv. 222351).
6. Alla pronuncia di rigetto consegue ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26/09/2013

Il Componente estensore

Il Presidente

dell’imputato, sia la valorizzazione del ruolo di assoluta preminenza dell’imputato all’interno

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